Però se uno cercasse di rispondere alla domanda “Si, vabbè, ma cosa è la fotografia? Prova a definirla in sintesi”, sarebbe complicato rispondere.
Ho sentito e letto molti tentativi di risposta, tutti centravano un obbiettivo però poi lasciavano lacune.
Uno solo secondo me riuscì a infilare nella freccia dei punti importanti.
“La fotografia è un fatto arbitrario. Non oggettivo.
La sua relazione coi magazine, gallerie o altro non è influenzata dal
consenso mediatico proveniente dai social network, che fanno partita a sé.
Chi ci smena sei tu, che la guardi o che la usi ‘sta fotografia. E non
sai più bene dove puntare per trarre conforto.
Perché la fotografia alla quale penso è anche confortante.
La fotografia alla quale penso se ne fotte di ammiccamenti di
qualsiasi tipo e si occupa di se stessa, modulandosi col soggetto di
turno indipendentemente dalla sua importanza.
Usandolo come pretesto.
Indipendentemente dal grado di fotogenia (falso problema).
Indipendentemente dall’appeal, dall’interesse sociale che riscuote,
dall’attualità, dal trend di turno, dalla morale.
La fotografia alla quale penso, quando incappa nel concettuale ha con
questo un rapporto strumentale, non subordinato. E non perde la forma.
Non ha intenti messianici né sguardo incline ad alcuna dichiarazione
demagogica, quella che in genere forma una patina brillante tanto
utile in alcuni salotti espositivi, spesso tinelli.
La fotografia alla quale penso e nella quale mi rifletto non è un
vezzeggiativo. Non è carina, non è simpatica.
Non accattivante…
Non è spaccona. Non sbraita. Se alza i toni emette un urlo muto che
costringe a frequenze inusuali immutate nei secoli.
Non ha alcuna pretesa, a parte quella di trovare sede in me.
Questa fotografia obliqua non ha bandiera, non ha parrocchia, non ha diktat.
Non si interroga sul senso del mondo, lo rappresenta.
Seleziona, inventa e restituisce a suo piacimento. Senza se e senza ma.
Diretta come una sprangata o leggera come una carezza vera, di quelle
apparentemente distratte.
Per questo non è glamour… anzi non sa neanche cosa significhi
mancandole proprio dal DNA. Strano non ne soffra…
La fotografia alla quale penso non si interroga sul grado di dignità
di chi la produce, né del medium che la accoglie, fosse anche il
cassetto in ufficio.
Ma scusate! Ma perché diavolo dovremmo fotografare?
Per soddisfare quale impulso? Una qualche ambizione?
Qual è l’urgenza se non rispondere alla propria coscienza, quella roba
che prevede la consapevolezza di sé?
Che in fotografia coincide con l’immagine prodotta.
A patto che non costituisca sforzo: la fatica si vede!
Mentre credo nell’ancestralità della fotografia e m’interessa ciò che
non si vede.
Io credo nell’utopia, e la fotografia le dà forma.
Nelle pieghe dell’imperfetto, negli sgabuzzini della memoria evolutiva
si trova ciò che ci appartiene e al netto del doping mediatico lì
potremmo trovare la nostra voce.
Quella che stentiamo a riconoscere quando riprodotta fuori da noi.
La fotografia si occupa dell’invisibile… se ti riguarda davvero,
saprai dargli forma.
E restituirlo.
C’è una fotografia artificiale ed emulativa che non ci riguarda.
Poi ce n’è una che ci appartiene. Usiamola. Dovunque.
La fotografia non esiste senza di noi.”
Altri articoli di questa rubrica
Lara Zankoul – Sopra o sotto?
David Yarrow – Storie di un pianeta che abbiamo la fortuna di chiamare casa
BAND AID e LIVE AID – Due cose bellissime che non servirono a nulla
PAOLO MONTI – Il dilettante che fece scuola ai professionisti
JEANLOUP SIEFF – L’eleganza immortale
KATIA BERESTOVA – “Vado più in profondità e uso la poesia visiva”
Martine Franck e l’ombra di Henri Cartier Bresson
Mária Švarbová – L’acqua è uno specchio per le persone e per le loro anime
La RAGAZZA AFGHANA è in ITALIA – Una storia che forse non tutti conoscono
Ian Howorth e l’esplorazione visiva dell’identità e dell’appartenenza.
Fotografo ritrattista. Venti anni di esperienza nella fotografia di “people” spaziando dal ritratto per celebrity, beauty, adv e mantenendo sempre uno sguardo al reportage sociale.
Ha coordinato il dipartimento di fotografia dell’Istituto Europeo di Design ed è docente di Educazione al linguaggio fotografico presso la Raffles School, Università di design di Milano.
Il suo portfolio comprende lavori autoriali e commerciali per FIAT, Iveco, Lavazza, Chicco, Oréal e la pubblicazione di quattro libri fotografici: “Ecce Femina” (2000), “99 per Amnesty” (2003),
“La Soglia. Vita, carcere e teatro” (premio reportage Orvieto Prof. Photography Awards 2005),
“Go 4 it/Universiadi 2007”.
Ha curato l’immagine per vari personaggi dello spettacolo, Arturo Brachetti, Luciana Littizzetto, Fernanda Lessa, Antonella Elia, Neja, Eiffel65, Marco Berry, Levante …
Negli ultimi anni ha spostato la sua creatività anche alle riprese video, sia come regista che come direttore della fotografia, uno dei suoi lavori più premiati è il videoclip “Alfonso” della cantautrice Levante (oltre otto milioni di visualizzazioni).
Ha diretto il dipartimento di fotografia dello IED di Torino ed è docente di “Educazione al linguaggio fotografico” presso la RM Moda e design di Milano.
Paolo Ranzani è referente artistico 4k in merito al progetto “TORINO MOSAICO” del collettivo “DeadPhotoWorking”, progetto scelto per inaugurare “Luci d’Artista” a Torino.
E’ stato nominato da Giovanni Gastel presidente AFIP Torino.
Nel 2019 il lavoro fotografico sul teatro in carcere è stato ospite di Matera Capitale della Cultura.
Pubblicati e mostre:
“Ecce Femina” (2000),
“99 per Amnesty” (2003),
“La Soglia. Vita, carcere e teatro” (premio reportage Orvieto Prof. Photography Awards 2005),
“Go 4 you/Universiadi 2007” ,
Premio 2005 per il ciack award fotografo di scena
Premio 2007 fotografia creativa TAU VISUAL
Premio 2009 come miglior fotografo creativo editoriale
Ideatore e organizzatore del concorso fotografico internazionale OPEN PICS per il Salone del Libro di Torino – 2004
Dal 2017 scrive “Ap/Punti di vista” una rubrica bimestrale di fotografia sul magazine Torinerò.
No comment yet, add your voice below!