… creatività è unire elementi esistenti con connessioni nuove che siano utili…”.
(Henri Poincaré)
Per essere creativi è necessario rompere le regole esistenti per crearne delle altre migliori, o comunque diverse, ma a condizione di conoscere bene le regole che si vogliono rompere.
La creatività è la capacità di superare ciò che è comune; la particolare capacità della mente umana di “pensare al di fuori dagli schemi” per trovare soluzioni originali e nuovi linguaggi di comunicazione. La creatività ci appartiene, pensiamo a quando siamo stati bambini e trasformavamo qualunque cosa o oggetto in un qualcosa di fantastico, in un nuovo gioco ogni volta diverso. Senza la creatività, probabilmente, non avremmo avuto l’evoluzione scientifica e antropologica che siamo riusciti a realizzare.
Qualcuno sostiene che la creatività sia strettamente connessa con il proliferare del digitale: sicuramente, tra le colpe maggiori del digitale, vi è la capacità di far dimenticare la Fotografia, la Storia della fotografia; il digitale ha reso tutti amnetici. Eppure, proprio la conoscenza del passato, dei grandi Maestri della fotografia ci permette di essere creativi, di uscire fuori dagli schemi precostituiti e dagli stereotipi.
Volendo spezzare una lancia a favore del digitale posso affermare che con esso la creatività può essere maggiormente stimolata, potendo visualizzare immediatamente, oltre che compararlo, il risultato del nostro processo creativo: possiamo “ingannare” con estrema facilità la fotografia intesa come rappresentazione della realtà. Ma se questo assunto fosse vero, allora, i veri capolavori della creatività fotografica, realizzati da tanti Maestri della fotografia, Ansel Adams, Stephan Stieglitz, ecc., non avrebbero potuto essere definiti come fotografia creativa: questa è una interpretazione soggettiva di un istante oggettivo, con l’unica alterazione derivante dalla sensibilità e dalla cultura visiva di colui che decide di scattare quella foto e non un’altra.
Quindi, posso potrei asserire, anche perché fa parte del mio bagaglio culturale e professionale di fotografo, che la fotografia creativa è il prodotto della personale capacità di “interpretare” la realtà in maniera soggettiva e non una alterazione della realtà.
Anche la fotografia naturalistica, sia terrestre che subacquea, non si sottrae alla annosa discussione su quali siano, ammesso che vi siano, i confini tra la fotografia naturalistica, sic et simpliciter, e la fotografia creativa. Dando per assodato, così come argomentato nelle righe precedenti, che creatività non è sinonimo di alterazione, vediamo di capire cosa è la fotografia naturalistica e chi è il fotografo naturalista. Partiamo dalla definizione lessicale di fotografo naturalista: « il fotografo naturalista è colui che concentra la propria attenzione sulla bellezza di fauna e flora selvatica immerse nel proprio ambiente naturale. Il fotografo naturalista deve avere l’accortezza nel non influenzare l’ambiente con la propria presenza e il cercare o l’attendere gli eventi e gli istanti migliori per lo scatto».
Quindi un fotografo naturalista deve documentare la bellezza della flora e della fauna selvatica nel loro ambiente naturale; ma anche documentare ciò che di nuovo si presenta alla sua attenzione e che, magari, fuoriesce da schemi codificati ma che possono essere messi in discussione perché obsoleti. La definizione lessicale di fotografo naturalista come di colui che non deve influenzare l’ambiente naturale con il suo comportamento.
Per le caratteristiche delineate, il genere della fotografia naturalistica può inglobare anche altri generi fotografici purché i loro scatti siano stati eseguiti e rappresentino lo stesso spirito. Alcuni dei più classici esempi di generi fotografici inglobati sono da ricercare all’interno della fotografia paesaggistica e della macrofotografia o di quella d’architettura.
Quanta confusione esiste quando, per difendere tesi indifendibili, si usa come argomentazione quella della post-produzione: confusione che nasce dalla ignoranza tra elaborazione elettronica e post-produzione. La post-produzione esiste in quanto senza non esisterebbe neanche la fotografia: nell’epoca del digitale lo sviluppo delle informazioni elettriche e digitali, che formano il nostro file RAW, viene eseguito all’interno della fotocamera senza dover ricorrere ad un laboratorio esterno. La differenza sta nel decidere se affidarci allo sviluppo standard, incluso nella nostra fotocamera (Picture Control o Picture Style) o decidere in maniera autonoma il tipo di sviluppo che vogliamo applicare a quella determinata foto, in funzione del risultato emotivo che vogliamo far percepire al nostro osservatore. Pensiamo alla tecnica definita del “Sistema Zonale” con cui Ansel Adams scattava i suoi capolavori di fotografia naturalistica e paesaggistica: il sistema zonale è una tecnica utilizzata in fotografia per determinare l’esposizione e il procedimento di sviluppo ottimali per rendere l’intera gamma delle sfumature tonali di una determinata scena. Questa tecnica la possiamo applicare anche al moderno sistema digitale a condizione di conoscerlo, senza voler demonizzare a ogni costo quel processo di sviluppo noto come post-produzione.
Prendo spunto da una frase di un altro dei grandi Maestri della fotografia naturalistica e di paesaggio italiano, Franco Fontana: I fotografi creativi riflettono se stessi nel mondo, e del mondo si fanno specchio: così, riescono a rendere visibile l’invisibile e a lasciare indelebile traccia del loro sguardo. La creatività è vedere in modo diverso, fuori da schemi precostituiti, è spalancare porte chiuse che impediscono di uscire fuori facendoci restare imprigionati in gabbie culturali obsolete. Bisogna avere nuove visioni, bisogna essere capaci di usare gli strumenti che formano una fotografia (la luce, la composizione) in maniera diversa e personale. Cito ancora Franco Fontana: Importante che la fotografia abbia una propria identità, che non sia muta…. che non sia copia del lavoro di qualcun altro… che sia nostra, che abbia una sua forma fotografica… che ci identifichi… Identità fa rima con creatività, essere unici pur facendo ciò che apparentemente fanno gli altri è il segreto per essere creativi: non abbiamo bisogno di stravolgere la Natura o gli ambienti naturali.
La creatività la ritroviamo anche nella ripetizione di un gesto, ma non nella sua monotonia, che è connesso con il concetto di perfezione tanto caro alla filosofia Zen. Essere creativi significa non avere esitazione nel fare quel gesto, non esiste il provare ma solo il fare o non fare: un automatismo che può derivare solo da una profonda conoscenza affinché possa essere eseguito senza che la mente ne venga coinvolta.
Elemento fondante e fondamentale della creatività è possedere una profonda autocritica: essere imparziali verso se stessi, non mentirsi mai, non cercare giustificazioni a ciò che non é giustificabile. Nella fotografia subacquea, dove i soggetti sono sempre gli stessi così anche per gli ambienti e le attrezzature (salvo rarissime eccezioni) come possiamo essere creativi? Utilizziamo in maniera diversa e personale la luce, la composizione, il “vedere” ciò che gli altri non vedono; non seguiamo le mode, ma prendiamo spunto da esse e da ciò che di buono è fatto dagli altri e personalizziamolo al punto da non doverlo neanche più firmare affinchè sia riconoscibile agli osservatori.
Una fotografia che pretende di contenere tutto finisce per non significare niente.
Penso che ci sia tutto nella luce, e io ho scelto la luce.
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