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Gli uomini delle terre alte

di Massimo Cappuccio

Gli Hunza del Karakorum, portatori indomiti

Vado in montagna da più di trent’anni, eppure ogni volta che mi ritrovo sotto i colossi degli ottomila, provo lo stesso senso di meraviglia, lo stesso stupore della prima volta.

L’Himalaya e il Karakorum non sono solo catene montuose: sono mondi verticali, territori sospesi dove l’aria è rarefatta e i pensieri si fanno leggeri. Qui, sulle terre alte del mondo, al confine tra terra e cielo, gli uomini hanno imparato a vivere seguendo i ritmi della montagna e delle stagioni, adattandosi con tenacia a condizioni estreme. Abitano ambienti che mettono alla prova ogni giorno, da cui traggono identità, forza e un legame profondo con la natura, e questo credo sia il principale motivo per il quale continuo ancora ad andare in montagna.”

Aver avuto l’occasione di percorrere i due trekking più iconici del pianeta — quello verso il campo base dell’Everest e quello verso il campo base del K2 — è stato un privilegio immenso. Per me, che sono fotografo e appassionato di montagna, è stato come unire due parti fondamentali della mia vita, dentro un’esperienza intensa, fisica e spirituale allo stesso tempo.

 

Le bandiere di preghiera Tibetane sventolano sopra la cima del Gokyo Ri

Prepararsi al cammino

L’esperienza accumulata in tanti anni mi è servita tantissimo, soprattutto per gestire tutto ciò che sta “dietro” al cammino: la logistica, la preparazione fisica, l’alimentazione, la gestione delle energie in quota, la cura dell’attrezzatura fotografica in condizioni difficili.

Viaggiando leggero ma senza compromessi, ho portato con me la mia Sony A7III, una macchina che conosco bene e che ha una batteria con un’ottima durata. Avevo solo due batterie extra, ma l’importante era tenerle sempre al caldo, e per farlo avevo realizzato un piccolo sacchetto di neoprene da tenere sotto la giacca, a contatto col corpo. Ho portato due obiettivi, il nuovo Sony 20-70 F4 e il Tamron 70-180 F2.8. Per le schede SD: preferisco usare più schede da 64GB per i file RAW, così da non rischiare di perdere troppi scatti in caso di problemi, e una solo da 256GB nello slot di backup per i JPEG, poi treppiedi Manfrotto.

Sono partito per entrambi i trekking prima dell’inizio della stagione ideale, quindi a marzo per l’Everest e giugno per il K2. Una scelta voluta: per trovare meno gente sui sentieri, per respirare davvero l’atmosfera del luogo, per vivere la montagna in modo più intimo, coincidenza ho fatto entrambi trekking nel rispettivo 70° anniversario della prima salita, quindi 2023 l’Everest e 2024 il K2. Le notti, certo, sono state più fredde, e in alcuni casi è nevicato, ma è stato proprio questo a cambiare completamente l’ambiente, a renderlo ancora più magico e autentico.

Nel Karakorum, ad esempio, ho potuto fare degli scatti notturni molto suggestivi, con le montagne illuminate dalla luce lunare. Verso l’Everest, invece, il cielo notturno era spesso coperto, ma durante il giorno il meteo è stato quasi sempre dalla mia parte.

Gli incontri che restano dentro

Una delle cose che amo di più in questi viaggi è l’incontro con le popolazioni locali. Nonostante le barriere linguistiche, la macchina fotografica è uno strumento potentissimo: diventa un ponte tra culture diverse, crea connessioni. Mi piace fermarmi a parlare, ascoltare, chiedere il permesso per fare un ritratto. Non è mai solo uno scatto: è un momento condiviso, trovo sempre o quasi il modo di farlo, traggo piacere quando riesco a fare un ritratto anche a chi prima si era dimostrato contrario.

Ho trovato gli Hunza e i Balti del Karakorum più aperti e disponibili a parlare e farsi fotografare rispetto agli Sherpa nepalesi. Forse dipende dal fatto che nella zona dell’Everest la popolazione è ormai abituata a incontrare ogni giorno centinaia di turisti, e quella curiosità spontanea che avevano anni fa si è un po’ spenta. Ma questo non significa che non ci siano più connessioni possibili, serve solo più tempo, più ascolto, più delicatezza.

Nel Karakorum ho vissuto un incontro che mi ha colpito profondamente: quello con una giovane dottoressa pakistana. Viaggiava con uno zaino pieno di medicine per assistere i portatori lungo il cammino verso il campo base del K2. In un contesto dominato dagli uomini, lei era lì, con discrezione e forza, a fare la differenza. Mi ha raccontato della sua famiglia, del supporto ricevuto, del suo percorso per diventare medico — un esempio raro e prezioso, soprattutto pensando a tutte le donne che, in quelle stesse terre, non hanno le stesse opportunità.

La montagna, la fatica, il ritorno a sé

Affrontare trekking come questi non è una semplice passeggiata. Si cammina per circa due settimane, ogni giorno per 6-8 ore, sempre sopra i 3000 metri, spesso oltre i 5000. E nel caso del Karakorum, la difficoltà aumenta: non ci sono villaggi, né rifugi, si dorme sempre in tenda e si mangia ciò che si cucina sul fornello da campo.

La fatica è accentuata dall’altitudine: il mal di montagna, causato dalla carenza di ossigeno, è spesso alla base di molti malesseri e può addirittura essere la causa di una rinuncia, impedendo di raggiungere la meta prefissata. Tuttavia, la fatica è ampiamente ripagata dall’immensa bellezza del paesaggio e dal senso di benessere che deriva dall’attività fisica e dall’aria fresca di montagna. Camminare in alta quota diventa anche una forma di liberazione: si abbandonano le abitudini quotidiane, la comodità e il superfluo, per ritrovarsi immersi nella semplicità più pura, il corpo si tonifica e la mente si libera da ciò che non serve. Resta solo l’essenziale. E si torna a sentirsi davvero vivi.

Camminare in alta quota, nel silenzio, ti costringe a rallentare, ad ascoltare. È un esercizio profondo, quasi meditativo. E non serve essere super allenati per affrontarlo, basta avere una buona preparazione, spirito di adattamento e il desiderio sincero di mettersi in gioco.

Io ho preferito partire da solo, per immergermi totalmente nella dimensione del viaggio. Ma chi lo desidera può affidarsi a guide e agenzie specializzate, che organizzano tutto e permettono anche ai meno esperti di vivere un’esperienza unica.

In fondo all’articolo trovate le due agenzie, in Nepal e in Pakistan, che organizzano i trekking e per le quali ho creato contenuti.

Il cuore delle terre alte

Camminando verso l’Everest e il K2, ho visto uomini che rendono possibile l’impossibile: portatori che si muovono leggeri con carichi enormi, guide che conoscono ogni pietra del sentiero, bambini che giocano a 4000 metri come se fosse la cosa più naturale del mondo.

Sono loro i veri protagonisti di queste terre alte. Gente fiera, silenziosa, ospitale. Popoli diversi per cultura e religione, ma accomunati da un profondo legame con la montagna. Nei loro occhi ho trovato l’anima di questi luoghi: mani che lavorano, sorrisi che accolgono, passi sicuri nella neve.

Le mie fotografie vogliono raccontare proprio questo: non solo le vette famose, ma chi le vive ogni giorno. Perché senza di loro, le montagne più iconiche del pianeta sarebbero solo giganti di roccia senza cuore.

Agenzie di trekking per l’Himalaya e il Karakorum

Everest –  Nepal

Trekking Planner – Thamel Marg, Kathmandu, Nepal

Phone +977 9851071767

Email: info@nepaltrekkingplanner.com

K2 – Pakistan

Trango Adventure, Radio Pakistan Chowk, Airport Road, Skardu, 16100, Pakistan.

Phone 0092 514801951

Email: info@trangoadventure.com

Breve Bio

Massimo Cappuccio è fotografo e autore, laureato in Scienze Naturali e guida naturalistica. Da sempre legato alla natura e alle attività outdoor, ha fatto dell’esplorazione il filo conduttore della sua vita, viaggiando in oltre 80 paesi tra montagne, deserti e terre di confine.

La sua passione per la fotografia nasce come esigenza di documentare le sue avventure in giro per il  mondo, spedizioni alpinistiche, raid in bicicletta e trekking d’alta quota, ma col tempo si trasforma in uno strumento più profondo: un mezzo per osservare, raccontare e connettersi con l’anima dei luoghi e delle persone.

Al centro del suo lavoro ci sono il mondo verticale e le “comunità di quota”: storie che si intrecciano con la geografia e con la resilienza di chi vive in equilibrio con la natura in ambienti estremi. I suoi reportage uniscono paesaggio, viaggio e narrazione, cercando di restituire non solo la bellezza dei luoghi, ma anche il senso di appartenenza e il rispetto che nasce nell’incontro.

Autore di guide di arrampicata e collaboratore di riviste specializzate, ha pubblicato oltre 70 articoli in 16 paesi. Oggi la fotografia è diventata il punto d’incontro naturale tra le sue passioni: la montagna, il viaggio e il racconto. Vive in Sicilia, ma per lui nessun luogo è lontano.

 www.massimocappuccio.net
 Instagram: @massimocappuccio.photo
 Facebook: massimo.cappuccio.520

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