I miei primi Mac usavano i floppy disk e, in un piccolo numero di dischetti, entravano anche il sistema operativo e la maggior parte dei software. Sempre in questi dischetti ho salvato documenti, foto, giochi e quant’altro per molti anni, ma di sicuro ho meno floppy disk che CD e DVD, e nulla al confronto del numero attuale di hard disk e della loro mostruosa capacità totale in continua crescita.

Certo, non c’è confronto con la velocità dei computer dei primi anni ’80, non c’è confronto con la risoluzione dei monitor e non c’è confronto con la grafica dei primi giochi con quella attuale, ma a volte mi chiedo se questo aumento continuo di prestazioni (e conseguente richiesta di risorse) abbia davvero senso.

Ma quando e perché sono nati i floppy disk? Dobbiamo risalire ai primordi del digitale: all’inizio il codice veniva caricato nei computer tramite nastri magnetici, ma questi erano ingombranti e lenti. Non che i computer fossero da meno (non pensate ai personal computer di oggi, ma a quelli che spesso occupavano la parete di una stanza o erano grandi quanto un armadio), ma con la maggiore diffusione dei computer ed i “piccoli” mainframe IBM System 360 (grandi comunque quanto un comò e talmente costosi che, in Italia, la prima società a potersene permettere uno fu l’università Pisa nei primi anni ’60 ed occorreva una stanza speciale refrigerata dove tenerlo), diventò sempre più indispensabile poter spedire con facilità ed a basso costo gli aggiornamenti ai clienti.
La prima soluzione fu un disco di sola lettura di 20cm di diametro (8 pollici) – il “memory disk” – che conteneva 80KB di dati. Lo sporco divenne però subito un problema serio e, chiudendo il disco in un involucro di plastica e riducendo le dimensioni, dopo pochi passaggi intermedi, si arrivò al piccolo floppy disk da 3,5 pollici e la notevole capacità di immagazzinare dati per 1,44MB che molti hanno utilizzato coi primi personal computer nei primi anni ’80. Il disco era ben protetto nella sua custodia in plastica e, grazie alla sua adozione da parte di Apple del 1984, divenne uno standard di fatto.

E mentre i personal computer iniziavano la conquista delle nostre case e delle nostre vite, cosa accadeva nel mondo della fotografia?
Niente.
All’inizio si continuava a fotografare in analogico e, quando si dovevano adoperare le foto sul computer, si facevano le scansioni (penso con raccapriccio alla qualità ed alla risoluzione dei primi, costosissimi scanner), poi iniziarono ad arrivare le prime fotocamere digitali, anche queste costosissime e dalla qualità molto bassa.
SONY MAVICA (1981)
La prima fotocamera digitale disponibile sul mercato dopo il prototipo di Kodak del 1975, fu la Sony Mavica nel 1981 ed utilizzava un floppy disk come supporto di memoria. Ricordo ancora quando il grossista dove facevo i miei acquisti fotografici, me la mostrò dicendo che non avrei potuto farne a meno. Mi scattò alcune foto che ancora oggi ho da parte, ma fu proprio per colpa di quelle foto dimostrative che la “tentazione” non andò a buon fine. Anche allora la risoluzione di 570×490 pixel era bassa (che ci potevo mai fare se non stupire qualche cliente?) e la qualità del tutto inutile per un fotografo. Allego le foto così come uscirono dalla fotocamera: oggi non accetteremmo quella qualità e quella risoluzione neanche da un cellulare.

Difficile considerarla una “vera fotocamera digitale” visto che, al posto della pellicola aveva un sensore da videocamera e, come le videocamere, registrava i dati su un nastro magnetico. Il segnale era analogico, un insieme di righe come il segnale TV e per questo è più giusto considerarla una videocamera in grado di scattare anche immagini – degli still video – ed infatti il nome “Ruvi” sta per “Recording Unit by Video”. Molto piccola e compatta (la Mavica, nonostante le apparenze, è abbastanza grande), solo 124x66x44,1mm e 380 grammi, per alimentarsi richiedeva 2 batterie AA che non duravano neanche 30 minuti per un video di orribile qualità. Stendiamo un velo pietoso sulle foto.

POLAROID PDC-2000 (1996)
Il salto di qualità con le precedenti Sony è notevole: da 570×490 pixel si balza a 800×600 pixel che potevano essere interpolati a 1600×1200 con un sensore CCD da 1 milione di pixel. L’estetica è da fotocamera del futuro con il particolare sviluppo orizzontale e la sigla PDC-2000, nonostante si fosse nel 1996, conferma questa impressione. Una fotocamera a metà strada tra le compatte economiche e le ultraprofessionali, ma – attenzione! – il “prezzo a metà strada” era pur sempre tra i 5 e gli 8 milioni di vecchie Lire a seconda dei kit, una cifra elevatissima per l’epoca. Obiettivi intercambiabili, anche se solo due (corrispondenti a 38 e 60mm, 35mm equiv.), autofocus, hard disk interno o memoria “Flash Drive” ed interfaccia SCSI in 900 grammi di peso (non certo leggera anche oggi).

La fotografia digitale, partita in maniera quasi stentata, prosegue sempre più velocemente e con entusiasmo, ma per molti anni, a causa dei limiti dei sensori, non riesce ancora a sostituire la pellicola. Con qualsiasi reflex 35mm, per non parlare di medio e grande formato, era possibile ottenere risultati di gran lunga superiori oltre ad usufruire di un vasto parco di obiettivi ed accessori.
Di conseguenza, dovendosi affidare ancora alla pellicola, il mercato fotografico ha visto numerosissime proposte di scanner fotografici di tutti i prezzi e per tutti i formati, ma anche i primi scanner, oggi, sembrano dei giocattoli. A suo tempo ne ho posseduti diversi – i migliori che un fotografo potesse acquistare ed i primi risultati validi si sono iniziati a vedere con la generazione dei Nikon LS-2000 e gli equivalenti di altri marchi.

La nostra vita, prima documentata con le pellicole, è passata poi al digitale, riempiendo prima i modesti floppy disk per arrivare a supporti sempre più capienti sino agli attuali HD da diversi terabyte. Del resto ci vuole poco a riempirli fotografando con fotocamere digitali ad alta risoluzione e, per esempio, salvando le foto in RAW+JPG con una fotocamera da 61Mpx come la recente Sigma fp L, si occupano in media almeno 120-130MB. E’ facile saturare un HD e se si ha un HD di backup, cosa saggia da fare, si raddoppia tutto. Se penso che i negativi che hanno documentato la vita dei miei genitori e della mia infanzia (e non sono pochi!) sono entrati tutti in una scatola di scarpe, mi viene lo sconforto.
Rino Giardiello © 05/2021
Riproduzione Riservata
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