Per Gian Paolo Barbieri…
Mi ricordo sì, mi ricordo di Gian Paolo Barbieri… ci siamo sentiti per anni al telefono con Gian Paolo… parlavamo di molte cose, quasi mai di fotografia… cinema soprattutto… ci piacevano gli stessi film, i noir Americani o il realismo magico francese… mi è stato maestro e amico, anche se la mia visione della fotografia mi portava su altre strade… c’incontravamo nell’estetica della differenza… amavo la sua fotografia, tutta… trovavo sia in quella di moda o in quella di ricerca antropologica, una bellezza sublime, una grazia e una potenza insieme che poche volte avevo visto nella storia della fotografia… sentivo in quelle immagini una vicinanza, un crocevia di cammini, un’accoglienza dell’amore dell’uomo per l’uomo che rende leggeri… la bellezza non giunge al fondo dell’eternità, ma dell’istante che la rivela al mondo. Così pochi anni fa, con Paola, mia moglie e compagna di sconfinate avventure, siamo andati a trovarlo nel suo studio a Milano… è stata davvero una giornata particolare… Gian Paolo ha aperto i suoi archivi e lì, nei provini, nelle stampe perfette, nelle opere eterne della sua creatività, ho visto davvero uno dei pochi grandi poeti dell’immagine fotografica… mi ha chiesto con la grazia di un tessitore di lino sacro se mi andava di fare l’introduzione al suo libro, Skin (2015), ritenuto da molti, scandaloso… ne fui felice… ritenevo il libro di una leggiadra bellezza, e così ho fatto… m’ero innamorato di quel libro… poiché là dove l’amore sanguina di ferite e di gioie, le ferite e le gioie della Terra fioriscono. La fotografia di Gian Paolo Barbieri ha acceso la rivoluzione dell’umano nell’uomo.
A ricordo di te Gian Paolo:
«Oh, forma attica! Posa leggiadra! con un ricamo/D’uomini e fanciulle nel marmo,/Coi rami della foresta e le erbe calpestate -/Tu, forma silenziosa, come l’eternità/Tormenti e spezzi la nostra ragione. Fredda pastorale!/Quando l’età avrà devastato questa generazione,/Ancora tu ci sarai, eterna, tra nuovi dolori/Non più nostri, amica all’uomo, cui dirai/“Bellezza è ve- rità, verità bellezza,” – questo solo/Sulla terra sapete, ed è quanto basta».
John Keats (Ode su un’Urna Greca).
Piombino, dal vicolo dei gatti in amore, 25 dicembre 2025
I) Sulla poetica della grazia
«Piano mi domandò perché ero morta — “Per la bellezza” — gli risposi” — e lui:
“E io per la verità — loro sono una cosa sola e noi siamo fratelli”».
Emily Dickinson.
Contro la fotografia della società dello spettacolo. Ouverture in forma di indignazione. Ci si può immaginare un fotografo che non abbia un’anima d’assassino, dell’imbecille o del poeta?… è sempre ciò che detestiamo a qualificarci come servi o cacciatori di sogni… amare il prossimo che conosciamo — complice di guerre, colonialismi o violazione dei diritti umani più elementari — è inconcepibile… alla frequentazione di un qualsiasi fotografo che si autocelebra senza conoscere nulla di sé né della fotografia che dispensa come “arte” a storici, critici, mercanti dell’ovvio e dell’ottuso, preferiamo di gran lunga stare in compagnia con un ritardato mentale… c’è della sensibilità autentica nei suoi svantaggi, mentre nell’artista che si fa “maledetto” c’è una stupidità senza confronti… solo chi ha trovato la saggezza nelle stelle merita di essere ascoltato.
Dove c’è l’ossequio non c’è arte… il passaggio tra il cretinismo e il genio è stretto e solo chi s’interpone tra la Genesi dell’indecenza e l’Apocalisse dell’indignazione comprende che la falsificazione e l’impostura in fotografia (e dappertutto) sono mezzi di privazione del piacere di vivere tra liberi e uguali (e ridere di tutti i poteri)… secoli di false speranze crollano di fronte a un frammento di verità e a cinque minuti di gioia autentica, quando i popoli in rivolta chiedono che l’arte del sopruso si trasformi in arte della vita quotidiana.
Non si abita la fotografia impunemente, si abita una lingua, anche estrema, che fa dell’anima in volo il principio di tutte le bellezze o la fine di tutte le ingiustizie della terra… la fotografia è un orizzonte senza frontiere e nient’altro… ogni volta che il divenire mi sembra crollare sulle nefandezze del presente — imposte dai governi ricchi ai popoli impoveriti — e guardo le immagini leggiadre di Gian Paolo Barbieri (specie la ritrattistica antropologica), ho l’impressione di essere visitato dalla grazia… detto meglio… la fotografia di verità spirituale di Barbieri — come la poesia immaginifica di John Keats — contiene una dolcezza sconosciuta a chi della fotografia fa merce soltanto… Barbieri ama il principio di bellezza in tutte le cose e le sue immagini contengono la gentilezza degli angeli ribelli… la poetica della grazia di Barbieri avversa il pittoresco e costruisce, sotto un certo taglio, anche ereticale (del non convenzionale galleristico o dell’avanguardia del cattivo edonismo), la rivincita del bello sul crepuscolo del mondano. Ciò che vi è di più arcaico nella fotografia è la bellezza, vale a dire la più vitale visione politica dell’esistenza.
A parte la fotografia della verità ferita a morte o della bellezza dispersa nel disinganno universale, la fotografia che corre o viene insegnata è solo mediocrità (che sia numerica o argentica fa lo stesso). Gli stupidi vanno a finire sempre in paradiso, con le oche che volano e i patiboli delle chiese monoteiste che grondano sangue innocente degli eretici… la fotografia della grazia si chiama fuori dalla percezione dell’impotenza o dai lavatoi dell’arte da centro commerciale (qui anche Walter Benjamin, geniale fustigatore di politiche dell’angoscia e propugnatore di rivolte del costume, non ha compreso che l’arte di tutti per tutti è una bufala e le “mosche cocchiere” della sinistra se la giocano alla corte di qualsiasi padrone, in cambio di una manciata di dollari o un posto espositivo in televisione)… da nessuna parte è il vero, se non nella poesia della bellezza che ci svela il senso profondo della storia e implica un’idea di avventura che porta al di là dei produttori di eterne miserie.
Secondo la tradizione ebraica della Kaballah, l’opera dell’uomo precede il mondo della conoscenza e dell’arroganza di duemila anni… o forse mi sbaglio!… sono le parole che mi ha lasciato in sorte uno stregone africano cieco che ho conosciuto nel deserto etiopico, mentre mangiava foglie di acacia e beveva acqua di pozza… sono le leggi, i codici, le morali che creano i destini e l’infelicità del genere umano. Se avessi ascoltato i miei impulsi giovanili, sarei finito in galera o impiccato al limitare del deserto in fiamme per lesa maestà contro la guerra.
È stata la fotografia leggiadra di Lewis Carroll, Ernest J. Bellocq, August Sander, Diane Arbus, Gian Paolo Barbieri o Pietro Gori a farmi comprendere che non c’è Dio né Stato per il quale valga la pena di uccidere o essere uccisi… Schopenhauer, Nietzsche o Artaud hanno appreso la loro filosofia stellare nei bordelli o nell’intuizione dell’istante come poetica del fuoco rubato agli dèi… nell’odore (nauseabondo) dell’incenso delle chiese o in quello di carogna dei parlamenti le verità sono divenute irrespirabili… è grazie alla sofferenza, e a nient’altro, che la facciamo finita di essere schiavi e — di utopia in utopia — rivendichiamo la conquista della felicità (con tutti i mezzi necessari, Malcolm X, diceva) di tutti gli uomini. Motto di spirito!…
La voglia di bruciare i fotografi della società spettacolare mi assale solo quando ho un appuntamento con le loro opere in mostra… ci vado sempre con la certezza di incontrare Dio che vomita benevolenza e ottimismo sulla sua ultima creazione… non ho incontrato una solo artista disturbato che non creda in Dio o nella firma sugli assegni… Dio parla solo a sé e ai ragazzi di bottega che alla sua tavola si sono mangiati tutto il pane, hanno bevuto tutto il vino e uno di loro si è venduto il maestro per un pugno di dollari, poi si è impiccato a un fico per timore dell’insuccesso… sbarazzarsi della fotografia è privarsi del piacere di riderne. Il senso del sublime (in molta) della fotografia di Barbieri è “cosa” per coloro che lo capiscono… volteggia sul principio di affinità elettive e a vedere bene non tiene molto di conto gli incensamenti che la cultura consumerista veicola nelle griffe di “sarti di successo” (Armani, Versace, Dolce e Gabbana, Valentino…) che concepiscono la fotografia come prolungamento della merce… nulla è al di sopra, nulla è al di sotto del sublime egualitario dell’arte autentica… non è vero che tutto è possibile col consenso dell’altro… in margine alle istituzioni e fuori dalle convenienze resta l’arte della capacità di differire e fare del piacere e della cultura di sé il principio spirituale di ogni bellezza convulsiva… il sublime — in ogni forma espressiva — raggiunge la grandezza universale nella rinuncia alle connivenze collettive… il sublime estetico/etico di Barbieri è un lavoro del fare-anima che espelle l’entusiasmo degli stolti e si attesta nell’inguaribile malinconia che abita le grandi opere d’arte, sempre.
Gian Paolo Barbieri nasce a Milano, dicono le note che lo riguardano, nel 1938, in una famiglia di buona levatura… nel magazzino di tessuti del padre (è già un buon inizio) acquisisce molto di ciò che lo aiuterà poi a lavorare (su crinali espressivi non banali) nella fotografia di moda… nel 1955-56 si scrive alla scuola di recitazione del Teatro dei filodrammatici e insieme ad alcuni amici fonda la compagnia “Il Trio”… La Traviata, Letto matrimoniale, Un tram chiamato desiderio sono i drammi che presentano nella casa dei genitori di Barbieri… ottiene una piccola parte nella Medea di Luchino Visconti e con la sua bandiglia di compagni di palcoscenico fa l’attore, costumista, operatore nel rifacimento di film come La via del tabacco, La vita di Toulouse Lautrec o Viale del tramonto… opere che hanno segnato la storia del cinema (specie il film di Billy Wilder, Viale del Tramonto, con l’intramontabile interpreta- zione di Erich von Stroheim e Gloria Swanson). Negli anni della “dolce vita”, un eufemismo inventato da Federico Fellini e la stampa imperniata sulle cronache rosa, Barbieri è a Roma… sopravvive facendo fotografie per aspiranti attori/attrici… qualcuno si accorge che è bravo e gli consiglia di lavorare per la fotografia di moda… si trasferisce a Parigi e diventa assistente di Tom Kublin (per alcuni un maestro del genere). Nel 1964 è di nuovo a Milano, comincia a pubblicare su Vogue Italia e dal 1973 su Vogue Paris. Nel 1978 è già tra i grandi fotografi che si occupano della sontuosità (a volte deplorevole) del “made in Italy” nel mondo (come chiosano i giornalisti televisivi)… realizza campagne importanti per Elizabeth Arden Chanel, Dolce&Gabbana, Mikimoto… lavora per Valentino, Ferrè, Versace… negli anni ’90 compie viaggi in Madagascar, Thaiti, Seycelles, Polinesia… pubblica libri straordinari di volti, corpi, simbologie di quei popoli… intreccia (dicono) il glamour della fotografia di moda con la foto- grafia etnografica, vero niente. L’iconologia antropologica di Barbieri ritorna alla fascinazione dionisiaca dei corpi e alla maniera della poesia straordinaria di Baudelaire, affabula una regalità dei gesti, un’ironia mitografica o una seduzione dell’istante che trabocca nel reale tutta la lucentezza erotica (mai volgare) di un trovatore di emozioni. I riconoscimenti al foto- grafo milanese sono planetari… le esposizioni antologiche al Victoria e Albert Museum di Londra e nel Kunsforum a Vienna… lo confermano maestro della purezza “alchemica”, che è un fattore della realtà… e molti mangiatori di utopie e assertori del bello come educazione estetica, considerano, a giusta ragione, la scrittura fotografica di Barbieri, un invito all’arte come ponte verso la felicità.
L’immaginale della seduzione di Barbieri, specie nella ritrattistica “esotica” o in un’estetica del diverso (come scriverebbe Victor Segalen), emerge da eventi, epifanie, costruzione di situazioni che lavorano sull’archetipico, sul preesistente, sul mitologico che ancora affiora dai corpi, sguardi, gestualità… fotografie che sono tracce, segni, sentieri in utopia nelle quali “essere” significa “rinascere”… ciò che sborda in questa fotografia di Barbieri annulla la storia e dà volto a metafore sulla diversità che diventano “stile”… la psicologia del profondo di Barbieri rivela una parte per il tutto e come l’uomo delle origini incide l’osso, intaglia il legno, scolpisce la pietra, lui cammina nei sogni e fa della fotografia un’etica/estetica che dà forma alla materia e la libera in nuove forme del comunicare.
La scrittura fotografica di Barbieri è un rizomario di idee che si riappropriano del tempo e dello spazio e nell’eversione poetica lavorano alla riattualizzazione dell’immaginario… sono fotografie di un filatore di bellezze che hanno molto a che vedere con la figurazione dei gran- di pittori del Rinascimento italiano (Antonello da Messina, Andrea Mantegna, Bronzino, Ma- saccio, Caravaggio, specialmente) senza tuttavia dimenticare la semiologia del cinema in forma di poesia di Pier Paolo Pasolini, l’affresco storico di Luchino Visconti e, sotto un taglio più celato, la filmografia con pochi eguali di John Ford… può sembrare strano che un regista di western sia affiancato a uno dei più complessi fotografi del nostro tempo… non è così… l’inquadratura epica di Ford contiene la medesima intensità e sensibilità “lustrale” delle fotografie di Barbieri e in eguale misura rimandano e rinnovano la gioia del percepire… i grandi sognatori sono messaggeri di infinite bellezze e infanzie eterne… la felicità cosmica disseminata nelle loro inquietudini erranti superano qualsiasi frontiera e vanno a costruire, credo, un universo di bellezza che contiene ed evoca il fascino oscuro di aurore emozionali e passioni amorose mai finite.
A leggere con attenzione la ritrattistica di moda di Barbieri… si scorgono fotografie che tra- valicano la commissione per la quale sono fatte e al di là della certificazione divistica (Angeli- ca Huston, Mariolina Della Gatta, Benedetta Barzini, Veruska, Audrey Hepburn, Monica Bellucci o altre celebrità, anche maschili, che non importa menzionare) c’è in questo fare-fotografia (colore o bianco e nero) una sorta di ebbrezza dei corpi, dei segni, dei graffiti… che rimanda alla trasfigurazione dell’irrealtà dell’istante e nella cartografia di eleganze strutturali e armonie segrete, si comprende che il gusto e la maniera esigono coraggio e sfida, dispendio e risentimento del talento che mirano alla restaurazione della sovranità artistica e al godimento di sé. Il linguaggio fotografico di Barbieri incanta e inaugura stagioni di memorie dimenticate che coincidono con le tracce in amore del poeta che inventa la malinconia per non morire di verità (storiche) insopportabili. “Quando si fantastica profondamente, non si mai finito di cominciare”, Novalis, diceva. Di più. La geografia iconografica di Barbieri, sotto molti aspetti, inventa l’intimità del mondo, supera gli schemi di una sessualità schiavizzata nei codici del “buon costume” e inchiodata alle bassure delle morali dominanti. Il suo fotografare sfugge ai segni del tempo che consuma e la sostanza della propria unicità piange lacrime di dolcezze sconosciute… è un’archeologia espressiva che riprende la cosmogonia magica dei sentimenti struccati e si compenetra nella filosofia androgina/antropologica del grandi valori. Ciascuno è il pane che mangia e l’amore che vive.
La fotografia di seduzione di Barbieri contiene l’innocenza del divenire e l’eresia di tutte le inquisizioni… le sue ricerche creative (Silent Portraits, 1984; Thaiti Tattoos, 1989; Mada-gascar, 1994; Assouline, 1994, Equator, 1999, Innatural, Contrasto, 2004, Dark memo- ries, Skira, 2013, Skin, Silvana, 2015 o Flowers, Silvana, 2016) sono ciò che più interessa alla nostra fame di bellezza e di giustizia che difficilmente circola sul boccascena della fotografia internazionale… i filamenti discorsivi di Barbieri si accostano a corpi, sguardi, gesti e in una sorta di intima complicità con i ritrattati, superano la posa… costruiscono il rapporto del fotografo con la verità che accade davanti alla fotocamera… mostrano che la fotografia nasce dalla meraviglia o non è niente. In molte delle fotografie di “gente selvatica”, per così dire, di Barbieri… si apprende il bene del corpo e il candore del passato… la rivelazione artistica coincide con il ritorno alle visioni primordiali dell’uomo e fuori da ogni spirito di santità, il fotografo rifiuta tutti i principi di autorità e si cala all’altezza dell’anima e del suo destino.
Il suo fare-fotografia qui è un movimento evolutivo, “è l’azione dello Spirito, che soffia dove vuole e che conduce le coscienze sempre più verso la luce della verità” (Vito Mancuso). A memoria di ubriaco (fatti salvi, Diane Arbus, Tina Modotti, August Sander, Roman Vischniac o la Banda Bonnot) non si era mai visto fotografare gli “invisibili” con tanta regalità… là dove il corpo parla, l’anima si fa gioco di ogni autorità temporale.
Le zattere della libertà fotografica di Barbieri sono gremite di uomini, donne in amore e solo autori del dissidio (non solo fotografico) come Robert Mapplethorpe, Sebastião Salgado o Oliviero Toscani (la sua fotografia della ragazza anoressica censurata dalla cecità delle istituzioni, resterà un’icona tra le più grandi e maledette del nostro tempo)… sono riusciti a scardinare il tanfo del colonialismo culturale e riportare la fotografia sulla punta dell’anima… le immagini di Barbieri contengono, appunto, l’uguale lacerazione dell’esistente e mostrano che la verità (come la bellezza) abita nell’uomo interiore… detto meglio… attraverso la visione surreale dei ritrattati e la relazione amorosa tra fotografo e corpi che scintillano nel suo immaginario libertario/libertino, la forma/materia dei corpi diventa corpo e anima dell’umanità.
L’arte della seduzione nelle scritture fotografiche di Barbieri è parte di un’immaginazione raffinata che ridesta emotività, fantasia e l’attività onirica… i personaggi di Barbieri interpretano la bellezza come anomalia e sembrano resuscitare il senso/forma come destino… a sfogliare le fotografie in bianco e nero di uomini denudati che portano sulle spalle teste di bufalo, trasportano una manta o il ritratto (senza testa) di un giovane e un filo di sangue (o di sudore, ma vogliamo pensare che sia sangue) che gli corre sul petto baciato dal sole… vediamo che queste immagini androgine, scolpite in una grazia estetica/etica molto femminile, tra- scendono la realtà dell’istante a vanno a costruire una sinfonia della gioia visuale che è anche rimorso per qualcosa che è andato definitivamente perduto, l’innocenza della rêverie. “Il mondo è costituito dall’insieme delle nostre ammirazioni. La nostra massima potrebbe essere: Ammira subito, capirai dopo” (Gaston Bachelard)1. La poetica della rêverie di Barbieri rimanda alla dottrina dell’esordio… prima di ogni cosa gli uomini hanno molto sognato e liberato il sensibile in una filosofia del gioco che educava a vedere il bello in uno sguardo e non c’è nulla al mondo che brilla di autenticità più di uno sguardo in amore.
1 Gaston Bachelard, Poetica della rêverie, Edizioni Dedalo, 1972
La filosofia di seduzione che attraversa l’intera opera di Barbieri, le citazioni di film (Da qui all’eternità, Casablanca, Improvvisamente l’estate scorsa…) dei grandi pittori, (La libertà che guida il popolo…), le invenzioni mitologiche (rivisitazioni della tragedia greca)… è una visione poetica che contrasta ogni forma di ordine e lascia emergere il desiderio contro tutte le pretese e le certezze dell’ortodossia (religiosa, politica, economica)… rovescia le verità costituite… seduzione e femminilità si confondono e vanno ad elaborare atti nobiliari del comunicare, dove estetica e metafisica favoriscono il disincanto, il gioco, l’eresia e si riversano in una critica graffiante, anche, del pensiero dominante. “La seduzione è sempre all’erta, pronta a distruggere ogni ordine divino, foss’anche quello della produzione o del desiderio. Per tutte le ortodossie la seduzione continua a rappresentare il maleficio e l’artificio, una magia nera che perverte tutte le verità, una congiura di segni, un’esaltazione dei segni nella loro utilizzazione malefica. Ogni discorso è minacciato da questa improvvisa reversibilità o assorbimento nei propri segni, senza traccia di senso. E per questo che tutte le discipline, il cui assioma sia costituito dalla coerenza e dalla finalità del proprio discorso, non possono che esorcizzarla. Ed è qui che seduzione e femminilità si confondono, si sono sempre confuse” (Jean Baudril- lard)2. Le fotoscritture di Barbieri trasgrediscono l’oggettualità fotografica e l’identità occasionale… i ritrattati sono l’epifania di un gioco di specchi e “dicono” che ogni legge, regola o dottrina è fatta per essere disconosciuta.
I nudi esotici di Barbieri non sono per nulla esotici… sono belli… di una bellezza antica rivissuta fuori dalla società omologata (Pasolini, diceva)… quei corpi “ingenui” ci osservano, diventano riflesso delle nostre capacità di leggere e di amare, accogliere e condividere… acquistano così una potenza autonoma e invitano al viaggio fantastico contro il pregiudizio… alla maniera di Nietzsche, insegnano che l’eterno ritorno lo si vive tutti i giorni, e fuori dalla banalità addomesticata che non ha strategie fatali e fa dell’enigmatico e dell’incomprensibile il successo della propria mediocrità. L’etica del dispendio disseminata nella fotografia di Barbieri porta a conoscere l’uomo e alla riconciliazione del suo dolore (storico) col mondo… non c’è sovranità di nulla se non c’è piena consapevolezza della bellezza… il principio del piacere si scontra contro il principio di realtà ed è nella trasmutazione dei valori che la filosofia dionisiaca del fotografo fa della preminenza dell’istante costruito, il carattere degli istanti perduti e l’inaugurazione del linguaggio simbolico/liberato delle passioni.
2 Jean Baudrillard, Della seduzione, SE, 2010
Per chiudere ma non per finire… il Cristo velato di Barbieri non è un’icona idolatrata ma desacralizzata… un’immagine tra le più importanti della storiografia fotografica moderna… il Cristo del Mantegna, quello di Pasolini (Una vita Violenta) o Ernesto Che Guevara ammazzato e disteso sul tavolo di una scuola boliviana (prima che gli fossero tagliate le mani) e la sua immagine investisse l’ipocrisia politica del mondo… sono i riferimenti — anche inconsci, for- se — ai quali la fotografia di Barbieri rimanda… è accettabile tutto ciò che procura piacere ed esecrabile tutto quanto è fonte di sofferenze… “il solo peccato da condannare è la stupidità” (Oscar Wilde, diceva). Il desiderio smaschera, disvela, rovescia l’indifferenza e la ragione imposta… elogio del desiderio significa godere e far godere, scegliere piuttosto l’incanto e la gioia contro le confessioni e le punizioni delle fedi monoteiste o le forche del dissidio delle ideologie.
Il Cristo velato (che non si titola così) di Barbieri, in bianco e nero, lascia intravedere il sesso… senza esibizione… il pudore del fotografo svuota l’immagine di tutti gli incensi bruciati alla sua sacralità e si schiera apertamente con le pulsioni misteriose della vita… il principio selettivo del bello che questa fotografia contiene, definisce la grandezza dell’uomo e autorizza ciascuno al disincanto della favola delle sacre scritture… la padronanza estetica del fotografo non teme infingimenti e trasforma, modifica, riorienta i punti di riferimento ordinari… lo sforzo della sua potenza prometeica è evidente e coincide con lo stupore e l’ammirazione del Cristo che si fa Uomo… riporta al dolore di Achille davanti al cadavere di Patroclo… Barbieri si fa ribelle fino in fondo e adagia il Cristo/Uomo nella morale egualitaria dove tutti gli uomini sono prossimi alla bellezza e a nient’altro che alla bellezza… l’inumanità del reale è l’accettazione di vivere l’eros come confortorio di istanze sociali (famiglia, patria, lavoro) codificate e fare della servitù volontaria la gogna o i ceppi di un’educazione del dolore e della salvezza eterna.
Il Cristo svelato di Barbieri dunque lascia le spoglie del santo e si fa uomo tra gli uomini!… può amare ed essere amato (da donne o uomini, fa lo stesso)… Barbieri riporta il Cristo sulla terra e fuori da ogni imbalsamazione trascendentale sembra dire che niente è immorale se ciò che fai è fatto con amore… non importa chi ami, quale sesso abbia, ciò che conta è buttare “il proprio corpo nella lotta” (Pasolini, diceva), e mia nonna partigiana, annotava, con un pezzo di carbone, sui miei pantaloni strappati di ragazzo di strada — “Ciascuno è l’amore che vive”—. L’immagine androgina del Cristo di Barbieri è un florilegio/pathos che rimanda a infanzie felici (o infelici), educazioni trascurate o ludiche, seminagioni di sentimenti, desideri o timori dove nessuno è obbligato a rispettare promesse né ad onorarle se non a se stesso… la conoscenza di sé è l’opera temporale e la virtù di chi fa del sentimento del presente, il sentimento della vita. I limiti, come i maestri, esistono per essere violati. L’amore, come la libertà, non è mai innocente. L’amore e solo l’amore (eterosessuale, omosessuale o lesbico, fa lo stesso) ha la capacità di metterci in contatto diretto col mondo che è dentro e fuori di noi… l’amore è la presenza dell’Altro all’origine di ogni flusso esperienziale o artistico… chi ha molto amato, amato sarà sempre.
Piombino, dal vicolo dei gatti in amore, 29 volte marzo, 2011
“La bellezza è una promessa di felicità”
(Stendhal)
II) Sulla fotografia della bellezza
“La nostra epoca ha nutrito la propria disperazione nella bruttezza e nelle convulsioni…
noi abbiamo esiliato la bellezza, i Greci per essa hanno preso le armi”.
Albert Camus
La fotografia, quando è grande, contiene il ritratto di un’epoca. Nella scatola magica della fotografia ci sono poeti dionisiaci che hanno magnificato la bellezza come verità e innocenza del divenire: “La bellezza è verità, la verità è bellezza… Non sono certo di nulla tranne che della santità degli affetti del cuore, e della verità dell’immaginazione. Quel che l’immagina- zione percepisce come bellezza deve essere vero – sia o no esistito prima – poiché secondo me tutte le nostre passioni sono come l’amore: tutte, se intensamente sublimi, sono creatrici di bellezza pura” (John Keats)3. L’iconografia della bellezza si fonda sulla visione radicale della libertà. La libertà, come la bellezza, non si concede, ci si prende.
La fotografia della bellezza di Gian Paolo Barbieri accarezza il sublime e attraverso l’elegia di corpi in amore riflette il filo tagliente della sensualità: “L’occhio guarda, per questo è fonda- mentale. È l’unico che può accorgersi della bellezza. / La visione può essere simmetrica li- neare o parallela in perfetto / affiancamento con l’orizzonte. / Ma può essere anche asimme- trica, sghemba, capricciosa, non importa, / perché la bellezza può passare per le più strane vie, anche quelle / non codificate dal senso comune. / E dunque la bellezza si vede perché è viva e quindi reale” (Pier Paolo Pasolini)4. L’unico immaginario intollerabile è la religione dello sguardo intollerante.
Dissolvenza incrociata tra Dark Memories (2013) e Skin (2015). Dark Memories è forse uno dei libri più importanti (e avversati, per non dire “proibiti”) della storiografia fotografica del nostro tempo… qui Barbieri esprime una filosofia del piacere che invita all’arte di amare sen- za peccati né indulgenze e con il coraggio proprio dei libertini di antiche gesta, respinge dappertutto l’infelicità. Il rizomario di immagini (maschili e femminili) di Barbieri, affabulate in un austero bianco e nero, vanno oltre il concettuale e l’accadere felice… sono specchi di un canto edonista di rara bellezza e un invito alla liberazione sessuale come diritto di goderne e far godere a chi ti piace (da Epicuro a De Sade5). Il pudore del falso muore con il debutto del- l’autentico.
I corpi aperti di Dark memories sono rilucenti d’inconsuete bellezze… nudi di uomini, don- ne, per niente ingannatori o volgari… figurano la libertà pura o la seduzione simbolica6 nell’atto stesso che affermano il reale androgino (non solo) della fotografia. L’androgino è il corpo compiuto, senza brutture, senza incrinature, senza bestemmie e secondo l’insegnamento del filosofo della vita amorosa (Charles Fourier), l’umanità si eleverà da sola a quei miglioramenti materiali, di cui il corpo è capace7. La seduzione simbolica parla a chi l’ascolta e la sa comprendere.
3 John Keats, Poesie, con un saggio di Jorge Louis Borges, a cura di Silvano Sabbadini, Mondadori 2006
4 Pier Paolo Pasolini, Poesie (2 volumi), a cura di Nico Naldini, Mondadori, 2001
5 Michel Onfray, L’arte di gioire. Per un manifesto edonista, Fazi Editore, 2009
6 Jean Baudrillard, Della seduzione, SE, 2010
7 Charles Fourier, Il nuovo mondo amoroso, ES, 2009
Dark memories è un florilegio d’imperiose provocazioni: — lingue che s’incrociano, baci tra le gambe, “saliva” che passa di bocca in bocca, uomini amati, donne che aprono il sesso senza falsi pudori, culi esposti contro tutte le censure mitologiche, cazzi intagliati su corpi perfetti, eiaculazioni al miele, cristi neri e corone di chiodi, pompini che hanno del miracoloso e respingono la pornografia, per niente “naturale”, semmai consumerista —… configurano la sensualità viscerale di Barbieri nella coesione delle passioni che disfano secoli di soggezioni e privazioni identitarie. Il corpo è investito di dignità filosofica e nella sua nudità ludica ci lascia comprendere il profumo di desideri finemente realizzati… quando è vissuta anzitutto nella carne dei giorni, la fotografia acquista un’eccezionale carica di verità.
In Skin Barbieri architetta un’ascesi del dispendio amoroso… riprende le tematiche di Dark memories e nella riappropriazione del corpo mostra che la pelle ignuda del reale è una contro-morale avversa alla gerarchizzazione dei piaceri… implica verità prive di sacro e sollecita l’estetizzazione erotica a misura di tutte le cose… le immagini agnostiche/licenziose di Skin esprimono una metafisica del corpo e dicono che in materia di libertà sessuali, la dissolutezza libera più della saggezza. “Il cielo stellato sopra di me e la legge morale dentro di me”, Kant, diceva… i poeti non rivestono i loro sogni estremi se non con le stoffe che gli appartengono.
La bellezza del corpo umano e la sessualità libertaria che intrecciano l’intera opera di Barbieri, sono nobilitati nella seduzione pulsionale, senza nessuna concessione all’ipocrisia né alle perversioni che il pregiudizio si porta dietro… questi corpi in libertà invitano ad abbandonarsi alla felicità e contrastano le “moraline” che avvelenano la vita. L’esercizio del potere non si concilia molto con il rispetto della bellezza e dei diritti dell’uomo. “Sono fermamente convin- to che se i cittadini si rendessero conto della loro fame di bellezza, ci sarebbe la ribellione per le strade” (James Hillman)8. C’è più ragione in un corpo nudo che nella pretesa ragione dei codici… il bello giace nel corpo e si accompagna alla fanciullezza dimenticata… il corpo è il luogo di ogni athanor dell’esistenza e il mondo vive attraverso il corpo… ciò che non ci ucci- de, ci fortifica, Nietzsche, diceva. Al fuoco della bellezza dionisiaca, bisogna scaldarsi, non bruciare.
Le fotografie di Skin sono visioni di bellezza che — per essere davvero comprese — esigono distinzioni, finezze e raffinatezze inusuali a molti storici, critici, autori (anche i più celebrati)… asserviti a ciò che insegnano le autorità morali, ideologiche o religiose. La partitura visuale di Skin entra nel ventre della fotografia e della storia… la leggerezza e la grazia delle immagini di Barbieri sono articolate in una epifania del magico o cosmogonia del sensuale e rimandano al superamento del limite permesso.
La cartografia libertina di Barbieri dà libero corso a tutte le eresie amorose… dissociandole dal male o dal proibito… vivere la sessualità fuori dagli imperativi della realtà imposta, significa aprire brecce nell’ordine sociale e riconoscere che solo l’uomo libero è il creatore dei propri valori. La protervia delle istituzioni è incompatibile con la libertà degli uomini e la voluttà della bellezza è il principio di piacere che si apre all’arte di gioire.
Nella filosofia della voluttà che fuoriesce dalla immagini di Barbieri c’è la relazione armonica tra bellezza e giustizia… un ritorno ai bisogni originari, agli archetipi estetici/etici come ricerca del bene: “Nelle forme più antiche il bene assoluto era composto inseparabilmente da giustizia e bellezza. Ma è un vincolo perfettamente attuale: ancor oggi, per il nostro inconscio, far scempio della bellezza è massima ingiustizia. Le leggi cambiano con i tempi e i luoghi, ma restano impersonali e generali. La giustizia, invece, corrisponde a un bisogno universale, ma si manifesta in forme personali” (Luigi Zoja)9. Il bello, che un tempo si godeva nella piazza e insieme, è stato sostituito dal brutto come condizione normale, e dal cinismo dei governi che hanno eliminato i valori della bellezza e li hanno sostituiti con scempi di bruttezza ovunque. Per il cittadino greco, recarsi nella piazza per discutere e decidere il bene comune era un dovere primario… l’agorà, dunque, era ben altro che un luogo di pubblico passaggio… la bellezza è un diritto e Saffo, Friedrich Nietzsche, Oscar Wilde, Albert Camus, Hannah Arendt, Alda Merini o Pier Paolo Pasolini, hanno sostenuto che solo l’immaginazione della bellezza può infrangere i luoghi comuni e introdurvi il nuovo.
Le fotoscritture di Skin sono metafore della visione, recuperano l’originaria unità di giustizia e bellezza… offrire il bello è riscoprire il giusto… la bellezza materica di queste immagini deterge l’osceno dei sentimenti truccati, del vuoto interiore, della menzogna istituzionalizzata… è un’estetica dell’erotismo che va al di là dello spazio e del tempo in cui si manifesta… è stupore e meraviglia… rivelazione e assunzione di responsabilità… rispetto per i diritti fondamentali della persona uniti nell’idea di eguaglianza (e accoglienza) che travalicano la soggettività, la cultura e la storia.
La finitezza poetica di Barbieri ha pochi eguali… le fotografie di Skin significano la dimensione sana, coraggiosa, provocatoria dell’erotismo che contiene la misura del vero, del buono, del bene… l’impudore non si confessa, si vive fuori dai dogmi che impongono un’ipotetica salvezza o una sicura dannazione. — Uomini nudi, cazzi al vento, culi sfrontati, donne in attesa di essere penetrate, narcisi blasfemi , autoerotismo —… si dipanano in un atlante di corpi ignudi e i sensi, la carne, l’istante goduto discopre le bruciature del desiderio e si addossano alla comunità elettiva del meraviglioso.
L’uso sapiente del bianco e nero… della luce, delle ombre, delle posture… testimoniano una bellezza che è speranza di essere riconosciuti nelle proprie “differenze”… restituiscono il senso del reale spogliato di ogni falsità. Alla maniera di Mantegna, Caravaggio, Rosso fioren- tino, Luca Della Robbia (di un teatro surreale o di un cinema di detestazione della violenza)… mostrano che “l’opposto dell’eterno non è l’effimero, ma il dimenticato” (John Berger). C’è una straordinaria affinità di visione, inquadratura, gesto, composizione, soprattutto una forte analogia con il disincanto del vero di E.J. Bellocq, la poesia dell’anima di Walt Whitman o i ladri d’amore di Jean Genet nelle immagini di Barbieri… il particolare si trasforma in universale e la messa a fuoco dell’esistente costruisce una visione complessa della realtà, dove il bello è un ossimoro o un’epistola contro il brutto che regna senza mai accorgersi che il profumo delle rose di campo può mutare il corso delle costellazioni.
La gnosi libertina di Barbieri si affranca all’intimità dionisiaca di quanti hanno fatto della genialità la disaffezione al castigo e sconfitto il privilegio nel romanzo autobiografico che ne consegue… la raffigurazione del suo fare-fotografia ci commuove… il mistero, l’emozione, l’amore sono naturalmente connessi… nella leggibilità e illeggibilità al contempo che suscitano le sue fotografie ereticali, c’è l’esuberanza e l’innocenza dell’evento fotografato e ogni immagine è una spiegazione del mondo. La fotografia dei corpi disvelati di Barbieri è una profonda testimonianza della condizione umana, mostra che fotografare è guardare in faccia la vita e fare della propria esistenza un’opera d’arte.
Piombino, dal vicolo dei gatti in amore, 13 volte dicembre, 2014
“L’uomo può vivere senza la scienza e senza il pane, soltanto senza la bellezza non può vivere…
La bellezza salverà il mondo”.
(Fëdor Dostoevskij)
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Pino Bertelli è nato in una città-fabbrica della Toscana, tra Il mio corpo ti scalderà e Roma città aperta. Dottore in niente, fotografo di strada, film-maker, critico di cinema e fotografia. I suoi lavori sono affabulati su tematiche della diversità, dell’emarginazione, dell’accoglienza, della migrazione, della libertà, dell’amore dell’uomo per l’uomo come utopia possibile. È uno dei punti centrali della critica radicale neo-situazionista italiana.
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