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INTERVISTA “Non fotografi sulla fotografia” : Massimo Miro – Scrittore e Musicista che rende protagonista la fotografia.

di Paolo Ranzani

Come possiamo presentarti in poche righe?

Ho origini sarde, sono nato a Milano e vivo a Torino.

Non mi è ancora ben chiaro se sono un musicista che ama scrivere o uno scrittore che ama suonare. Mi sono trovato spesso sulla linea di confine tra queste due metà di me stesso, provo a dire che siano due parti complementari, una non può fare a meno dell’altra. Ho vissuto la Torino musicale underground degli anni Ottanta/Novanta, ma ho sempre scritto storie, fin da bambino, e nella seconda parte della mia vita è cresciuta l’esigenza di dare più spazio alle parole. Rispetto a suonare in una band, la narrativa richiede di esporti in prima persona, senza filtri, ed è forse la maturità a fornirti questo coraggio.

 

Che rapporto hai con la fotografia?

La fotografia è sempre stata una delle mie passioni sottotraccia. Ho iniziato da adolescente con la Yashika FX3 di mio padre e con alcuni amici abbiamo iniziato a sviluppare i nostri scatti. Gli smartphone garantiscono una accessibilità estrema al gesto di riprendere le immagini, spesso con una qualità ormai molto vicina a quella professionale, almeno all’apparenza. Diciamo che le app e i software di foto editing, agevolano molto, fin troppo la creazione di buone immagini, abbreviando così, spesso in modo improprio, la distanza tra il narratore occasionale e il professionista che vive di fotografia.

Per questo motivo, con la fotografia mi rapporto sempre con grande rispetto. So che dietro alla costruzione di uno scatto, c’è poco spazio alla casualità, c’è invece un grande lavoro esperienziale, una sapienza tecnica che io so di non possedere come vorrei.

 

Quali sono i fotografi (italiani e non italiani) che conosci e che apprezzi e perché?

 

Ho sempre ammirato fotografi come Guido Guidi e Gianni Berengo Gardin, perché il loro sguardo ci ha restituito un punto di vista anche sociale, che va al di là della stessa immagine rappresentata. E’ quello che cerco in uno scatto, non la perfezione tecnica o il gesto stilistico, ma una ricerca di verità. Poi ovviamente, per me il più grande fotografo di tutti i tempi è Robert Capa, il capostipite del reporter di testimonianza e grande personaggio della storia.

 

Usi molto i social? Quanto per lavoro e quanto non per lavoro?

 

Detesto i social media, trovo che le persone lascino traboccare il peggio di sé considerino questo come un momento catartico, come la realizzazione di sé stessi, nel bene ma soprattutto nel male. La vita reale è spesso caotica, frenetica, contraddittoria, soffoca le persone, e ne inibisce quelli che una volta erano i naturali processi di aggregazione. La vita di molte persone è una morsa letale, e i social network costituiscono un terreno di riscatto, ma di nuovo, solo apparentemente. Perché anche sui social network puoi sentirti nessuno, e l’inseguimento del consenso può diventare ancora più esasperato.

Uso Facebook e Instagram solo per il loro irrinunciabile ruolo di veicolo informativo, per rilanciare iniziative legate ai miei lavori e molto raramente per dire qualcosa di personale.

 

Quante fotografie realizzi in un giorno o in una settimana?

 

Il numero dei miei scatti dipende dai luoghi in cui mi trovo e dalle persone che incontro. Esistono periodi flat in cui scatto pochissimo, ma questo, ancora una volta, perché non necessariamente si deve riprendere un soggetto, se questo non è interessante. Ho passato intere giornate con la macchina fotografica al collo, senza scattare nemmeno una fotografia.

Quando viaggio, le sollecitazioni visive sono maggiori, allora posso arrivare a fare qualche centinaio di scatti al giorno. Più che i luoghi o i panorami sono interessato alla loro interazione con le persone.

 

Quando fotografi usi lo smartphone o hai anche una fotocamera?

 

Uso ovviamente lo smartphone, ma non mi muovo mai in viaggio senza la mia reflex digitale. Quando mi è capitato di partire senza poterla portare per problemi di spazio, mi è sembrato di viaggiare senza uno dei miei sensi, mi è venuto a mancare un passaggio emotivo rispetto a ciò che vedevo. E’ per questo che il mio prossimo progetto, è l’acquisto di una mirrorless fullframe. Non so se posso dire la marca, ma un recente romanzo parlava di una ragazza che ne aveva una!

 

La fotografia è una delle espressioni che più ha subito la mutazione tecnologica, secondo te cosa accadrà alla fotografia in futuro?

 

Prendo spunto dalla trasformazione tecnologica che ha interessato il mondo musicale. Un tempo, nel mondo analogico, per incidere un disco era necessaria una grande professionalità, nonché un notevole investimento, economico e soprattutto di tempo. Il processo di creazione, dalla composizione alla diffusione di una canzone, era molto più lungo, e la confezione di un brano non era un esito concesso a chiunque. Oggi, esistono potentissimi software, anche freeware, che possono sostituire uno studio di registrazione, ed è certamente positivo che una buona produzione sia diventata più accessibile, perché allarga il bacino degli artisti e non nega a nessuno la possibilità di esprimersi. Anche nel campo della narrativa, sono nate nuove facilitazioni per gli aspiranti scrittori. Mi riferisco alle scuole di scrittura creativa nate un po’ ovunque, sulla scia della nostra scuola Holden (qui viceversa, essendo scuole molto costose, il bacino degli aspiranti autori si restringe). Tutto questo per dire che con il tempo sono state costruite autostrade per condurre chiunque o quasi all’arte, anche chi non sarebbe stato disposto al sacrificio dell’impegno, della devozione e della passione, e questo è un lato negativo della tecnologia. Ma voglio credere che in futuro, la differenza la farà sempre ciò che si vuole raccontare o rappresentare. La qualità di un soggetto, insomma, farà sempre la differenza e rispetto a questo, la tecnologia fortunatamente non corre in soccorso.

 

Hai conoscenza sul diritto di autore delle fotografie ? Se sì, cosa ne pensi del fatto che in ITALIA siamo ancora indietro nel riconoscere il valore dell’autorialità?

 

Conosco molto bene il mondo del diritto d’autore di opere musicali e letterarie, che ad eccezione di alcune peculiarità, mi sembra allineato a quello del resto del mondo.

Non conosco abbastanza il mondo della gestione dei diritti legati alle immagini, ma sono a conoscenze di scatti celebri, direi ormai universali, i quali diritti non sono mai stati riconosciuti al proprietario. Voglio credere che siano stati incidenti di percorso e che sia sempre possibile tutelare i propri scatti, creativi e non, anche attraverso strumenti di diritto internazionale.

 

Nel tuo ultimo romanzo, Suite berlinese, edito da Scritturapura, il protagonista è un fotografo. Perché questa scelta?

Perché avevo in mente questa storia, una vicenda legata alla rappresentazione della realtà, una storia che parlasse dell’ossessione per l’immagine.

Il protagonista indiscusso del romanzo è la fotografia. Le immagini come specchio della realtà e anche come filtro emotivo che la modifica. A volte la determina dando luogo a suggestive alternanze di ruolo e prospettiva tra chi la riprende e chi la sviluppa. Una realtà osservata da diversi punti di vista. Sentimentale, fotografico, storico. La realtà che si sposta da osservatore ad osservatore, e ogni volta può cambiare. Suite berlinese è infatti un viaggio tra la realtà e rappresentazione della realtà, attraverso tutte le forme di mediazione possibili. Chi meglio di un fotografo, che assiste allo sviluppo di realtà esistite per qualche millisecondo. Come la realtà viene percepita, come viene rappresentata, e come viene nascosta. Il processo di sviluppo dei rullini è un vero e proprio incanto, si materializza davanti ai nostri occhi un momento reale accaduto, per quell’istante, quella brevissima porzione di tempo, e allo stesso tempo qualcosa che esiste per la prima volta, nella realtà della carta e poi negli occhi di chiunque. In uno degli scatti che il mio protagonista sviluppa c’è una donna ai margini dell’immagine, si vede solo per un attimo, ed è una distanza fatta di millimetri ma anche di tempo, a separare la sua esistenza dalla sua non esistenza. L’esistenza dentro ai confini dell’immagine, un po’ come la cornice che ci contiene, fatta di tempo, apparenza, spesso casuale. Mi ha sempre affascinato l’idea della realtà vista da punti di vista diversi. Nella fotografia il punto di vista è il medesimo, eppure ciò che vediamo in uno scatto rimane sempre soggettivo. È questa la magia dell’immagine.

Nel suo ultimo romanzo rende protagonista la Fotografia attraverso i dubbi di un fotografo, Suite berlinese è infatti un viaggio tra la realtà e rappresentazione, attraverso tutte le forme di mediazione possibili. Booktrailer ufficiale:

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