Miti e riti attuali: come ti creo un fotografo-artista.
Il dibattito intorno alla fotografia, al suo statuto, al suo linguaggio, al suo ruolo nella società contemporanea probabilmente non è mai stato così intenso come di questi tempi: un dibattito che le forzature della pandemia hanno accentuato ancor più attraverso i social, gli incontri e le conferenze telematiche. E intorno a questi temi vorrei sviluppare qualche riflessione con alcuni appuntamenti che mi riprometto di mantenere su questo blog, accettando l’invito dell’amico Francesco Mazza a dare il mio contributo su queste pagine.
Vorrei dunque partire da una constatazione secondo me di sicura evidenza: l’entusiasmo con cui negli ultimi anni è stato accolto il dilagare della fotografia nell’uso a livello di massa ‒ grazie a una tecnologia digitale rivoluzionaria nella realizzazione e fruizione del prodotto ‒ ha portato a una corrispondente massificazione del linguaggio specifico e del dibattito attorno ad esso.
Con piacere ‒ sentendomi personalmente lontano da qualsiasi atteggiamento intellettual-snobistico ‒ constato gli aspetti positivi di tale massificazione: la penetrazione in larghe fasce della popolazione di tutte le età dell’interesse per la fotografia e anche per il dibattito attorno a essa.
Con minore entusiasmo constato però come molto spesso, per non dire quasi sempre, in questo ambito si innesca una supponenza critica generalista: tutti si sentono in diritto di esprimere giudizi critici senza possederne, quasi sempre, gli strumenti di base. Attenzione, questa mia affermazione non vuole essere una chiusura altezzosa e corporativa da addetti ai lavori ma un invito a riflettere su una banale considerazione: come per tutte le forme espressive la fotografia per essere compresa e discussa ha bisogno di un minimo di conoscenze teoriche sulla sua storia e sui suoi linguaggi.
Chi si sentirebbe in diritto di disquisire di letteratura, di poesia, di arte figurativa e di qualsiasi altra forma espressiva senza essere in possesso almeno dei fondamentali culturali sulla questione? E in Italia purtroppo è mancata e continua a mancare una seria didattica fotografica. La materia è quasi assente a livello istituzionale: nelle università italiane non esistono ancora cattedre di fotografia, al più, in qualche raro caso, esistono corsi affidati alla buona volontà di alcuni più illuminati docenti di altre discipline di cultura visiva. E non va meglio nelle scuole secondarie dove si ripete la stessa situazione.
La cultura fotografica è dunque affidata ai personali interessi del singolo che può acculturarsi da autodidatta attraverso la lettura di testi specifici e la frequentazione dei corsi organizzati da circoli, docenti privati e all’interno di eventi come rassegne e festival.
In questo modo però si innesca un meccanismo in cui domina il pressapochismo, il fai-da-te, e in cui purtroppo a volte si inseriscono operatori/docenti occasionali, poco qualificati, inadeguati, che ripropongono stancamente antiche, obsolete, ricette operative/creative. Così che nel volgere di un workshop dovrebbero trasformare un assoluto dilettante in un fotografo-artista.
È vero che ‒ mi è già capitato più volte di esprimere pubblicamente questo pensiero ‒ siamo tutti un po’ narcisi, anche quelli, a volte nomi noti, che si trincerano dietro l’apparente defilarsi pubblico (come diceva Nanni Moretti: “Mi si noterà di più se vado o se non vado?”). A tutti piace sentirsi gratificati, ma a volte questa normale esigenza stravolge quello che dovrebbe essere un percorso più lento, impegnativo, serio, come accade per tutte le altre discipline.
Non servono sui social, i like, i superlativi assoluti ‒ Fantastica! Meravigliosa! Unica! ‒ per fare della buona fotografia: sulla rivista semestrale di cultura fotografica che ho il piacere e l’onore di dirigere, FC- FOTOGRAFIA E[È] CULTURA, ho voluto, fin dal primo numero, inserire una rubrica intitolata appunto “Una buona fotografia”, sottolineando la differenza, che già Ugo Mulas aveva ribadito cinquanta anni fa, con il più banale concetto di bella fotografia. Nella rubrica appena citata chiediamo, non solo a fotografi ma a noti intellettuali, artisti e studiosi di varie discipline, il loro concetto di buona fotografia, ricavandone un panorama articolato e interessante perché subentrano punti di vista estranei o comunque lontani dal ristretto mondo, molto autoreferenziale, della fotografia.
Rispecchia un po’ quello che sta succedendo nel mondo dell’informazione dove intellettuali di diverse provenienze si cimentano, magari a volte anche con risultati discutibili, sulla lettura dell’immagine fotografica: pensiamo alle preziose riflessioni di Marco Belpoliti o alle irruzioni nel mondo della fotografia di giornalisti e scrittori come Mario Calabresi o Roberto Saviano che ha inaugurato proprio in questi giorni, sul settimanale 7 del Corriere della Sera, una rubrica dedicata alla fotografia, suscitando non poche polemiche tra gli addetti ai lavori per la lettura poco ortodossa che ha fatto della famosa fotografia di Capa durante lo sbarco in Normandia.
Ma, al di là delle nostre preferenze critiche o di semplici lettori, questo dimostra come oggi non si può più ragionare soltanto in termini esclusivamente settoriali, perché se parliamo di fotografia dobbiamo necessariamente parlare di tutto ciò che culturalmente la compone e la circonda.
Intanto cerchiamo di realizzare buone fotografie. E possiamo farlo soltanto se, oltre a conoscere ovviamente le basi tecniche del procedimento fotografico, avremo la pazienza di informarci, di studiare la storia della fotografia e dei suoi linguaggi, che sono complessi e articolati perché, come tutte le espressioni artistiche, sono profondamente connessi alle altre esperienze culturali.
Le fotografie che accompagnano questo testo sono di Michele Alassio e sono state pubblicate sulle pagine della rubrica “Una buona fotografia” sul terzo numero di FC- FOTOGRAFIA E[È] CULTURA.
© Michele Alassio
Dalla serie Our darkest hour, its radiant
time – www.ourdarkesthour.it.
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Nato nel 1950 nel Salento, Pio Tarantini ha compiuto studi classici a Lecce e poi Scienze Politiche all’Università Statale di Milano, dove vive dal 1973. Esponente della fotografia italiana contemporanea in quanto autore e studioso ha realizzato in quasi cinquanta anni un corpus molto ricco di lavori fotografici esposti in molte sedi italiane pubbliche e private.
La sua ricerca di fotografo eclettico si è estesa in diversi ambiti, superando i vecchi schemi dei generi fotografici a partire dal reportage, al paesaggio, al concettuale… Leggi tutto
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