Per decenni l’industria del video si è concentrata quasi esclusivamente sul prodotto finito: lo spot, il corto, il video corporate. Il backstage era considerato un contenuto accessorio, una curiosità da inserire come extra nei DVD o da mostrare solo in contesti promozionali. Oggi il paradigma è completamente cambiato. In un mondo in cui l’autore deve comunicare non solo cosa realizza, ma come lo realizza, il backstage è diventato uno strumento strategico. Un vero e proprio linguaggio che certifica la professionalità del videomaker, accresce la sua reputazione e genera fiducia agli occhi di clienti e follower.
Essere visti mentre si lavora – con immagini curate, riprese dinamiche, dettagli tecnici messi in evidenza – significa esporre il proprio metodo, mostrare la dedizione verso la luce, il set, la composizione, l’interazione con il cliente. Il backstage non è “documentazione del lavoro”: è la narrazione dell’autore. È la prova tangibile che quel risultato finale non è frutto del caso o della fortuna, ma di competenza, regia, sensibilità estetica e controllo del mezzo tecnico.
Il valore psicologico del vedere il professionista all’opera.
Le immagini di backstage attivano un meccanismo di fiducia: mostrano il videomaker come figura autorevole, al centro di un set, circondato da attrezzature, luci, crew e strumenti che raccontano competenza. Non è un semplice mestiere, è uno stile di lavoro. Chi guarda un video di backstage non osserva il prodotto, ma il professionista. E nel campo della comunicazione contemporanea, il professionista è esso stesso un prodotto di comunicazione.
Quando un potenziale cliente osserva un fotografo o videomaker in azione, interpreta ogni gesto come prova di affidabilità: la postura fisica, l’abbigliamento, l’attenzione ai dettagli, l’utilizzo sicuro delle attrezzature. Persino l’espressione del volto racconta impegno e sicurezza. Per questo motivo il backstage non può essere improvvisato: dev’essere pianificato e realizzato da un operatore dedicato, estraneo alla troupe principale, il cui unico compito è raccontare l’autore.
Backstage vs Making Of: due prodotti distinti
È fondamentale distinguere tra “backstage” e “making of”, termini troppo spesso confusi oppure sovrapposti.
- Il backstage è un prodotto audiovisivo breve, dal ritmo dinamico, costruito su musica e immagini. Non spiega: mostra. La sua forza risiede nell’impatto emotivo e nella velocità narrativa. Funziona bene sui social, diventa un contenuto virale, comunica estetica, energia, lifestyle professionale. Le riprese sono pensate per esaltare l’autore come protagonista del processo creativo.
- Il making of è un vero contenuto narrativo. Qui entra in gioco la voce dell’autore, che racconta la genesi del progetto, le scelte tecniche, la filosofia produttiva. È più lungo, strutturato, didattico. Il pubblico non guarda per emozionarsi, ma per capire. Il making of è uno strumento di autorevolezza tecnica, spesso utilizzato nei festival o come contenuto formativo.
Questi due linguaggi non competono: si completano. Il backstage è un contenuto identitario, pensato per agire sul piano del branding. Il making of è un contenuto esplicativo, nato per trasmettere conoscenza.
La regia del backstage:
Il backstage efficace non nasce dall’improvvisazione. Deve essere gestito come una produzione parallela. Serve:
- Un operatore esterno al team di ripresa, che non interferisca con la produzione principale.
- Uno stile visivo coerente con l’identità dell’autore: luci morbide o contrastate, piani ravvicinati sulle mani, dettagli di attrezzature, momenti di concentrazione.
- Una narrazione implicita: anche senza parole, il backstage deve raccontare una storia. Inizia con l’arrivo sul set, mostra lo svolgimento, si chiude con un senso di realizzazione.
- Un montaggio pensato per i social: rapido, coinvolgente, con stacchi musicali che amplificano l’energia del set.
Il backstage non è uno “scarto” del lavoro: è una produzione che valorizza il lavoro.
Perché oggi è indispensabile
Nell’epoca della content economy, il professionista non può comunicare solo risultati, deve comunicare processi. La qualità di un’opera certifica il talento. Il backstage certifica la persona. Mostra che il risultato è replicabile, che la professionalità è sistemica, che dietro ogni fotogramma esiste una mente organizzata.
Inoltre, il backstage crea relazione emotiva. Il pubblico vede l’autore faticare, sorridere, guidare la troupe, provare luci, confrontarsi con il cliente. È il dietro le quinte del mestiere, che oggi vale quanto – se non più – del prodotto finito.
Info e contatti Davide Vasta:
FB https://www.facebook.com/davide.vasta
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