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Il terrore rosso

di Emanuele Mei

Questa strada è una regressione della coscienza, non c’è umanità qui. In questo posto il male parla e lo si può sentire già sul ponte all’ingresso del villaggio. Il silenzio è assordante e alcune voci rimbombano solo nella mente. Sono voci maledette, troppo note per essere negate, generate da una sfilata di demoni della paura primordiale; attendono le anime che gridano all’unisono, bloccate in un limbo di vergogna. Solo ti fermi e respiri per evitare un attacco di panico. E si! bisogna rimanere lucidi, sempre! Ci sono alcune pause che valgono una vita intera. Comprendo che l’orrore ha un volto, e che i demoni della paura sono l’unico aiuto che ho per rimanere in vita. La strada perde l’asfalto che lascia spazio al fango, non ci sono alberi, ma rottami di carri armati e auto blindate. La linea della via porta la vista sulle case in fondo al quartiere e il disagio cresce. Quel punto è al riparo dal vento, le macerie guidano i passi nell’unica direzione possibile. Quando la strada torna ed essere percorribile le voci demoniache si moltiplicano e il terrore sale all’improvviso dal profondo.

Il nastro bianco benda gli occhi, la testa è inclinata leggermente a destra, rivolta verso il basso. L’uomo è seduto con la schiena appoggiata ad uno steccato, sembra riposare dopo la solita giornata di fatica. Cade la prima pioggia e le gocce d’acqua si mischiano al sangue che gli riga il volto. Guarda il nulla come affranto da un’immensa stanchezza. In lontananza altri corpi si snodano come quelli di serpenti, mentre mi avvicino presto più attenzione. Non c’è modo di evitarli. Non c’è nulla di rassicurante nel vedere le case abbandonate dal nemico, l’odore è maligno, ristagna da giorni rendendo l’aria putrefatta. I cadaveri sono sparsi lungo la strada. Circa 300 corpi sono ammassati in una fossa comune improvvisata, altri sono rimasti insepolti sparpagliati lungo la strada che collega Bucha a Irpin. Sono tutti stati uccisi brutalmente, un colpo alla testa e uno al torace. Alcuni hanno anche le mani legate dietro la schiena.  Il cielo color del fumo, le gomme delle macchine bruciate, l’asfalto divelto e le macerie sparse qua e là. Su un muro c’è un messaggio che mi riporta a Sarajevo: “Welcome to hell”. Oggi l’inferno dev’essere così! Una grande strada dritta con rottami fusi in un freddo abbraccio metallico, e ombre di anime accasciate, sparpagliate tutt’intorno.  Mi aspetto qualcosa di terribile che non avviene perché è già avvenuto. Qualcuno sviene, qualcuno vomita. Ognuno ha la propria reazione ma la paura è ciò che ci accumuna tutti in questo momento. Solo adesso i vivi si accorgono di esserlo per davvero. La paura è nello sguardo appannato dalle lacrime, nelle labbra tremolanti, la paura è negli occhi solo di chi vive. Sono pervaso da un tremore incessante, non riesco a sottrarmi alla paura che lentamente mi porta verso una disperazione muta, totale, che mi priva di ogni forza di volontà.

Vicino alle case si apre una grossa voragine. Un uomo ancora in sella alla sulla sua bicicletta è disteso in terra con la borsa della spesa accanto. Lì per lì l’avevo preso per un’allucinazione, il colletto della camicia bianca è stropicciato, le scarpe da ginnastica nere sono quasi linde, indossa ancora una giacca di fustagno. Nel disordine ha una certa eleganza, accanto a lui una persona con un’irrimediabile disperazione sul volto recita una preghiera senza posa; sembra voler chiedere una grazia. Le parole sono banali parole, ma le ho dette lo stesso ad alta voce perché il tono mi suonasse familiare, in modo da avere qualcosa a cui aggrapparmi per non sprofondare nell’incubo che non ho mai avuto il coraggio di sognare. Come si combatte la negazione di sé stessi? Seguo la strada per un tratto, poi mi fermo e mi volto a guardare, voglio essere davvero sicuro di ciò che sto osservando.  Al turbamento iniziale è subentrato un forte senso d’inadeguatezza morale che non potrà essere colmato da alcun gesto di penitenza. Qui abbiamo perso tutti, qui l’accusa è contro tutti o contro nessuno. Queste persone erano, ora non sono più nulla, sono state strappate alla vita nel nome di una giustizia estranea. L’orrore della guerra sta nell’errore della natura.  Il declino del giorno porta ad una quiete più profonda. La luce opaca si perde dentro la nebbia che scende sopra quel che rimane dei corpi riposti nelle buste di plastica nera.

Quanta precarietà esiste nelle convenzioni e nelle conquiste civili! Con quanta facilità si regredisce allo stato bestiale! Chi combatte contro i mostri deve guardarsi da non diventare un mostro egli stesso. È difficile, credo sia impossibile. Se guardi dentro l’inferno, anche l’inferno ti guarda dentro. L’angoscia che ne deriva è un sentimento più o meno cosciente e consapevole ma la reazione ad essa è totalmente imprevedibile. Arriveranno manifestazioni di violenza, di aggressività, di furia, di rabbia, di collera, causate dalla frustrazione. La paura fa saltare l’ordine delle cose ed è l’unica reazione possibile ad un destino doloroso. Quanta forza esercita la paura negli uomini! Mi convinco che le opinioni che ho accettato fino ad oggi sono da eliminare tutte. Non dovrei continuare a vivere con principi sui quali mi sono lasciato convincere da giovane senza accettarne mai la verità.

©Emanuele Mei

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