Il nuovo libro di Gente di Fotografia Edizioni

[…] La città che Giuliana Mariniello sceglie di raffigurare è quella che gli occhi percepiscono: caratterizzata da impalcature rivestite di teloni decorati con immagini pubblicitarie o da riproduzioni della struttura architettonica occultata; è lo spazio punteggiato da tabelloni per affissioni collocati sullo sfondo degli edifici; sono automezzi pubblici travestiti con decalcomanie. La sua trascrizione fotografica di questo ambiente, che quasi sempre percepiamo inconsciamente e senza impegnarci a guardare per capire, è riletto mediante un’inquadratura selettiva e con l’uso sapiente dell’à plat di tradizione matissiana, in modo da trasformare radicalmente i rapporti prossemici fra le cose rappresentate e suscitare nuovi significati, frequentemente carichi d’ironia. […]
(dal testo di Massimo Mussini)

[…] Il percorso fotografico di Giuliana Mariniello è un’altra forma di stravolgimento del significato del manifesto ottenuto attraverso l’avvicinamento imprevisto e beffardo, vale a dire la messa in discussione sistematica dei significati. Giuliana Mariniello trascrive quello che vede, quello che il pubblico non vede più e gli dà un senso penetrante tramite la collisione delle immagini e dei messaggi pubblicitari. La fotografa constata la casualità delle sovrimpressioni per giungere al risultato di un collage generale e surreale. Ci fa vedere le cose in maniera differente per non dire folgorante. […]
(dal testo di Charles-Henri Favrod)

[…] Le sue fotografie sono pensate come l’espressione di una effimera città fittizia popolata da immagini a volte gigantesche, fatte di volti ammiccanti, paesaggi illusori, scritture evocative di un “popolo di carta stampata” dove la manipolazione digitale trasfigura e modifica il senso delle cose. Una città d’immagini in una città reale invasa da finzioni e messaggi omologati e opachi in un contesto urbano spesso escluso da una cultura progettuale ben lontana da quell’idea di città pensata da scrittori come Calvino, Perec e Borges, in cui è normale riconoscere se stessi insieme agli altri. [..]
(dal testo di Mario Cresci)

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