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Gilbert Garcin: L’esistenza è altrove

di Paolo Ranzani

©Gilbert Garcin

Gilbert Garcin (La Ciotat, 21 giugno 1929 – Provenza –  Alpes-Costa Azul, 17 aprile 2020)

Nel ruolo centrale chapliniano di molte delle sue fotografie – un francese novantenne, divertito e in trench – Garcin si cimenta in metafore della vanità, dell’autocompiacimento e della credulità umana, sotto forma di ostacoli reali rappresentati da oggetti sovradimensionati della vita quotidiana. In bianco e nero, divertenti e prive di fronzoli, le sue favole ottiche oniriche sembrano a volte meraviglie modificate digitalmente, ma in realtà sono il risultato di Garcin che inserisce piccoli ritagli di foto in scenografie fatte a mano tanto semplici quanto ingegnose. Il notevole talento di Garcin consiste nel tessere ironici incantesimi esistenziali con cartone e spago, pezzi di sabbia e bastoni, luci e ombre. Le fotografie di Garcin riflettono l’intera umanità, la nostra comune tendenza a pensare di essere sempre in primo piano e, nonostante tutte le prove del contrario, a rimanere solo fugacemente consapevoli del vasto abisso al di là dell’inquadratura.

©Gilbert Garcin

Era diventato una figura di spicco della fotografia all’età della pensione. “Le sue immagini sono realizzate con cura. Sono composte da figurine ritagliate (la sua stessa immagine in cappotto, spesso accompagnata da quella della moglie Monique) e messe in scena in un ambiente minimalista, tra il sogno della veglia e i simboli un po’ minacciosi, cari ai surrealisti. Favole filosofiche, riflessioni umaniste di grande leggerezza e poesia, le sue fotografie esplorano temi universali, l’amore, il tempo, la gloria, la solitudine o la libertà.

©Gilbert Garcin

Garcin non è proprio un fotografo nel senso più comune del termine. Per buona parte della sua vita ha fatto tutt’altro e solo dopo il pensionamento ha iniziato a trovare nella fotografia un ottimo mezzo di espressione, che gli ha permesso in pochi anni di raggiungere la ribalta internazionale. Mister G. è anche il titolo del suo ultimo libro: una raccolta raffinata delle sue opere, uscita alla fine del 2011.

Le immagini di Garcin sono piene di riferimenti colti e di analogie culturali; spesso anche in modo lampante. L’accostamento più forte è sicuramente legato al surrealismo: non quello contorto di Dalì, ma quello più “lucido” di Magritte. Più spesso è lo stesso Garcin a creare vere e proprie reinterpretazioni di opere d’arte, e quando questo accade, allora troviamo Klee o Frank Kline. Anche i riferimenti alla letteratura non mancano certo: dalla satira sottile di Voltaire all’esistenzialismo di Camus o Sartre; ed è proprio a Camus che, prendendo in prestito il finale del suo saggio “Il mito di Sisifo”, Garcin rende omaggio in una delle sue opere più importanti, “Bisogna immaginare Sisifo felice” (1996).

Ma non definite triste e cupo il messaggio di Garcin, al contrario è estremamente divertente, proprio perché costruito con intelligenza e ironia acuta e raffinata. Dopotutto è proprio non prendendosi sul serio che ci possiamo permettere di ritrovarci attori e antieroi delle nostre più misere messe-in-scena, anche se potenzialmente drammatiche e aberranti.

 

All images: ©Gilbert Garcin

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