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“Il soldato Mikhail”

di Emanuele Mei

Mikhail è un soldato, sa che il terrore lo attende ma gli va incontro lo stesso, senza protesta, cerca di convincersi che non potrebbe andare diversamente. Mikhail non ha alcun motivo per partecipare a questa lotta, non sa nemmeno spiegarsi perché questa guerra debba iniziare. In fondo egli sa che chi combatte è sempre allo scuro di tutto, e che gli uomini si ammazzano senza desiderio.
Non può esistere rancore tra gli uomini che non si sono mai incontrati. Uomini che vengono trasportati verso altri uomini, senza una motivazione imputabile agli stessi, senza una reale coscienza del perché. Uomini che sopportano l’attesa con la paura nel cuore, che trovano il coraggio svuotando una bottiglia di vodka, i cui pensieri sono mutilati, frammentati e ricostruiti dalle droghe, con una logica insensata.
Uomini che non obbediscono, ma servono, che non sono governati, ma obbligati. Uomini che diventano automi nelle mani di altri uomini che li spingono a compiere azioni rivoltanti, anche questi spinti da altri uomini, finché il senso si perde lungo la catena del comando.
Uomini che abbandonano la libertà, che si fanno servi, che acconsentono al proprio male e lo provocano. Uomini che realizzano l’ideale di felicità umana tramite la crudeltà e l’omicidio.
Mikhail è solo un ragazzo, non si è mai accorto prima di oggi di come potesse essere terribile. Ha paura di non poter più tornare indietro, una volta che uccidi un uomo sei condannato.

Gli inverni qui sono freddi e ventosi. La temperatura scende spesso sotto lo zero.
Le bombe rendono la vita difficile. La prima cosa che fai è filare in cantina, al gelo. Il suono della sirena antiaerea è martellante, col tempo diventa una musica che non c’è, ti entra dentro come una lama. Tutto accade in un baleno ma la sospensione è eterna, il tempo rallenta e la vita si ferma, per alcuni si spegne.

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