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INTERVISTA “Non fotografi sulla fotografia” : VALENTINA NOYA – Visual Researcher & Storytelling Facilitator for International Cooperation and Participatory Video Project Manager

di Paolo Ranzani

Come possiamo presentarti in poche righe?

Sono una progettista culturale e collaboro da quasi 8 anni con l’Associazione Museo Nazionale del Cinema. Sono anche una produttrice cinematografica e ho da pochissimo fondato la mia società, Notte Americana srl. Mi occupo con passione da molti più anni di ricerca-azione visuale e partecipativa. 

Che rapporto hai con la fotografia nella tua professione?

Per me la fotografia è la madre, la cellula primigenia del cinema. Senza la fotografia non esisterebbe il cinema e nessun buon regista ignora il senso della composizione e le regole essenziali della fotografia. Il mio rapporto personale con la fotografia è di grande venerazione e timore quasi reverenziale, non privo di una certa ambiguità. Tendenzialmente le fotografie a cui tengo come ricordi sono pochissime e impresse nella mente, alcune le ho anche perse fisicamente, quando i supporti erano solo materiali e il digitale e la comunicazione tramite i social non così diffusa, o praticamente inesistente. 

Per quanto riguarda il mio lavoro sono molto debitrice nel mio metodo di lavoro nei progetti di video partecipativo a strumenti della ricerca visuale partecipativa come photoelicitation o photovoice.

E invece che rapporto hai con la fotografia nella vita privata?

Non mi scatto quasi mai selfie, né personali, né collettivi. Anche se mi rendo conto ripercorrendo la mia storia personale che in dei momenti precisi e difficili della mia vita l’ho fatto, per ricordare dei momenti, per ricercare attraverso un fermo immagine un monito futuro per la mia vita. Credo in questo di essere stata particolarmente influenzata da Cristina Nuñez con la quale ho svolto diversi anni fa un workshop intensivo di autoritratto terapeutico. 

Quali sono i fotografi (italiani e non italiani) che conosci e che apprezzi?

Dirò un nome di un fotografo torinese, un po’ per sciovinismo sabaudo (io che non ci sono nata e non mi sento torinese, ma di fatto lo sono: a breve compirò 39 anni e ufficialmente saranno più gli anni vissuti a Torino, che nella mia natia Sardegna), un po’ perché sono affezionata e legata a una bellissima foto che possiedo di questo artista: Alessandro Albert. La foto in bianco e nero ritrae i suoi due figli preadolescenti, tagliati in primo piano, con le spalle nude, un maschio e una femmina, la ragazzina guarda il ragazzino che invece ha gli occhi chiusi ed entrambi sono legati da un filo che tengono in bocca ognuno per un lembo. Questa foto mi parla molto del rapporto con mio fratello, quello che c’è e quello che vorrei o avrei voluto. Penso che quello che debbano fare le fotografie è parlarci, quando lo fanno così intensamente nel loro silenzio, sono belle fotografie. 

Poi per quanto riguarda i fotografi internazionali sparo dei nomi che mi vengono in mente adesso, in disordine e senza un effettivo ragionamento razionale che invece necessiterebbe una riflessione del genere… William Eugene Smith, Franck Orvat, Ugo Mulas, Bill Brandt, Francesca Woodman, Nan Goldin, Monika Bulaj. 

Usi molto i social?

Come ho detto prima non amo farmi o “farci” selfie, quindi direi che sono già una poco social. Li uso più con una funzione lavorativa, gestisco pagine, pubblico post con toni mediamente seri, anche se qualche volta pubblico qualcosa di personale, è sempre per dare un’immagine di me che rifletta quello che sono: una persona eccessivamente responsabile, talvolta simpatica, ma neppure troppo. 

La fotografia è una delle espressioni che più ha subito la mutazione tecnologica, come ti immagini il suo proseguo nel futuro?

Nel futuro, e anche nel presente, vedo risvolti distopici imminenti… ma non è questa la sede in cui parlarne. La fotografia come il cinema in quanto arte, per me, sopravviverà sempre. Evolverà in nuove forme questo è poco, ma sicuro. Io stessa, sono estremamente proiettata nel mondo delle nuove tecnologie e della realtà virtuale in chiave artistica. 

Usi lo smartphone per fare le fotografie o hai anche una fotocamera?

Uso lo smartphone attualmente. Ho vecchie fotocamere, una regalata da mio nonno che era un regista. E poi ho una macchina per le polaroid. 

Quante fotografie realizzi in un giorno o in una settimana?

Farei un distinguo tra le fotografie funzionali e le fotografie inutili o artistiche. Le foto funzionali, tipo c’è una perdita e l’idraulico deve vedere prima di venire o devo spiegargli una cosa perché ho bisogno di un aiuto, oppure ho qualche allergia strana e devo chiedere consulto a mia madre medico, di solito questo tipo di foto sono in media una al giorno. Poi le foto inutili le scatto di solito quando c’è qualcosa di bello o insolito che mi colpisce. E queste pure non saranno più di una al giorno, in media. Poi cerco ciclicamente di cancellare tutto quello che mi intasa il telefono. 

Hai conoscenza sul diritto di autore delle fotografie?

Parziale. 

Quando non lavori di cosa ti occupi?

Del mio cane ultimamente, che è molto fotogenico e al quale effettivamente faccio molte foto, che ogni tanto pubblico sui social, ma solo ogni tanto. 

Per finire cosa vuoi lasciarci di te?

Vi dico che prossimamente sarà online la mia nuova avventura!

http://notteamericana.com/

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