FABRIZIO FORTUNA – Ritratti di paesaggi
Come è successo che dai disegni iperrealistici tu sia passato alla fotografia, che spinta hai sentito?
Da bambino avevo una passione sfrenata per la geografia, mi affascinavano i grandi fiumi, le montagne, i laghi. Passavo le serate a sfogliare enciclopedie, libri e atlanti, viaggiavo con la fantasia sperando, un giorno, di poter visitare tutti i luoghi che mi affascinavano. Nel contempo coltivavo la passione per il disegno e la pittura, usavo le tempere e i colori a olio già a 7 anni. A quattordici anni cominciai ad appassionarmi al disegno iperrealistico, avevo una buona attitudine e tanta pazienza.
Il passaggio alla fotografia è stato del tutto casuale; avevo cominciato a viaggiare da qualche anno (visitando i luoghi su cui fantasticavo da bambino), mi resi conto che la fotocamera dello smartphone non mi bastava più per documentare i miei viaggi. Comprai la mia prima macchina fotografica, una Fuji x-t1, di lì a poco un amico mi regalò un vecchio libro degli anni ‘70: Il manuale del fotografo di John Hedgecoe. Lo divorai in pochissimo tempo (forse fu proprio quel libro a farmi appassionare). Di lì a poco feci il mio primo viaggio fotografico: l’Islanda! In seguito cominciai a studiare post produzione.
Ho un’altra curiosità, raccontami della tua passione per per il fumetto giapponese e perché e in che modo l’hai applicato alla fotografia.
Sono nato nel 1973, quando avevo 7 o 8 anni arrivarono in Italia i primi cartoni animati del Sol Levante; Goldrake, Mazinga, li adoravo, tutti i bambini li adoravano! Qualche anno dopo vidi per la prima volta un lavoro del maestro Hayao Miyazaki, ne rimasi stregato! Divenne in breve tempo il mio artista preferito; tutto, nelle sue opere, mi colpiva: avevano un tratto semplice, pulito, colori pastello, luci calde e radenti; paesaggi fiabeschi che mi lasciavano senza fiato.
Quando ho fatto il mio primo viaggio in Giappone ho visitato il Museo Ghibli, una struttura voluta dallo stesso Miyazaki. Avevo la mia fotocamera al collo, lì mi venne l’idea di creare una post produzione fotografica che ricalcasse quegli scenari surreali. Quando tornai in Italia, col tempo, misi a punto delle procedure, in post produzione, che davano alle foto un netto rimando alle atmosfere fiabesche del grande Maestro. Ero felice dei risultati, quei lavori erano un ibrido tra disegno e fotografia, una realtà che non avevo mai visto prima. Nei social l’idea, tutto sommato, piacque abbastanza, cominciarono a vedersi anche tentativi di emulazione. Al contrario, alcuni gridarono allo scandalo, bollando le mie foto come ‘Grafica’. Probabilmente erano gli stessi che oggi dicono che ‘la fotografia è l’esatto specchio della realtà’.
Ti capisco, questa idea folle che la fotografia riproduca la realtà credo non riusciremo mai ad annientarla, e a questo proposito ti farò poi una domanda specifica, adesso volevo chiederti una cosa su luci ed ombre, nelle scene che componi è innegabile che siano questi “contrasti” a comandare la scena, si direbbe che ragioni proprio come un pittore.
Le idee che riverso nell’editing fotografico spesso strizzano l’occhio alle opere di alcuni maestri della pittura e del disegno. Ho sempre avuto una buona propensione al disegno, ma sono autodidatta, non ho mai frequentato scuole con indirizzo artistico. In autonomia sono migliorato, cercando risposte nei libri, osservando opere e leggendone le critiche. Anche oggi, guardando un quadro, mi interrogo su cosa faccia realmente funzionare o meno l’opera. Sono per natura curioso, da sempre cerco di capire tali dinamiche. E questo, credo, sia stato fondamentale nella ricerca della mia realtà fotografica. Alcuni pittori di paesaggio dell’’800 mi hanno sempre colpito, la luce nei loro dipinti la trovavo accecante, mi perdevo a cercare di capire come si potesse arrivare a quell’effetto ottico usando semplici colori ad olio.
C’è qualcuno che ti ha aiutato a crescere?
Qualche anno fa, in uno dei miei viaggi fotografici, ho conosciuto un fotografo/artista a cui, probabilmente, devo molto. Con lui ed altri fotografi ho passato circa dieci giorni. Ricordo che parlava sempre e solo di colori mentre io parlavo sempre e solo di luci e ombre. All’inizio, questa nostra sostanziale differenza di vedute la bollavo, in modo sommario, con un: “Ok, siamo agli antipodi”. Col passar dei giorni, l’’ostinazione di questo fotografo per i colori ha fatto crescere in me il desiderio di saperne di più. Al mio ritorno ho cominciato a cercare in rete tutto quello che riguardasse colori, luminanze, saturazioni, accostamenti, fino ad approdare alla psicologia del colore. Mi ero appena catapultato in un mondo estremamente complesso, un universo infinito. Anche oggi, che comincio ad avere un po’ di esperienza, passo ore a scegliere alcune precise frequenze. Una malattia? Quasi? Chissà!
Le ossessioni sono il cibo di tutti quelli che ragionano, pensano e vivono in modo autoriale. A questo proposito mi ha colpito un dettaglio della tua biografia, la qualità delle tuo opere è da professionista di alto livello ma tu ti consideri un fotoamatore social, perché? Hai mai pensato di farla diventare una professione a tutti gli effetti?
Oggi chiunque può aprire una Partita Iva ed essere, in un paio di ore, un fotografo professionista: legalmente è così. Credo che la qualità di un lavoro, che sia un’opera o una fotografia, non possa essere giudicata dal solo possesso o meno di una posizione fiscale. Spesso questa realtà viene sbandierata per suffragare, a prescindere, un valore che non è stato legittimato da nessun organo preposto a farlo. Non credo che sarò mai un fotografo professionista, non c’è nulla di male ad essere un fotografo amatoriale. Fotografo per me stesso, perché mi piace, mi rende felice.
Prima hai accennato al Giappone, però ho notato che anche il sudamerica ti ha conquistato moltissimo, raccontaci della tua esperienza in quella parte del mondo.
Cerco, da sempre composizioni semplici, pulite, minimali. Le linee e le forme ordinate dell’altipiano Andino si prestano particolarmente bene alla mia interpretazione. Il mio obiettivo con questa realtà è stato quello di esplorare il rapporto tra pittura e fotografia, utilizzando le forme del territorio che rimandano alle pennellate di un pittore. Esiste una forte correlazione tra la qualità delle linee nell’arte e nel design e la qualità delle linee che si trovano all’interno di alcuni paesaggi, come per l’appunto le aride montagne Boliviane, spazzate dal vento. Ogni mia immagine è una collaborazione, credo, innovativa con questi luoghi. Sia la fotografia che la pittura partono da presupposti di rappresentazione soggettiva di verità o di realtà, la loro combinazione esplora un paesaggio a metà tra le due.
Quando parti per una avventura fotografica hai già in testa degli obbiettivi da fotografare oppure improvvisi lasciandoti suggestionare dal paesaggio e da ciò che trovi?
Può sembrare strano, ma non pianifico nulla, voglio, fondamentalmente, visitare i luoghi dei miei sogni. Quando sono sul posto, improvviso. Solitamente il luogo, visto dal vivo, dà più possibilità di quello che, normalmente, mi aspetto. Cerco sempre di trovare composizioni fresche, che abbiano un certo impatto visivo ed emotivo. A volte è capitato di essermi trovato “Incastrato” in luoghi dove la composizione era senza alternative, assolutamente univoca, quando succede è davvero dura. In qualche circostanza mi è venuto in aiuto il drone, come in Indonesia, nella Caldera Tengger (Bromo). Quando arrivai lì rimasi raggelato, la composizione era una, camminai per ore per allontanarmi dal classico punto di scatto, ma la composizione non cambiava mai. Proprio mentre stavo andando via, mi venne l’idea di avvicinarmi, con il drone, in modo significativo al primo vulcano. Arrivai a meno di 50 metri dalla vetta del primo vulcano e da lì feci, con il grandangolo, una panoramica di una trentina di scatti. Riportai a casa una composizione molto impattante e soprattutto inedita, in uno dei luoghi più fotografati al mondo.
Ecco la domanda a cui accennavo prima. Siamo ambedue d’accordo che la fotografia non riproduca la realtà? Ma quindi quella che restituisci è tutta una messa in scena e quello che vediamo nei tuoi lavori “in realtà” non esiste?
La fotografia è una rappresentazione estremamente soggettiva del mondo che ci circonda, non è realtà. Tutto quello che fotografo è reale, non mi è mai neanche passato per la testa di cambiare un cielo o incollare elementi estranei. Sommariamente, quello che faccio è personalizzare a mio gusto il paesaggio che ho fotografato.
E allora dimmi cosa ne pensi della crescita velocissima che sta avendo la fotografia per mezzo di intelligenza artificiale? La cosiddetta “sintografia”. Tu la usi?
La AI ormai è parte integrante del mondo della fotografia e non solo. È presente ovunque, negli smartphone, nelle fotocamere di ultima generazione, nei programmi di editing. È di indubbia utilità, le fotocamere sono più performanti, i programmi di editing hanno strumenti estremamente potenziati, tutto funziona meglio. La versione beta di Photoshop, su cui è già implementata, mi ha letteralmente sconvolto. Uso questo programma da tanti anni e mai avevo visto un miglioramento di tale entità.
No, non uso la AI, o meglio, non la uso per costruire una immagine da zero, cambiare cieli o incollare parti di altre foto. Uso alcuni strumenti di Photoshop che già la implementano, ad esempio: scontorno, clone ecc.ecc.
Ormai l’Intelligenza Artificiale è una realtà, una rivoluzione che migliorerà il mondo della fotografia, tutti ne beneficeranno, l’amatore e il professionista. È solo questione di tempo.
Quali sono i tuoi progetti futuri?
Ne ho tanti, mi piacerebbe visitare, la nuova Zelanda in inverno, la penisola della Kamchatka in Russia, le Isole Curili a nord del Giappone, l’isola di Socotra in Yemen, L’ Antartide, la Groenlandia del nord ovest …Insomma, questi sono alcuni dei luoghi che sicuramente nei prossimi tempi visiterò.
Ho smesso di insegnare già da qualche anno, ma da un po’ mi sta balenando in testa la strana voglia di voler insegnare a bambini e a ragazzi giovani, probabilmente è qualcosa che farò nei prossimi anni.
Bene, passare informazioni in nostro possesso, secondo me, è un dei sensi del vivere e lasciare qualcosa di noi, e quindi, in chiusura, ti chiedo di raccontaci almeno un segreto per arrivare a produrre immagini cosi sensazionali come le tue, qualcosa che di solito non dici, raccontalo ai nostri lettori.
Chi è arrivato fin qui a leggere, potrà immaginare che, nel mio caso, alla base di tutto ci siano curiosità e determinazione. L’essere curioso ti porta a studiare, a cercare di capire, a fantasticare. L’essere determinato, motivato, ti svincola dalla fatica, dal freddo, dalle intemperie e dalla paura. Questo, sommariamente, è come ho sempre vissuto la realtà che mi appassiona.
A un neofita, che si appresta ad entrare nel mondo della fotografia di paesaggio, consiglio di riflettere prima di ogni scatto, come se fosse l’ultimo.
A mio parere non bisognerebbe mai fossilizzarsi nel ricalcare quello che qualcuno ha già pensato e fatto, credo che questo, al limite, possa essere sufficiente solo per i primi tempi.
Quando si è sul campo a fotografare bisognerebbe immaginare il paesaggio sempre a post produzione finita, questo, aiuta anche nella composizione.
Prima di cominciare a fare post produzione bisognerebbe studiare quantomeno le basi del programma che ci si appresta ad usare. Più si conosce il programma di editing e più possibilità si hanno di riuscire a concretizzare il risultato a cui aspiriamo e per cui abbiamo lavorato.
Hai ragione, la Post-produzione serve per formare quello che avevamo già in testa e non a improvvisare facendo prove per vedere come potrebbe venire.
Grazie per il tuo tempo e per le tue riflessioni. Se i nostri amici ti volessero contattare e cercare sui social e sul web, dove ti possono trovare?
www.juzaphoto.com/p/FabrizioFortuna
www.facebook.com/FabrizioFortunaPhotoart
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Fotografo ritrattista. Venti anni di esperienza nella fotografia di “people” spaziando dal ritratto per celebrity, beauty, adv e mantenendo sempre uno sguardo al reportage sociale.
Ha coordinato il dipartimento di fotografia dell’Istituto Europeo di Design ed è docente di Educazione al linguaggio fotografico presso la Raffles School, Università di design di Milano.
Il suo portfolio comprende lavori autoriali e commerciali per FIAT, Iveco, Lavazza, Chicco, Oréal e la pubblicazione di quattro libri fotografici: “Ecce Femina” (2000), “99 per Amnesty” (2003),
“La Soglia. Vita, carcere e teatro” (premio reportage Orvieto Prof. Photography Awards 2005),
“Go 4 it/Universiadi 2007”.
Ha curato l’immagine per vari personaggi dello spettacolo, Arturo Brachetti, Luciana Littizzetto, Fernanda Lessa, Antonella Elia, Neja, Eiffel65, Marco Berry, Levante …
Negli ultimi anni ha spostato la sua creatività anche alle riprese video, sia come regista che come direttore della fotografia, uno dei suoi lavori più premiati è il videoclip “Alfonso” della cantautrice Levante (oltre otto milioni di visualizzazioni).
Ha diretto il dipartimento di fotografia dello IED di Torino ed è docente di “Educazione al linguaggio fotografico” presso la RM Moda e design di Milano.
Paolo Ranzani è referente artistico 4k in merito al progetto “TORINO MOSAICO” del collettivo “DeadPhotoWorking”, progetto scelto per inaugurare “Luci d’Artista” a Torino.
E’ stato nominato da Giovanni Gastel presidente AFIP Torino.
Nel 2019 il lavoro fotografico sul teatro in carcere è stato ospite di Matera Capitale della Cultura.
Pubblicati e mostre:
“Ecce Femina” (2000),
“99 per Amnesty” (2003),
“La Soglia. Vita, carcere e teatro” (premio reportage Orvieto Prof. Photography Awards 2005),
“Go 4 you/Universiadi 2007” ,
Premio 2005 per il ciack award fotografo di scena
Premio 2007 fotografia creativa TAU VISUAL
Premio 2009 come miglior fotografo creativo editoriale
Ideatore e organizzatore del concorso fotografico internazionale OPEN PICS per il Salone del Libro di Torino – 2004
Dal 2017 scrive “Ap/Punti di vista” una rubrica bimestrale di fotografia sul magazine Torinerò.
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