Molto spesso, quando si parla di tecnica ed attrezzature fotografiche nella fotografia di paesaggio, si menzionano quasi sempre le lenti ultra grandangolari che, con le loro focali corte e con i loro ampi angoli di campo (negli ultimi anni le aziende hanno raggiunto il massimo dell’ingegneria con la realizzazione di ottiche wide con focali estreme su sensori full frame), permettono di riprendere grandi porzioni di paesaggio includendo all’interno del frame quanti più elementi troveremo davanti.
Personalmente, seppur diversi anni fa ho fatto grande utilizzo di lenti grandangolari, con esperienza e crescita fotografica sono arrivato alla conclusione di non essere un amante di focali super–wide e quindi, per mia scelta stilistica, ho eliminato dal corredo obiettivi di questo genere. Oggi la focale più corta tra le mie lenti risulta essere 24mm.
Diametralmente opposto all’utilizzo delle lenti grandangolari, dove bisogna prestare attenzione ai diversi elementi che andremo ad inquadrare, componendo con un teleobiettivo si ha una maggiore precisione sulla scelta dei soggetti ripresi e sugli spazi.
Per il mio modo di fotografare il paesaggio, più intimo e introspettivo, faccio largo utilizzo di focali medie e lunghe ed il mio rapporto con teleobiettivi é parte integrante della mia identità fotografica. Adoro utilizzare il mio teleobiettivo 100–400, lente polivalente, sia nella fotografia di paesaggio che naturalistica e lo porto costantemente nel mio zaino. Le lunghe focali con cui fotografo paesaggi e natura, nel mio caso, risultano fondamentali, infatti grazie ad esse raggiungo il lato più intimo del paesaggio, ne scelgo i soggetti e gli elementi compositivi, sfrutto l’illusione prospettica dovuta allo schiacciamento dei piani, utilizzo lo spazio per equilibrare dinamicamente la composizione e focalizzo la mia attenzione sulle forme astratte del paesaggio.
Ovviamente non è semplice fotografare con teleobiettivi, serve molta esperienza per riuscire a gestire i tempi di scatto (anche su treppiedi) in rapporto alla lunghezza focale, alle condizioni di luce ed atmosferiche, il micro mosso è sempre in agguato ed i sensori densi odierni non perdonano facilmente gli errori; spesso può bastare un leggero soffio di vento o una piccola vibrazione per precludere la riuscita di una fotografia. Inoltre, con focali così lunghe ed angoli di campo ristretti, bisogna tenere conto della limitata profondità di campo che si traduce in un facile fuori fuoco.
Credo che un teleobiettivo abbia immense capacità nel trasportare il fotografo all’interno di un paesaggio, toccandone l’anima e creando una maggiore interconnessione tra natura ed essere umano, sviluppando una visione di paesaggio meno spettacolarizzata, ma concettuale e riflessiva.
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Antonio Aleo
Fotografo professionista, vive nella sua terra natale, la Calabria, luogo meraviglioso dal sapore quasi selvatico, che unisce mare, montagne, laghi, cascate, foreste e paesaggi collinari.
Quando si avvicinò al mondo della fotografia, fu subito attratto dai grandi maestri della fotografia di paesaggio, natura e documentaristica, tra i quali spiccano Joe Cornish, David Ward, Charles Cramer, Christopher Burkett, Art Wolfe, Antoine d’Agatà. Questi hanno contribuito a rendere alto il suo interesse principalmente verso la fotografia più sentimentale e Fine Art.
Dal 2010 fotografa il suo territorio e collabora con diverse riviste ed agenzie fotografiche di natura e paesaggio. Nel 2019 diventa ambassador Leofoto per il territorio calabrese. Utilizza una fotocamera mirrorless, zoom grandangolari e teleobiettivi, filtri NDG, polarizzatori e treppiedi. Postproduce le immagini principalmente con Capture One e Photoshop. Non aggiunge mai situazioni ed elementi inesistenti, in fase di scatto, alle sue immagini.
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