I. Sulla fotografia comunarda e la filosofia del disimparare
Prima che la storiografia fotografica predominante cominciasse ad esistere, non c’era il nulla, c’erano i soliti randagi dell’immaginario sovversivo a mostrare che ogni immagine non è che il prodotto di un’autobiografia e fuori dall’ideologia mercantile tracciavano le macerie della fotografia dell’inganno universale nel frantoio del convenzionale… la morfologia delle civiltà era dettata e la fatalità diventava reale, e il reale ricettacolo del determinismo mondano buono per tutti gli adattamenti e compiacimenti dell’inventiva esacerbata nella menzogna… ma solo il vero rovesciato vede il reale così com’è: un’essenza delinquenziale d’abbandono dove la futilità tocca il fondo dell’esistenza! Le maschere disvelate della necessità affilano il linguaggio fotografico sulla punta dei fucili e con l’inchiostro dei giannizzeri d’ogni potere avanzano sulla direzione della fama! I fotografi allevati nella civiltà spettacolare non imparano a fotografare in libertà ma a obbedire senza rimpianti! “Chi non soffre a causa della conoscenza non ha conosciuto niente” (E.M. Cioran): la sensibilità al dolore deriva da una particolare tensione caratteriale del vedere, ma anche dalla repulsione all’eterna tirannia della sofferenza.
La fotografia comunarda o d’afflizione esonda da rizomari etici/estetici che vanno a frantumare la dipendenza all’ossessione del potere… in principio e senza andare troppo per il sottile, si posso ascrivere a questa cognizione del dolore (in maniera irriguardosa, financo contraddittoria), poeti del disincanto del calibro di — Edward Sheriff Curtis, Alexander Gardner, Jacob A. Riis, Lewis W. Hine, Jean Eugène Atget, Ernest James Bellocq, August Sander —… o dirottatori in utopie da marciapiedi, come — Henri Cartier-Bresson, Roman Vishniac, Robert “Bob” Capa, André Kertész, Walker Evans, William Eugene Smith… o le donne-fotografe che fecero l’impresa, sì… quelle che hanno ubriacato di contenuti l’immaginario fotografico come poche volte è accaduto nell’improntitudine della fotografia insegnata… sì proprio loro — Diane Arbus, Tina Modotti, Dorothea Lange, Gisèle Freund, Claude Cahun, Margaret Bourke-White, Mary Ellen Mark, Elizabeth “Lee” Miller, Germaine Krull, Sally Mann o Liu Xia —… ci fermiamo qui… poco importa aggiungere altri nomi rilevanti o meno 1conosciuti del linguaggio fotografico che ha interrogato e ospitato la perdita dell’umano, e fatto del dialogo le foto-scritture d’una vita!… nelle immagini di questi cantori di bellezza si trovano le risonanze di figurazioni non consumate dall’affanno del successo e le vibrazioni dell’inconsueto come sovversione non sospetta del linguaggio istituito.
Germaine Krull è, appunto, una costruttrice d’immagini che mostrano il corpo come capolavoro del pensiero, “grazie al quale il pensiero può risplendere e sanguinare insieme con il corpo stesso” (Edmond Jabès). L’immaginale dionisiaco della Krull, infatti, riflette ciò che sei nello specchio-vita di ciò che sei stato e porta alla scoperta dell’altro ch’è in me, in noi… racconta il senso del custodire, dell’inizio al tutto, anche della ferita d’amore originaria che non teme giudizi!… non si bussa alla porta della fotografia… vi si entra o vi si esce, senza chiedere permesso! L’importante non è la creatività concessa né quella negata… ma il grado d’intensità attinta nella forgiatura di una vita incendiaria che brucia dove vuole… la fioritura della fotografia è quel “che” nascosto che sborda oltre il “tono” della perfezione e fa della trasparenza dei sogni, l’imprendibile magico che la sostiene! Aveva annotato: — “Sono venuto per farti delle domande, disse il discepolo. — Da parte mia non aspettarti nessun insegnamento, rispose il maestro. Abbiamo avuto la stessa luce da condividere: è questo il nostro sapere. — Devo dunque abbandonarti così presto?, disse il discepolo. — Pazienza, rispose il maestro. Farò del mio meglio per darti una mano. T’insegnerò poco alla volta a disimparare” (Edmond Jabès). Disimparare la fotografia non è solo necessario, ma è utile per impedire la disgregazione del cervello, poiché la “linea d’ombra” tra immagine e silenzio è una forma o stile di pensiero irredimibile… è la divorazione della vivenza che si pone tra l’ingenuo e il ribelle e ne detta la scelta, la sola possibile per non soccombere all’imbecillità del consenso! Poiché la poesia-fotografia è il ventre della propria decifrazione dell’amore che porge agli ultimi, gli indifesi, gli oppressi, gli sfruttati… si distingue da un’altra verità per il differente destino che è storia di tutti gli amori custoditi, e là dove l’amore-fotografia sorprende, là è il luogo che infrange ogni pericolo… l’amore è la pietra di un universo carnale, è la seduzione della conoscenza di ciò che già conosci e si sfoglia nell’allegrezza e reviviscenza di parole-immagini lasciate all’amabilità o al dolore d’amare e d’essere amati… come i bambini che inseguono gli aquiloni dello stupore, aveva annotato nel suo taccuino nella stanza rossa del palazzo dei Misteri!… e ancora… La terra-madre vive in offerta all’indomani, l’assenza è la percezione dell’amore amato, è la presenza di un respiro impronunciabile, l’appartarsi di una risposta che interroga, che provoca la domanda, che si schiude sulle labbra della luna… è l’arte di gioire di silenzi inghiottiti di lacrime e risa, di libri nascosti nei libri, di rose mai dimenticate della vita parlata… è l’amore che genera amore, è un inizio e un ritorno senza oracoli di firmamenti lacerati, ma anche di epoche dissigillate in granelli di sabbia sparsi d’eternità, così aveva scritto nel suo Moleskine… e non importa chi ami, quale sesso abbia… la circolarità dell’amore non conosce confini né barriere amorose… dammi tutto di te, prendi tutto di me… il noi non necessita di nulla, solo il piacere che crea il sentiero e lo abita di tutto lo smarrimento dell’infinita tenerezza celeste… l’amore dell’istante spiegato ai bambini che non vogliono spiegazioni, solo abbracci-semenze, stelle scatenate e baci foglianti di piacere che sanno che la libertà è una nascita. L’amore vive nell’amore che ci fa liberi! L’amore non è la dove si cela, ma soltanto là dove espone l’incanto della propria unicità!
Un’annotazione a margine… Germaine Krull nasce nel 1897 a Posen-Wilda (Germania), ora Poznań (Polonia), in una famiglia borghese tedesca… il padre è un ingegnere affermato e libero pensatore… riceve un’istruzione a casa con precettori… la fanciulla non teme divieti e si veste da ragazzo, quando ne ha voglia… e come suo padre si affranca presto alla critica radicale dell’ingiustizia sociale. Tra il 1915 e il 1918 studia alla Staatliche Fachakademie für Foto-design München (Accademia statale per il design fotografico, Monaco) in Germania… segue i corsi di Frank Eugene, fotografo pittorialista americano, tra i primi docenti universitari al mondo a insegnare fotografia… membro fondatore della Photo Secession, un movimento culturale che sosteneva la fotografia come visione soggettiva dell’artista-fotografo per elevare la fotografia ad arte. Fra gli altri, ricordiamo che nella Photo Secession ritroviamo nomi impor-tanti dell’élite pittorialista, come — Alfred Stieglitz, Edward Steichen, Clarence H. White, Gertrude Käsebier, Fred Holland Day, Joseph Turner Keiley, Robert Stuart Redfield, Eva Watson-Schütze, Alvin Langdon Coburn, Sarah Choate Sears, George Henry Seeley — … qui dovremmo aprire un discorso per niente amoroso sulla scuola pittorialista… dove si chiedeva alla fotografia di emulare la pittura, l’incisione e attraverso la manipolazione dell’immagine raggiungere lo statuto di opera d’arte! Ci basta riprendere alcuni appunti sparsi in altri pamphlet ereticali contro la fotografia… lì scrivevamo: I metodi della scuola pittorialista erano il soft-focus, filtri, lenti rivestite di oli, veli… anche bruciature, ritagli del negativo, tonalità seppia, stampe al carbone, stampe al platino o lavorazioni con gomma bicromata… i riferimenti?… l’arte greca o latina… prospettive geometriche e illuminazione drammatizzate ricordavano vestigia da teatro regale… di là dall’affermazioni ribellistiche da merletto di Alfred Stieglitz sui fasti della Photo-Secession, uno dei fotografi più celebrati dalla storiografia settoriale di sempre (che di fotografia capiva poco o nulla)… e basta vedere la sua immagine The Steerage (Il ponte di terza classe, 1915), per capire che i poveri devono stare in fondo alla stiva tra i pidocchi e lo scorbuto, i ricchi sul ponte di prima classe per fotografarli nello “splendore” della loro povertà… Stieglitz riconobbe nella sua immagine, “una pietra miliare nella fotografia” (?!)… e in molti ci hanno perfino creduto! Quando il buon Stieglitz parla de Il ponte di terza classe ai suoi discepoli, quasi si commuove: “C’erano uomini, donne e bambini sul ponte inferiore del timone. C’era una stretta scala che conduceva al ponte superiore del timone, un piccolo ponte proprio a prua con il piroscafo. A sinistra c’era un imbuto inclinato e dal ponte superiore della timoneria era fissato un ponte di passaggio che brillava nel suo stato appena dipinto. Era piuttosto lungo, bianco, e durante il viaggio non è stato toccato da nessuno. Sul ponte superiore, guardando oltre la ringhiera, c’era un giovane con un cappello di paglia. La forma del cappello era rotonda. Stava osservando gli uomini, le donne e i bambini sul ponte di comando inferiore… Un cappello di paglia rotondo, l’imbuto inclinato a sinistra, la scala inclinata a destra, il ponte levatoio bianco con la ringhiera fatta di catene circolari – bretelle bianche che si incrociano sul retro del un uomo nel terzo posto di sotto, forme rotonde di macchinari di ferro, un albero che tagliava il cielo, formando una forma triangolare… Ho visto forme collegate l’una all’altra. Mi sono ispirato a un’immagine di forme e alla base della sensazione che ho avuto della vita”. A parte l’esilità del vocabolario di Stieglitz, ci sembra opportuno rilevare che quando nell’atto fotografico non c’è il grido di sdegno in ciò che vede il fotografo, vuol dire che vede altro da quello che c’è o accade davanti alla fotocamera… la fotografia è sguardo del vero o apologetica del suo contrario.
Questo dandy della bella fotografia ne Il ponte di terza classe ha trovato ispirazione in: Un cappello di paglia rotondo, forme rotonde di macchinari di ferro, un albero che tagliava il cielo, formando una forma triangolare… porcaccia la madonna ladra… ma che cazzo dice questo rotto in culo dell’arte fotografica… non s’accorge che là in fondo alla stiva ci sono ammucchiate persone che nemmeno potevano uscire a passeggiare con i cani dei ricchi sui ponti… dovevano stare là con i topi di sentina… e qualcuno arrivava morto davanti alla statua della libertà di New York… proscritti che non avevano diritto neanche alla dissennatezza di gesti disperati, come quello di sputare in faccia ai loro affossatori… Stieglitz raccoglie in questa immagine (salutata come una delle più grandi fotografia di tutti i tempi, dicono?!, boh?!) tutto ciò che è forma, metodo, categoria, schema… e fa dell’entusiasmo barocco della sua classe, una filosofia d’accademia. Il ponte di terza classe è il prontuario di un’estetica sterile che cancella la germinazione del dolore e l’insacca nella fraseologia estetizzante da piccolo prosatore che non sfugge alla mediocrità… e pensare che nessuno l’ha buttato ai pescecani! Di Germaine Krull, dicevamo… apre uno studio a Monaco di Baviera nel 1918… fotografa personalità importanti (Kurt Eisner, Rainer Maria Rilke, Friedrich Pollock, Max Horkheimer, sempre affiancate a ricerca artistiche personali)… nel 1919 si iscrive al Partito Comunista di Germania… l’arrestano per aver agevolato la fuga di un emissario bolscevico in Austria… espulsa dalla Baviera per inclinazioni sovversive, finisce in Russia con Samuel Levit, un amante poco innamorato, perché l’abbandona nel 1921… viene imprigionata per “attività antibolsceviche” e buttata fuori dalla Russia… tra il 1922 e il 1925 è a Berlino e riprende a fotografare… condivide l’atelier con Kurt Hübschmann (Kurt Hutton) e le sue serie di nudi mettono in imbarazzo gli abatini dell’epoca… tantoché ancora nel 2000, il critico d’arte del San Francisco Chronicle, Kenneth Baker, considera i suoi nudi una sorta (piuttosto sfrontata) di pornografia lesbica.
La Krull incontra il regista-documentarista Joris Ivens, comunista olandese, nel 1923 e si trasferisce ad Amsterdam nel 1925… contrae con Ivens il matrimonio (fittizio) per ottenere il passaporto olandese e nel 1927 è a Parigi… qui i suoi amici sono Eli Lotar, André Malraux, Colette, Jean Cocteau, André Gide… lavora nella moda, pubblica su riviste, libri di viaggio e narrativa poliziesca… tra il 1935-1940 apre uno studio a Montecarlo… fotografa architetture industriali, personaggi della cultura, della politica e gente comune… tra il 1941 e la fine della guerra viaggia in Africa, Brasile, poi torna in Francia. Nel 1946 è corrispondente di guerra nel sud-est asiatico… diventa comproprietaria dell’Oriental Hotel a Bangkok, in Thailandia, e vi resta fino al 1966… organizza libri e progetti, si converte alla scuola Sakya del Buddismo tibetano e il suo ultimo lavoro è Tibetani in India (1968)… colpita da un ictus si trasferisce in una casa di cura a Wetzlar in Germania, e lì muore nel 1985. Questo elencario della vita errante della Krull è una sommatoria, financo noiosa, desunta dalla rete, cataloghi, narrazioni che la riguardano… la buttiamo qui, in maniera quasi orale, per quanti si vogliono avvicinare alla scrittura fotografica di un’eretica dell’avvenire… una donna che non ha temuto dispute politiche né diffidenze nei confronti dei mangiatori di stupidità… i suoi libri (anche un paio di film), le fotografie, del resto, sono lì a testimoniare un anticonformismo senza epigoni, più ancora, un’angolazione onirica, sversata nell’amore come memoriaspecchio col diverso da sé… è il raccoglimento o la malinconia della libertà che non dimentica né assolve… un’originaria purezza, forse, che si riprende il diritto alla diversità, vivendola! Bellezza e libertà non sono concepibili una senza l’altra: sono la fame, la sete e l’incendio d’uno stesso pazzo amore.
[Continua…]
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Pino Bertelli è nato in una città-fabbrica della Toscana, tra Il mio corpo ti scalderà e Roma città aperta. Dottore in niente, fotografo di strada, film-maker, critico di cinema e fotografia. I suoi lavori sono affabulati su tematiche della diversità, dell’emarginazione, dell’accoglienza, della migrazione, della libertà, dell’amore dell’uomo per l’uomo come utopia possibile. È uno dei punti centrali della critica radicale neo-situazionista italiana.
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