INTERVISTA “Non fotografi sulla fotografia” : Maurizio Cartolano. Regista. – Donare immagini e insegnare a riceverle –
Raccontaci di te, chi sei e cosa fai.
Faccio il regista di audiovisivi. In circa tre decenni di lavoro mi sono occupato di realizzare video per pubblicità, corporate, documentari e televisione e da quasi due di questi tre decenni parallelamente insegno il mio mestiere in diverse Accademie, in ambito universitario, in master e workshop. Tra queste istituzioni ci tengo a citare lo IED di Torino e l’Officina delle Arti Pier Paolo Pasolini di Roma.
Sono due lavori molto legati tra loro, in quanto credo che il regista sul set “insegni” alla troupe come si deve realizzare il suo pensiero e la storia che ha in mente per trasformarli in un video. Penso che l’essenza più inclusiva del mestiere di regista sia “pensare da regista”; questo non solo nelle fasi di progettazione e realizzazione del video ma anche nella sfera del quotidiano; li, il regista si forma per tante delle sue svariate competenze che sono tecniche creative e culturali per prime; nel quotidiano ogni aspetto della vita può diventare un racconto visivo e da questo si traggono molte ispirazioni per le storie da scrivere e raccontare per immagini. Ogni fotogramma, che sia di fotografia o di video, vive solo se guardato da altri occhi; è un dono quindi e fare immagini significa, per prima cosa, offrirle; si ricevono, prima che inizino a raccontare. Ho amato da sempre il mio lavoro di “donare immagini” ed è divenuto spontaneo sentire il bisogno di donare anche la capacità di fare questo mestiere ed ecco la mia parallela passione o meglio necessità dell’insegnamento. Chiunque insegni in questo ambito, i miei colleghi, sappiamo che non esiste un modo certo per formare un regista ed ognuno applica le proprie intuizioni, evinte dall’esperienza, come dallo studio empirico. Non basta una bella idea o saper usare la macchina da presa per fare un bel video come una bella fotografia, ma serve sempre una lista senza fine di altre competenze da adattare al caso e da questo si parte per trasformare la passione dello studente in professione. Molte volte ci si riesce e vedere uno studente diventare un professionista è come… vedere un bel film! Uno di quelli che hanno vinto un premio.
Che rapporto hai con la fotografia?
La fotografia nel video, nel mio mestiere, ha lo stesso valore di quella tradizionale; cambia la sua pratica: oggi io devo pensare a cosa posso comunicare scattando obbligatoriamente 25 foto al secondo, così come fanno tutte le telecamere (le chiamo così per rapida convenzione… ma hanno nomi propri più specifici). Le mie foto rappresentano sempre il movimento di quanto sta davanti all’obiettivo, parlano, e suonano… è cosa nota no!? In comune con la fotografia tradizionale, quella ferma, rimangono moltissime cose. Per citarne qualcuna direi: il valore dell’inquadratura, il suo “senso” intrinseco che veicola la scelta di comunicare, evocare, suggerire un messaggio allo spettatore; rimane l’ineluttabile scelta di chi preme il tasto rosso, l’irripetibilità, ed in qualche modo l’infinito; chi usa il suo sguardo per estrarre dalla realtà una sua infinitesima parte e la incornicia, crea si un piccolo colpo d’occhio di “eternità” inviolabile ed intatta. Ecco il suo valore comune. Uguali, potrei anche dire, rimangono anche le costruzioni delle luci che diventano parte della narrazione; fanno narrare stati d’animo ed emozioni, possono creare profondità in spazi visivi di sole due dimensioni come lo sono la fotografia ed il video. E poi gli studi sui colori prima, durante e dopo le riprese come avviene negli interventi di post-produzione. Una sola o 25 foto al secondo, hanno in comune una grammatica, una sintassi con le quali rispettano e permettono una comunicazione efficace per l’umanità ed il cuore di chi guarda. Un fotografo ed un regista per scattare debbono seguire un metodo che è frutto di studio, esperienza di scelte, di esclusione e di accettazioni specifiche; tutti e due hanno una personalità visiva prima che uno stile. In ogni immagine del fotografo o del regista c’è credo, sempre il personale passato ed il futuro. Non credo ci sia mai il presente, perché ad ogni scatto ambedue cambiano e così mi convinco che possa esistere solo il loro prima o il loro dopo. Tutti e due possono raccontare a qualcuno delle storie che altrimenti non avrebbero potuto vedere. Tutti e due “ricreano” un tempo che guardando non esiste più che è diventato quell’eterno che dicevo prima, finche l’immagine sarà visibile. Vabbè questo per rendere un po’ l’idea… non credo si possa finire di parlare di fotografia e di video e di chi li realizza…
Quali sono i fotografi celebri (italiani e non italiani) che conosci e che apprezzi?
Per mestiere e per passione da sempre studio e guardo tutto quanto i miei percorsi incontrano, ovunque io sia. Se incontro mostre o libri di fotografia diventano miei; guardo la mostra e se non compro, sfoglio il libro. Mi viene davvero difficile scegliere qualcuno/a tra tutti. Rischierei un elenco pieno di nomi e di ritrattazioni: amo i fotografi e le fotografie del mondo intero. Credetemi se vi dico che amo anche le immagini che magari non mi piacciono particolarmente, perché in esse riconosco comunque il lavoro di chi le ha volute. Ne ho troppe in mente per farne una scelta esaustiva. E poi dovrei distinguere i generi, le epoche… davvero impossibile! Posso barattare questa domanda con un aneddoto fotografico? Nei miei corsi di video il primo compito didattico assegnato è di realizzare uno scatto fotografico a tema che ogni anno cambio nel titolo. Partiamo dalla fotografia tradizionale che ha dato vita a quella in movimento; Introducendo il progetto ai miei studenti, nella parte teorica cito sempre per primo un fotografo: Joel-Peter Witkin. Ecco l’aneddoto… posso non spiegarlo? È un fotografo… difficile… ma è quello che per primo scatena intenti, reazioni forti e significazioni…
Usi molto i social? Quanto per lavoro e quanto non per lavoro?
Non uso i social per motivi che non riguardano le immagini che possono veicolare, ma solo per le ragioni sociali per cui dovrei usarli: da esse dissento. È un discorso lunghissimo ma posso espormi a dire che non credo che l’assenza dai social limiti il mio accesso alle immagini; tutt’altro. Le immagini nei social spesso non rispettano alcun aspetto di ricerca ma solo di… spostamenti di realtà a fini personali e terzi; spesso è: guarda dove sono e cosa faccio e non guarda cosa sono e cosa ti racconto con questo ritaglio di sguardo che porta bellezza… non è semplice provare “ammirazione” per una immagine postata su un social, anche se è una bella fotografia… pensate a quanto ci ha già cambiato la vita il momento in cui proviamo ammirazione per un’immagine… È successo sicuramente a tutti!
La fotografia è una delle espressioni che più ha subito la mutazione tecnologia, come ti immagini il suo proseguo nel futuro? Come fotograferemo?
La comunicazione visiva è oggi la prima in assoluto per diffusione. Da originario uso esclusivo per professionisti è diventata mezzo di espressione-racconto di fatti che a volte non si scelgono di vedere che sono imposti dai vicini, per tornare ai social di prima; sono un mezzo di accettazione dell’altro, senza la presenza… pretesti di un qualcosa da offrire senza che venga richiesto. Per fortuna i professionisti sono rimasti e si distinguono con la bellezza dei loro scatti ed il sapere del racconto. Credo che le tante immagini giornaliere che incontriamo possano disabituare per paradosso, alla lettura reale della fotografia “voluta” e saranno sempre di più se le memorie dei cellulari aumenteranno… La cura? Basta non dimenticare che bisogna imparare cos’è un’immagine e saperla distinguere da ciò che lo sembra. È di nuovo una cosa che va insegnata…
Usi lo smartphone per fare le fotografie o hai anche una fotocamera?
Nel mio lavoro per l’audiovisivo la fotografia tradizionale ha ruoli paralleli a quelli delle telecamere: gli scatti si usano con il “fotografo di scena”, con il “segretario di edizione” e per i social (…di nuovo). Di mio, fuori dal lavoro, uso poco la fotografia; la penso sempre però perché mi viene spontaneo pensare per immagini anche se rivolgo su me stesso le riflessioni; la vista è il senso che mi coinvolge ed uso di più; per quel poco, uso lo scatto per cose che mi evocano una reazione prorompente di unicità. Sempre rispondendo solo a questa prerogativa, utilizzo una adulta Minox 35 GT con la quale scatto spesso in lomografia, una Polaroid SX 70 ma poco… per via dei costi delle pellicole, una Canon G10 che è fiera di invecchiare con me e poi il fido iPhone che a volte è davvero in grado di meravigliare.
Quante fotografie realizzi in un giorno o in una settimana con qualsiasi mezzo? Che tipo di fotografie realizzi? Selfie con amici? Food? Street? A caso per ricordare qualcosa? Raccontaci.
Come ho detto scatto poco. Quotidianamente e paradossalmente scatto immagini di “promemoria” che mi servono per logistica e supporto al lavoro. Lo scatto di cui sopra, quello voluto e ricercato, è più raro; possono passare anche settimane tra due click, ma poi una volta fatto, resta con me per sempre. Anche in viaggio fotografo poco da sempre, preferisco ricordare. A parte il lavoro si intende. Credo che per me scattare poco sia un modo di “preservare” la fotografia, di non abusarne. Probabilmente penso questo solo perché mi piace l’intento ideologico… anche se so che forse non è vero…
Hai conoscenza sul diritto di autore delle fotografie?
Sì. Fa parte della mia professione. Recentemente, lavorando ad un documentario, siamo letteralmente impazziti insieme ad una ricercatrice d’archivio per contrattualizzare… e pagare… gli aventi diritto. È un mondo molto complesso da gestire ma è doveroso che ci sia, anche così nelle sue pazze logiche, purché siano tutelati gli autori degli scatti anche a distanza di tempo. Come ho espresso prima le immagini ritratte sono in qualche modo” eterne” e se l’occhio del fotografo continua a comunicare, è bello che se ne riconosca anche un valore economico.
Vuoi aggiungere qualcosa a questa intervista?
Tra le cose belle che posso aggiungere al valore delle fotografie è che la loro possibilità di raccontare, evocare immagini interiori ed a volte di rivivere uno spazio-tempo può non avere fine; a volte a distanza di anni la stessa foto continua a regalare nuovi spunti di osservazione, nuovi dettagli, si fa riscoprire in una nuova forma e diventa quasi una nuova fotografia. E poi posso confidarti che una volta una fotografia mi ha fatto cambiare idea su una cosa che mi stava a cuore… cosa meravigliosa no?
E parlando di fotografia te ne mostro una che amo molto e che con lo stesso potere evocativo, molti registi hanno riprodotto con le loro inquadrature. Tra i tanti lo ha fatto Andrej Tarkovskij. In quella foto c’è un trucco realizzativo, tanto caro al cinema. In quella foto non si legge il tempo, potrebbe essere stata fatta qui oggi ed adesso ed invece no. Lui, il fotografo, si chiama Alfred Stieglitz.
E di lui vorrei citare anche una frase che ha un valore tanto creativo che iperbolico:
Nella fotografia c’è una realtà così sottile che diventa più reale della realtà. –
Mi chiedo spesso per via del mio lavoro, che cosa ci sia di più reale della realtà e non posso che rispondere in un modo solo… più reale della realtà può essere solo l’origine della realtà… e allora: la Creazione.
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Fotografo ritrattista. Venti anni di esperienza nella fotografia di “people” spaziando dal ritratto per celebrity, beauty, adv e mantenendo sempre uno sguardo al reportage sociale.
Ha coordinato il dipartimento di fotografia dell’Istituto Europeo di Design ed è docente di Educazione al linguaggio fotografico presso la Raffles School, Università di design di Milano.
Il suo portfolio comprende lavori autoriali e commerciali per FIAT, Iveco, Lavazza, Chicco, Oréal e la pubblicazione di quattro libri fotografici: “Ecce Femina” (2000), “99 per Amnesty” (2003),
“La Soglia. Vita, carcere e teatro” (premio reportage Orvieto Prof. Photography Awards 2005),
“Go 4 it/Universiadi 2007”.
Ha curato l’immagine per vari personaggi dello spettacolo, Arturo Brachetti, Luciana Littizzetto, Fernanda Lessa, Antonella Elia, Neja, Eiffel65, Marco Berry, Levante …
Negli ultimi anni ha spostato la sua creatività anche alle riprese video, sia come regista che come direttore della fotografia, uno dei suoi lavori più premiati è il videoclip “Alfonso” della cantautrice Levante (oltre otto milioni di visualizzazioni).
Ha diretto il dipartimento di fotografia dello IED di Torino ed è docente di “Educazione al linguaggio fotografico” presso la RM Moda e design di Milano.
Paolo Ranzani è referente artistico 4k in merito al progetto “TORINO MOSAICO” del collettivo “DeadPhotoWorking”, progetto scelto per inaugurare “Luci d’Artista” a Torino.
E’ stato nominato da Giovanni Gastel presidente AFIP Torino.
Nel 2019 il lavoro fotografico sul teatro in carcere è stato ospite di Matera Capitale della Cultura.
Pubblicati e mostre:
“Ecce Femina” (2000),
“99 per Amnesty” (2003),
“La Soglia. Vita, carcere e teatro” (premio reportage Orvieto Prof. Photography Awards 2005),
“Go 4 you/Universiadi 2007” ,
Premio 2005 per il ciack award fotografo di scena
Premio 2007 fotografia creativa TAU VISUAL
Premio 2009 come miglior fotografo creativo editoriale
Ideatore e organizzatore del concorso fotografico internazionale OPEN PICS per il Salone del Libro di Torino – 2004
Dal 2017 scrive “Ap/Punti di vista” una rubrica bimestrale di fotografia sul magazine Torinerò.
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