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La perfezione

di Tiziana Bonomo

La perfezione. Il giorno della memoria è passato.

Il giorno della memoria è passato. La foto di Ivo Saglietti invece rimane qui nella mia mente nel mio cuore. Quando la vidi la prima volta rimasi stupita da quanto un uomo un fotografo come Saglietti fosse riuscito a fermare in una sola immagine il silenzio la morte la vita il male il surreale il reale. Potrei pensare che in questa immagine ad Auschwitz/Birkenau si racchiuda la bellezza del Male.

Il Male ha la sua seduzione e si manifesta con una abilità strisciante.

La natura si manifesta incastrando la seducente rotondità della luna nel quadrato della torretta di controllo del lager e rilasciando la sua luce sul manto nevoso per segnalare presenze misteriose intorno ai tralicci della luce.

Basta ricordare Auschwitz/Birkenau che tutto assume una dimensione metafisica. L’orrore avvolto dai giochi soffici della luce ripresa in bianco e nero si deposita sul muro di filo spinato e per un attimo ansioso struggente sembra sentire le voci sottili i dolori penetranti i pensieri impazziti dentro ai lager avvolti dal freddo dell’inverno.

La composizione è perfetta. L’equilibrio tra la luce e le ombre è perfetto. L’ orrore durante la seconda guerra mondiale sembra essersi infilato dentro alla strada nel cielo nella neve nei pali della luce nel filo spinato. Il Male è perfetto non si cancella mai! Quel Male fa eco, rimbalza in quello che continua a manifestarsi in altri lager, in altri luoghi, in altri paesi. Ivo ha scattato una foto che poteva fare solamente con il cuore. Attenzione non è retorica è come diceva Eugene Smith. “Nel migliore dei casi, la fotografia è solo una voce sottile, ma a volte, anche se rara, una fotografia o un insieme di fotografie, può aumentare la nostra consapevolezza. Dipende molto da chi sta guardando, e in alcuni, una semplice istantanea può generare abbastanza emozione da innescare una riflessione”, scriveva Eugene Smith nel 1974, due anni dopo essere stato aggredito e ferito gravemente a Minamata – al punto da perderne una parte della vista rimanendo con un solo occhio – mentre documentava le proteste a Minamata. E poi ha sempre sostenuto: “A cosa serve una grande profondità di campo se non c’è un’adeguata profondità di sentimento?”. Sentimento emozione memoria.

La memoria è una parola ambigua usata spesso pensando ad un passato distante se non in molti casi lontano. La memoria però è anche il presente come quella che si chiede ad uno studente di ricordare quello che sta studiando in quel momento attingendo proprio alla sua memoria: quella del presente e non del passato.

Il Male ha facile presa sulla memoria di ieri e di oggi. Il silenzio dell’immagine di Saglietti è lo stesso di tutti coloro che sanno e non intervengono. Il Male che grande capacità ha: quella di celarsi sotto un manto nevoso per coprire il sangue, la morte e farsi così dimenticare. Noi però non vogliamo dimenticare il passato e il presente.

Le parole di Liliana Segre sono più che mai attuali per tutti coloro che marciano obbligati a marciare e a morire: «Si chiamava marcia della morte, perché chi non ce la faceva veniva ucciso. E spesso gli “scheletri” non ce la facevano a camminare. Io ero così abituata a quella visione che non mi voltavo, mettevo una gamba davanti all’altra e andavo avanti. Volevo vivere».

Nella fotografia di Saglietti sembra di intravedere delle tracce. Una gamba davanti all’altra. Se si cade la neve poi copre e fa tacere urla disperazione …. in un gioco surreale prevale la poesia della luna, quella della vita.

 

DIDASCALIA ©Archivio Saglietti Auschwitz/Birkenau

 

BIOGRAFIA IVO SAGLIETTI

Ivo Saglietti (Tolone 1948 – Genova 2023) dopo un periodo come cineoperatore nella produzione di reportage politico-sociali a Torino, nel 1975 ha iniziato a occuparsi di fotografia.

A Parigi dal 1978, ha compiuto numerosi viaggi come reporter-photographe per documentare, su incarico di agenzie francesi e americane, nonché di grandi riviste internazionali («Newsweek», «Der Spiegel», «Time», «The New York Times»), situazioni di crisi e di conflitto in America Latina, Medio Oriente, Africa e Balcani.

Nel tempo, si concentra sempre di più su lunghi progetti di documentazione, che gli permettono di raccontare le storie in modo più articolato e meno condizionato dalle esigenze e richieste dei settimanali. In quegli anni ha seguito le tracce della tratta degli schiavi in Benin, ha visitato le piantagioni di zucchero nella Repubblica Dominicana e ad Haiti e ha realizzato un resoconto fotografico delle tre principali malattie che devastano i Paesi del Terzo Mondo: AIDS, malaria e tubercolosi.

Ha inoltre esplorato il possibile dialogo tra le religioni attraverso l’esperienza comunitaria dell’antico monastero siriano antiocheno di Deir Mar Musa el-Habasci e ha scoperto le frontiere del Mediterraneo e del Medio Oriente, per il quale ha continuato a lavorare negli ultimi dieci anni.

Nel 2000 diventa membro ufficiale dell’agenzia fotogiornalistica tedesca Zeitenspiegen Reportagen. Il suo sguardo asciutto ed empatico, la sua fotografia rivolta in maniera diretta al dilemma dell’uomo e del suo destino gli sono valsi il World Press Photo Award nel 1992 per un servizio sull’epidemia di colera in Perù, nel 1999 per un reportage sul Kosovo e nel 2011 per una fotografia su Srebrenica, in Bosnia.  Ha pubblicato ed esibito il suo lavoro in tutto il mondo e nel corso della sua lunga carriera ha ricevuto molti prestigiosi riconoscimenti, oltre al World Press Photo, il premio Enzo Baldoni e il premio Chatwin Occhio Assoluto.

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