Pietro
Molti ma molti anni fa mi trovai a condividere la mia casa con un altro collega di lavoro, veramente la casa la condivisi con molti colleghi ma di questo ne conservo un ricordo particolare per via della lezione di vita che ne ricavai e di cui anche oggi ne traggo beneficio.
Era un tipo decisamente ambizioso, curava il corpo e lo spirito in palestra ma seguiva anche corsi di autodifesa, non vedeva l’ora di potersi scatenare sul primo malcapitato che lo avesse importunato. Aveva il pallino della sana alimentazione e per questo si mise a frequentare un corso salutistico di un paio di mesi e si riempì la dispensa di cereali e riso soffiato.
Era pure uno sportivo, gli piaceva il tennis, una sera uscì di casa e tornò con tutto l’occorrente del perfetto tennista e ben 50 palline verdi che gli scappavano da ogni dove.
Si era anche iscritto ad un corso in un noto club sportivo del luogo. Ci si dedicò per ben due mesi al tennis, sentiva di avere la stoffa del campione, sapeva che da li a breve avrebbe stretto la mano a Panatta, il campione dell’epoca.
Lo vedevo lanciato, motivato, un treno inarrestabile, anche con le donne correva come un treno, si me lo ricordo bene. Una sera di marzo però lo vidi tornare a casa un po’ abbacchiato, me ne accorsi perché nel mio vivere disordinato, nel mio fumare e bere e nel mio sovralimentarmi nei luoghi più abbietti della città lui rappresentava una forma di equilibrio e motivazione fuori dal comune, lui era quello che sapeva quello che voleva, per lui tutto era chiaro.
Quella sera tornò a casa, si chiuse nella stanza e non proferì parola. Io con la mia birra in mano provai a chiedergli qualcosa ma mi evitò con garbo e non per il puzzo di birra, gli facevo schifo proprio per quello che ero.
Il giorno dopo alla stessa ora lo vidi rientrare invece carico come una pila, aveva un grosso pacco con se e un altro ancor più grosso dietro la porta d’ingresso da cui vidi spuntare delle pinne e una bombola di ossigeno. Mi guardò e dopo un lungo silenzio mi disse a gran voce …..diventerò un sub. Aveva speso una fortuna quella sera, tutto il corredo completo da sub si era comprato, perfino i pesi di piombo per agevolare la discesa in profondità, tanto che in un primo momento feci fatica a capire se parlasse di sommozzatore o di palombaro. L’attrezzatura ce l’aveva, gli serviva solo il brevetto ma per questo non c’era problema, un bel corso e il gioco era fatto. Ma il tennis ? Di quella passione che lo aveva infuocato qualche mese prima si perse la memoria, anche dell’attrezzatura non rimase traccia alcuna.
Mentre la mia conoscenza di locali di infima reputazione era seconda solo alla frequentazione di donne di facili costumi, costui si dedicava anima e corpo ad uno sport che lo avrebbe sicuramente elevato nel gotha dei più grandi conoscitori del mare e delle immersioni.
Credevo veramente che l’estate oramai alle porte lo avrebbe visto padrone della sua nuova arte ma come per incanto, anche questa volta mollò tutto e una calda giornata di luglio tornò a casa con un corredo fotografico da paura, mi tremavano le gambe solo a immaginarne il valore. Si chinò dietro il mio orecchio e mi sussurrò……io diventerò un fotografo famoso.
Il più grande pensai io, se ci dedicherà il suo tempo e i suoi anni migliori come era sua abitudine fare.
Fu allora che prendendo la sua macchina fotografica in mano scoprii che si chiamava reflex e decisi di comprarne una pure io ma di valore sicuramente più basso, una piccola yashica fx3, che mi aprì la porta verso quell’universo che non ho più abbandonato. Lui ovviamente perse interesse nella fotografia nel giro di qualche mese, io non ho fatto altro per i trent’anni successivi.
Lui continuò a frequentare corsi (a quei tempi non li chiamavamo workshop) di judo, karatè, yoga, pittura, shiatsu, ayurveda…..via uno avanti un altro. Io non sono riuscito a fare altro se non fotografare e guardare le foto degli altri, non frequentai mai neanche un corso.
Nella mia vita disordinata trovai un ordine improvviso ed anche il tempo di metter su famiglia. Cosa sarà oggi di quel mio collega ? Della mia vita passata mi sono rimasti solo i miei sigari e tanta tanta fotografia.
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Domenico Giampà
Sono nato a Catanzaro nel 1964 da padre fornaio e madre casalinga, a loro innanzitutto corre il mio pensiero e il mio ringraziamento per avermi curato nel corpo e nello spirito tra mille avversità e ristrettezze.
Dopo gli studi tecnici e un diploma di perito elettronico lasciai la mia città in cerca di fortuna al nord Italia, un classico della mia generazione, un marchio di fabbrica di ogni famiglia del sud che si rispetti, quello di avere almeno un emigrato tra i suoi componenti, io fui il primo e di ciò non sò a tutt’oggi se esserne fiero oppure no.
Una vita come un’altra divisa tra lavoro e passione per una vecchia reflex manuale con la quale iniziai a dilettarmi. Agli esordi fui affascinato dal mezzo tecnico e dalla esigenza documentativa verso la città che, fin da giovane, mi accolse e a cui tutto devo in termini di formazione, Torino. Fu per me, come per tanti, la mia nuova città adottiva che mi educò al rigore e all’equilibrio estetico.
Iniziai da giovanissimo a frequentare il mondo fotoamatoriale degli anni 80 e mi resi conto in fretta che esisteva tutto un mondo di “praticanti” della nobilissima arte della fotografia.
Molti i soggetti delle mie immagini ritratti nel tempo, alla ricerca di una personalità, ho toccato tutti i settori fotografici e alla fine ho rivolto l’attenzione alla figura ambientata e al sociale, che prediligo al di sopra di tutto.
Il reportage è oggi la mia unica vera passione.
Risiedo attualmente a Satriano, un piccolo centro della costa jonica nel soveratese.
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