Spulciando libri e siti web in cerca di Storie di Fotografia mi imbatto in racconto piuttosto curioso, assurdo e drammatico allo stesso tempo.
Un errore fotografico che riguarda gli ultimi momenti di vita di Che Guevara. Non ho certezze che sia vera ma è riportato in più documenti con una certa dovizia di particolari e tutto sommato è piuttosto credibile. Ad ogni modo lascio a tutti voi il beneficio del dubbio.
L’8 ottobre del 1967, alla Quebrada del Yuro, il gruppo comandato dal Guevara fu accerchiato dai militari. Il Comandante fu tradito da uno dei suoi compagni e negli ultimi attimi concitati di guerriglia il Che venne ferito alle gambe e catturato. Prima di farsi prendere disse “Trattatemi bene, valgo più da vivo che da morto!”
A rivelarlo, è scritto nel documento top secret, protocollo n. 64285 – adesso pubblico grazie al National Security Archive di Washington – “Ci sono persone che affermano di aver visto e parlato con il Comandante Guevara da quando è scomparso nel marzo 1965”. Uno di loro, quello che diede alla Cia la prova definitiva della presenza del Che nelle montagne sud-orientali della Bolivia, era Régis Debray, il filosofo e giornalista francese ammaliato dalla rivoluzione cubana che, dopo aver vissuto a Cuba, decise di seguire Guevara nella sua avventura in Sudamerica. E che nell’aprile 1967 lo tradì.
Il Comandante venne poi trasferito nella scuola del villaggio di Higueras, interrogato e poi lasciato per una notte senza cure con le gambe malconce e le ferite solo fasciate malamente.
All’alba del 9 ottobre l’ambasciatore Henderson comunica al Dipartimento di stato che il Che si trova tra gli uomini catturati, malato gravemente e ferito.
A La Higuera sta sorgendo il giorno e le sentinelle sentono il rumore dell’elicottero che trasporta il colonnello Zenteno, venuto da Vallegrande e accompagnato dall’agente della CIA Félix Rodríguez.
I due si dirigono verso la casa del telegrafista in cui si trovano i documenti rinvenuti nello zaino del Che, poi fanno visita al prigioniero e dopo una breve discussione lo fanno uscire dalla scuola occupata e allestita per l’occasione come ricovero. L’agente Félix, orgoglioso di vivere quel momento, gli chiede il permesso di fare una foto insieme. Il comandante non risponde e non lo guarda neanche. Il colonnello invece si allontana, non vuole essere presente in quella scena. L’agente della CIA allora chiede al pilota dell’elicottero, il maggiore Jaime Niño de Guzmàn, gli porge la fotocamera e gli dice “Fammi una foto con il prigioniero”. Dapprima il maggiore è titubante, poi capisce che lì si stanno scrivendo pagine di storia e così prende la macchina fotografica e fa una fotografia, però poi chiede all’agente di fare la stessa cosa: “Ora tocca a me, ne faccia una anche con me!”. Félix Rodríguez pare abbia un momento di fastidio, fa un gesto come per dire che non c’è tempo, ma vedendo la fermezza del pilota acconsente; lascia il posto vicino allo stremato e indolente Che e fa due passi indietro, armeggia con la fotocamera e furtivamente apre del tutto il diaframma cosicché la foto verrà sovraesposta, bruciata.
L’agente della Cia era convinto di poter dire di essere l’unico possessore dell’ultima fotografia del Che in vita!
Che Guevara venne poi riportato nelle stanze adibite a momentanea prigione e sala medica dove continuò a non ricevere adeguate cure e l’agente della CIA se ne tornò al comando di Vallegrande con i suoi compagni.
Al mattino del 9 ottobre, per decisione ufficiale del Governo, il Comandante Che Guevara venne riportato all’aperto e, dopo essere stato deriso e accusato di molteplici reati, venne ucciso. Ci sono varie teorie su come morì esattamente. Ormai pare certo che le pallottole che lo colpirono nel pomeriggio di domenica sulla Quebrada de Churo non furono mortali, e che se fosse stato trasportato in serata a Vallegrande si sarebbe quasi sicuramente salvato. Tuttavia, il Che non è morto soltanto perché gli sono state negate le cure necessarie. Il Che è morto all’alba di lunedì con una pistolettata tiratagli da vicino in direzione del cuore, forse, così narra la storia scritta, da Mario Terán, un militare boliviano noto per essere stato il sergente estratto a sorte per fucilare Che Guevara. Si dice anche che egli, in seguito, si suicidò per ciò che fece, ma ci sono troppe notizie differenti in merito.
…
Però… c’è un però in questa storia. Quello che volevo raccontarvi è ben altro, torniamo quindi alla fotografia accanto al Comandante ferito.
In quel mattino, prima della morte, le sentinelle e altri militari non vollero perdere l’occasione e decisero anche loro di farsi immortalare in fotografia a fianco del Che e si fecero una serie di scatti di gruppo per ricordo.
Queste immagini infatti sono le uniche fotografie che siano mai arrivate ai giorni nostri.
E l’agente della CIA Felix Rodrìguez?
Del suo ritratto “unico” con il Comandante infatti non vi è traccia. Si conosce la storia, mai smentita, ma non si vide mai quella fotografia che avrebbe dovuto essere l’unica.
Chi lo sa…. forse anche l’elicotterista, per sbaglio o per ironia, aprì un po’ troppo il diaframma.
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Adolfo Porry-Pastorel. Fotogiornalismo e piccioni viaggiatori
Fotografo ritrattista. Venti anni di esperienza nella fotografia di “people” spaziando dal ritratto per celebrity, beauty, adv e mantenendo sempre uno sguardo al reportage sociale.
Ha coordinato il dipartimento di fotografia dell’Istituto Europeo di Design ed è docente di Educazione al linguaggio fotografico presso la Raffles School, Università di design di Milano.
Il suo portfolio comprende lavori autoriali e commerciali per FIAT, Iveco, Lavazza, Chicco, Oréal e la pubblicazione di quattro libri fotografici: “Ecce Femina” (2000), “99 per Amnesty” (2003),
“La Soglia. Vita, carcere e teatro” (premio reportage Orvieto Prof. Photography Awards 2005),
“Go 4 it/Universiadi 2007”.
Ha curato l’immagine per vari personaggi dello spettacolo, Arturo Brachetti, Luciana Littizzetto, Fernanda Lessa, Antonella Elia, Neja, Eiffel65, Marco Berry, Levante …
Negli ultimi anni ha spostato la sua creatività anche alle riprese video, sia come regista che come direttore della fotografia, uno dei suoi lavori più premiati è il videoclip “Alfonso” della cantautrice Levante (oltre otto milioni di visualizzazioni).
Ha diretto il dipartimento di fotografia dello IED di Torino ed è docente di “Educazione al linguaggio fotografico” presso la RM Moda e design di Milano.
Paolo Ranzani è referente artistico 4k in merito al progetto “TORINO MOSAICO” del collettivo “DeadPhotoWorking”, progetto scelto per inaugurare “Luci d’Artista” a Torino.
E’ stato nominato da Giovanni Gastel presidente AFIP Torino.
Nel 2019 il lavoro fotografico sul teatro in carcere è stato ospite di Matera Capitale della Cultura.
Pubblicati e mostre:
“Ecce Femina” (2000),
“99 per Amnesty” (2003),
“La Soglia. Vita, carcere e teatro” (premio reportage Orvieto Prof. Photography Awards 2005),
“Go 4 you/Universiadi 2007” ,
Premio 2005 per il ciack award fotografo di scena
Premio 2007 fotografia creativa TAU VISUAL
Premio 2009 come miglior fotografo creativo editoriale
Ideatore e organizzatore del concorso fotografico internazionale OPEN PICS per il Salone del Libro di Torino – 2004
Dal 2017 scrive “Ap/Punti di vista” una rubrica bimestrale di fotografia sul magazine Torinerò.
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