Shirt A.M. – Murder of Aldo Moro (Rome, 09.05.1978)
La camicia indossata da Aldo Moro – leader della Democrazia Cristiana ed ex Presidente del Consiglio – quando fu assassinato e il suo corpo fu ritrovato nel bagagliaio della Renault 4 nel centro storico di Roma il 9 maggio 1978 dopo 55 giorni di prigionia nel covo di Via Montalcini 8, dove un gruppo di Brigate Rosse – composto da Mario Moretti, Prospero Gallinari, Germano Maccari e Anna Laura Braghetti – lo processò davanti al Tribunale del Popolo. Il governo italiano rifiutò di negoziare con i terroristi chiedendo uno scambio di prigionieri e lui fu ucciso.
La serie fotografica “Images and Signs: Italy, 1969-89. Practices of Memory”, realizzata tra il 2013 e 2015, ripercorre gli anni di piombo, due decenni che ancora oggi rimangono cosparsi di ombre e in cerca di verità anche attraverso un’incessante produzione di libri e film sul tema, commissioni parlamentari e addirittura il processo d’appello per la strage di Piazza della Loggia nel lontano 1974.
La visione di alcuni documentari ha dimostrato quanto, purtroppo, limitata fosse la conoscenza che l’autore e forse tutti noi, avevamo di questo periodo storico tutt’oggi condizionato da verità dissimulate e pertanto privato di una condivisa rappresentazione socialmente legittimata. Questa constatazione lo ha spinto ad interrogarsi sui meccanismi che regolano la trasmissione della Memoria collettiva e sul ruolo degli archivi.
Il filosofo e sociologo Maurice Halbwachs sostiene che ogni gruppo sociale conserva in maniera selettiva immagini del passato trattenendo ciò che è funzionale agli interessi del presente. Il passato lascia tracce, ma poi è il presente che ricorda.
E come afferma il filosofo Jacques Derrida in “Mal d’archive, une impression freudienne”: non esiste potere politico senza controllo dell’archivio, se non della memoria.
Gigi Cifali decide di procedere a ritroso cercando reperti – tangibili e visivamente meno conosciuti all’opinione pubblica -, del terrorismo ideologico di sinistra e stragista di destra della strategia della tensione che hanno devastato l’Italia tra il 1969 e 1989. Non c’è ricordo senza conoscenza e per ricordare bisogna consultare anche gli archivi. Grazie all’importante supporto di funzionari del Ministero dell’Interno, della Giustizia e dell’Arma, gli è stato consentito di accedere agli archivi dove vengono custoditi i corpi di reato sequestrati nei covi dei terroristi, gli effetti personali ritrovati addosso alle vittime, le automobili colpite durante gli agguati.
I depositi della Memoria preservano attraverso il tempo sottostando, ovviamente, ai limiti che impongono le capacità di immagazzinamento. Selezione, smistamento e smaltimento sono altrettanto decisivi di qualsiasi azione di raccolta e conservazione. Inoltre, i criteri di valutazione che le regolano, possono non essere condivisi dalle generazioni successive. Alla stregua di un’esplorazione archeologica non ha avuto modo di prevedere cosa sarebbe riuscito a riportare a galla. Molti oggetti che avrebbe voluto ritrarre non esistono più, mentre altri, per ora salvi, si stanno deteriorando. L’assenza di informazione, in cui Cifali si è imbattuto, non contraddistingue solo la conoscenza che ereditiamo, ma riguarda in maniera intrinseca la natura degli archivi: essi sono al contempo luoghi di vuoti di informazione.
Si innesca una riflessione, particolarmente attuale e sentita, sulla conservazione di documenti e altre prove tangibili di un pezzo di storia significativo. Ricordare come anche non ricordare è un’attività sociale con un lato etico: dimenticare è colpa.
La Memoria possiede un carattere distributivo, in quanto viene veicolata da testi, documenti e immagini che entrano in relazione tra loro contribuendo a costruire un senso coeso del passato, imprescindibile per la costruzione di un’identità attuale. I suoi custodi saranno sempre più coloro che hanno il potere di decidere cosa riprodurre su supporti più durevoli.
In Italia lo stiamo vivendo anche con i documenti e i corpi di reato dei grandi processi del terrorismo nero e rosso. Basti pensare che le lettere autografe dell’On. Aldo Moro dalla prigionia avrebbero subito un deterioramento irreversibile se fossero rimaste nell’archivio del Tribunale di Roma ad aspettare il termine di quarant’anni previsto per il versamento all’Archivio Centrale di Stato. Sono, invece, andati al macero centinaia di oggetti-prove nonostante la loro straordinaria forza evocativa e simbolica. Puntuali ispezioni ministeriali cancellano, difatti, la storia giudiziaria distruggendo importanti testimonianze affidate ai sotterranei di tribunali e ai depositi della Polizia.
Quando i processi si concludono, un provvedimento decreta la loro eliminazione. Ma accade anche che riescano a sfuggirvi perché archivisti più sensibili le segnalano a istituzioni che le prendono in carico, mentre tante ancora prima di logorarsi sono state gettate in seguito ad inondazioni oppure – come spesso accade nel nostro Paese -, sono rimaste protette nell’oblio. Le eliminazioni hanno toccato anche le Stragi di Piazza Fontana, dell’Italicus e di Bologna, mentre insignificanti oggetti come bagnoschiuma, confezioni aperte di pasta o scarpe da ginnastica sequestrate in un covo giacciono ancora nei cartoni alla pari di un trasloco qualsiasi.
La gestione degli archivi e la loro accessibilità è l’ennesima annosa questione di un patrimonio pubblico non del tutto tutelato. I processi per la Strage di Piazza Fontana sono stati digitalizzati, ma moltissimi altri rimangono a rischio. Il governo in carica ha disposto la declassificazione degli atti di alcune stragi –
Ustica, Peteano, Italicus, Piazza Fontana, Piazza della Loggia, Gioia Tauro, Stazione di Bologna e Rapido 904 -, che non sono più coperti dal segreto di Stato, ma non portano alla luce nulla di celato.
Le criticità non mancano: capacità limitate di immagazzinamento, scarse risorse per stipendiare personale con competenze adeguate, mancanza di criteri che stabiliscano cosa non va distrutto bensì condiviso, complessità dei processi che si sono trascinati per decenni e in città diverse, …
Le immagini di questa serie – sia le tracce sopravvissute che quelle scomparse -, assurgono a mediatori della Memoria di accadimenti che per la generazione adulta appartengono al passato recente e come tali sono indivisibili dalla memoria biografica che ne difende il ricordo, mentre per i giovani sono già parte della Storia.
L’immaginario collettivo attinge soprattutto dalle riprese e dalle fotografie in bianco e nero dell’epoca, che hanno avuto una maggiore diffusione attraverso i media. Pertanto succede che i segni restituiti da questo lavoro, a colori, non vengano riconosciuti, seppure appartengono ai momenti centrali che hanno determinato il corso della storia d’Italia negli ultimi cinquant’anni.
Attraverso l’immediatezza del mezzo fotografico e con la precisione nei dettagli del grande formato, l’autore ha voluto attestare la veridicità di quanto è stato preservato e del restante andato distrutto.
Le inquadrature ritagliano segni congelati, il ricordo sedimentato nella materia costituisce la memoria: i fori sulla camicia che indossò l’Onorevole Moro il giorno della sua uccisione e sulla coperta in cui fu avvolto, ma anche la mitraglietta Škorpion che li provocò, la pietra dilaniata dall’ordigno scoppiato sotto i portici di Piazza della Loggia e gli indumenti delle vittime, le carrozzerie crivellate, l’impronta del proiettile sulla valigetta che salvò la vita ad un consigliere comunale di Torino, la cassetta di legno con timer e pile della bomba rudimentale inesplosa trovata alla Stazione Centrale di Milano sul treno 154 Trieste – Parigi. I quattro fogli inediti di un block notes dell’Italsider tramandano l’attenta analisi che l’operaio e sindacalista Guido Rossa fa del terrorismo poco prima di essere assassinato. A metterli a disposizione è stata sua figlia.
Un testo, che spiega il fatto storico, integra e convalida le informazioni visive.
Lorenzo Migliorati, studioso di sociologia della memoria: “Questi corpi di reato sono vere e proprie pratiche di memoria, sostanziate di cultura materiale, che sedimentano la narrazione della nostra (nel senso di comunità nazionale) memoria. Ci abiteranno e informeranno la nostra identità, anche se non li vedremo, finché non li nomineremo e li attraverseremo. Il lavoro di Cifali è potente anche per questo: dà forma, nome e sostanza ad oggetti che avremmo potuto non vedere mai.”
Brown blanket with bullet holes – Murder of Aldo Moro (Rome, 09.05.1978)
La coperta con cui lo statista italiano Aldo Moro, presidente della Democrazia Cristiana, fu coperto nel parcheggio del covo del sequestro di via Montalcini 8 prima che i proiettili lo colpissero e lasciato nel bagagliaio della Renault 4 in via Caetani a Roma il 9 maggio 1978. La Commissione parlamentare italiana istituita nel 2014 sta ancora indagando sul rapimento e sull’omicidio di Aldo Moro.
Destroyed stonework – Piazza della Loggia Bombing (Brescia, 28.05.1974)
La lapide è stata distrutta dall’esplosione della bomba sotto il portico di Piazza della Loggia a Brescia il 28 maggio 1974 durante una manifestazione antifascista organizzata dai sindacati e dal Comitato Antifascista. La strage provocò 8 morti e 103 feriti. Dopo false piste e verità nascoste, nel 2015 – a distanza di 41 anni – la corte d’appello ha inflitto l’ergastolo a due militanti del gruppo di estrema destra e neofascista Ordine Nuovo (ON), Carlo Maria Maggi e Maurizio Tramonte detto “Fonte Tritone”, informatore dell’allora SID. La condanna all’ergastolo è stata confermata nel 2017 e ora altri due neofascisti sono sotto processo.
Destroyed stonework fragment – Piazza della Loggia Bombing (Brescia, 28.05.1974)
Victims clothing – Piazza della Loggia Bombing (Brescia, 28.05.1974)
Oggetti di abbigliamento appartenenti alle vittime dell’attentato di Piazza della Loggia. La strage neofascista causò 8 morti e 103 feriti.
One of the demonstrators’ umbrellas – Piazza della Loggia Bombing (Brescia, 28.05.1974)
Un ombrello dei manifestanti – Attentato di Piazza della Loggia (Brescia, 28.05.1974)
Il giorno della manifestazione antifascista pioveva. Uno degli ombrelli colpiti e crivellati dai frammenti della bomba. La strage neofascista causò 8 morti e 103 feriti.
Renault 4 (left side) – Murder of Aldo Moro (Rome, 09.05.1978)
Il 9 maggio 1978 a Roma, il corpo del politico Aldo Moro viene ritrovato nel bagagliaio dell’auto Renault 4 lasciata in via Caetani dopo 55 giorni di prigionia nel covo di via Montalcini 8, dove i militanti del gruppo terroristico di estrema sinistra Brigate Rosse (BR) – Mario Moretti, Prospero Gallinari, Germano Maccari e Anna Laura Braghetti – lo processano davanti al Tribunale del Popolo.
Il governo italiano rifiutò di negoziare con i terroristi che chiedevano uno scambio di prigionieri ed egli fu ucciso.
Le BR scelsero Aldo Moro per il suo ruolo di mediatore tra la Democrazia Cristiana e il Partito Comunista Italiano. Fu rapito lo stesso giorno in cui il Parlamento votò la fiducia al governo DC di Giulio Andreotti, il primo governo a cui il PCI non votò contro, offrendo così indirettamente il suo consenso.
Renault 4 (right side) – Murder of Aldo Moro (Rome, 09.05.1978)
La Democrazia Cristiana ha guidato il governo italiano ininterrottamente dal 1946 al 1981. Tra il 1973 e il 1979, il cosiddetto Compromesso storico – la strategia politica elaborata dal Partito Comunista Italiano (PCI) su riflessione del suo segretario nazionale Enrico Berlinguer, il cui principale interlocutore era Aldo Moro, presidente della Democrazia Cristiana (DC) – si basava sulla necessità di una collaborazione e di un accordo tra le forze popolari di ispirazione comunista e socialista e quelle di ispirazione cattolico-democratica.
Paesaggio metafisico bruciato – Bombardamento di Piazza della Loggia (Brescia, 28.05.1974)
Quadro di paesaggio metafisico bruciato dall’esplosione di un bombardamento.
Fiat 130 – Kidnapping of Aldo Moro (Rome, 16.03.1978)
Fiat 130 – 16 marzo 1978, Roma: l’auto con all’interno lo statista italiano Aldo Moro al momento del sequestro in via Mario Fani. Con lui c’erano due carabinieri: l’autista Domenico Ricci e il maresciallo Oreste Leonardi, capo della squadra di guardia del corpo. Entrambi sono stati uccisi dalle Brigate Rosse. L’unica auto coinvolta nell’attentato dei terroristi ad essere conservata ed esposta al Museo della Motorizzazione Civile di Roma.
Alfa Romeo Alfetta 1.8 – Kidnapping of Aldo Moro (Rome, 16.03.1978) #1
A bordo dell’Alfetta 1.8 c’erano altri tre membri della squadra di sicurezza al seguito di Aldo Moro: i poliziotti Francesco Zizzi, Giulio Rivera e Raffaele Iozzino, che furono uccisi.
Alfa Romeo Alfetta 1.8 – Kidnapping of Aldo Moro (Rome, 16.03.1978) #2
Alfa Giulia – Ambush on the Police Deputy Commissioner Alfonso Noce (Rome, 14.12.1976) #1
Attentato dei Nuclei Armati Proletari contro il Vice Commissario di Polizia Alfonso Noce, responsabile dei Servizi di Sicurezza del Lazio. Vengono uccisi l’ufficiale di P.S. Prisco Palumbo e Martino Zichittella, membro dei NAP.
Alfa Giulia – Ambush on the Police Deputy Commissioner Alfonso Noce (Rome, 14.12.1976) #2
Autobianchi A112 – Murder of Carlo Alberto dalla Chiesa, founder of Italian Anti-terrorism Special Unit, and his wife Emanuela Setti Carraro (Palermo, 03.09.1982)
Il 3 settembre 1982, a Palermo, vengono uccisi Carlo Alberto dalla Chiesa – fondatore del Nucleo Speciale Antiterrorismo, Generale dei Carabinieri e Prefetto di Palermo – e la moglie Emanuela Setti Carraro all’interno di un’Autobianchi A112 e il poliziotto di scorta Domenico Russo. I capi di Cosa nostra sono stati condannati per i loro omicidi.
BRIGATE ROSSE red cloth banner with yellow writing – Attack on the Christian Democratic Party seat “Luigi Perazzoli” (Milan, 01.04.1980)
Striscione di stoffa rossa, 5 m x 50 cm, con scritta gialla BRIGATE ROSSE e il simbolo della stella a cinque punte. Fu lasciato nell’aprile 1980 presso la sede della Democrazia Cristiana “Luigi Perazzoli” in via Mottarone 5 a Milano, quando la rubrica di Walter Alasia irruppe in un dibattito pubblico tenuto dal deputato DC Nadir Tedeschi. Il deputato DC Nadir Tedeschi, il segretario della sede DC Eros Robbiani, il giornalista de “Il Popolo” Emilio De Buono e il presidente del Centro Culturale “Carlo Perini” Antonio Iosa furono vittime di gambizzazione.
BRIGATE ROSSE red paper banner with white writing ‘DAL NORD AL SUD PROCESSIAMO LA D.C. E I SUOI SERVI’ and the five-pointed star symbol, affixed in Sesto San Giovanni (Milan, 01.07.1981)
Striscione di carta rossa, lungo circa 3 metri, con la scritta in vernice bianca “DAL NORD AL SUD PROCESSIAMO LA D.C. E I SUOI SERVI” e il simbolo della stella a cinque punte. È stato affisso dalle Brigate Rosse a Sesto San Giovanni (Milano), all’angolo tra via Fratelli Bandiera e viale Matteotti, e ritrovato dagli agenti di Polizia il 1° luglio 1981 alle ore 8.00.
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Fotografo ritrattista. Venti anni di esperienza nella fotografia di “people” spaziando dal ritratto per celebrity, beauty, adv e mantenendo sempre uno sguardo al reportage sociale.
Ha coordinato il dipartimento di fotografia dell’Istituto Europeo di Design ed è docente di Educazione al linguaggio fotografico presso la Raffles School, Università di design di Milano.
Il suo portfolio comprende lavori autoriali e commerciali per FIAT, Iveco, Lavazza, Chicco, Oréal e la pubblicazione di quattro libri fotografici: “Ecce Femina” (2000), “99 per Amnesty” (2003),
“La Soglia. Vita, carcere e teatro” (premio reportage Orvieto Prof. Photography Awards 2005),
“Go 4 it/Universiadi 2007”.
Ha curato l’immagine per vari personaggi dello spettacolo, Arturo Brachetti, Luciana Littizzetto, Fernanda Lessa, Antonella Elia, Neja, Eiffel65, Marco Berry, Levante …
Negli ultimi anni ha spostato la sua creatività anche alle riprese video, sia come regista che come direttore della fotografia, uno dei suoi lavori più premiati è il videoclip “Alfonso” della cantautrice Levante (oltre otto milioni di visualizzazioni).
Ha diretto il dipartimento di fotografia dello IED di Torino ed è docente di “Educazione al linguaggio fotografico” presso la RM Moda e design di Milano.
Paolo Ranzani è referente artistico 4k in merito al progetto “TORINO MOSAICO” del collettivo “DeadPhotoWorking”, progetto scelto per inaugurare “Luci d’Artista” a Torino.
E’ stato nominato da Giovanni Gastel presidente AFIP Torino.
Nel 2019 il lavoro fotografico sul teatro in carcere è stato ospite di Matera Capitale della Cultura.
Pubblicati e mostre:
“Ecce Femina” (2000),
“99 per Amnesty” (2003),
“La Soglia. Vita, carcere e teatro” (premio reportage Orvieto Prof. Photography Awards 2005),
“Go 4 you/Universiadi 2007” ,
Premio 2005 per il ciack award fotografo di scena
Premio 2007 fotografia creativa TAU VISUAL
Premio 2009 come miglior fotografo creativo editoriale
Ideatore e organizzatore del concorso fotografico internazionale OPEN PICS per il Salone del Libro di Torino – 2004
Dal 2017 scrive “Ap/Punti di vista” una rubrica bimestrale di fotografia sul magazine Torinerò.
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