Ho incontrato Fabio Bucciarelli, celebre fotoreporter italiano, che si è speso moltissimo in vari territori dove il conflitto è purtroppo all’ordine del giorno. Molti degli eventi storici degli ultimi quindici anni se li è vissuti sulla pelle; nei suoi occhi puoi ancora vederglieli addosso quando gli parli e gli fai raccontare qualcosa di sé. Mi ha accolto nel suo studio-loft, una specie di factory sempre in movimento, dove accadono molte cose sempre legate alla fotografia e alla comunicazione, ed è un luogo atto anche a stringere relazioni. Io ero lì per farmi raccontare qualcosa del suo nuovo libro, e sono partito da una semplice domanda: “Come va il mondo là fuori?”.
Ed è da qui che ho visto che il mondo che ha fotografato, che ha vissuto, è ancora lì, sopra e sotto la pelle. Mentre racconta le sue visioni su Ucraina, Gaza e Sud Sudan, si sente la rabbia: ci si accorge che i fotoreporter come lui non vanno in giro solo per raccontare storie e portarle a noi lettori, ma sono lì per capirci qualcosa, prima di noi. Sono lì per capire come va davvero il mondo, prima che i giornali e tutti i media si approprino delle notizie e le girino a modo loro, a seconda della corrente politica che paga gli stipendi, o prima che i social inizino a creare fake e a disorientare ancora di più gli utenti.
“Mai come oggi l’informazione è stata così accessibile, eppure mai come oggi è stata così fragile e difficile da riconoscere: selezionata, filtrata, cancellata, trasformata in propaganda. La censura digitale funziona così: silenziosa, senza spiegazioni.”
Questa cosa, che accade da un po’ di tempo, gli crea una piega nello sguardo ed è una delle motivazioni per cui ha scelto di eliminare intermediari inutili e iniziare a rivolgersi direttamente al pubblico, attraverso workshop, talk, meeting, giornate aperte con ospiti eccellenti, altri reporter, giornalisti ed editori. Ha cominciato a scrivere una newsletter, come risposta alla censura che qualche mese fa ha colpito anche il suo profilo Instagram. È una migrazione che forse è solo l’inizio di qualcosa di ancora più grande, che parla di un futuro in cui costruire senza intermediari scomodi, algoritmi guidati e censori.
La newsletter è anche uno dei mezzi su cui ha iniziato a raccontare dell’opera che adesso è diventata carta stampata di altissima qualità: “Occupied Territories: Stories from West Bank, Gaza and Lebanon” . Quello che è subito chiaro è che Occupied Territories non è solo il titolo del nuovo libro, ma la condizione quotidiana di chi vive in uno spazio e in un tempo segnati dall’occupazione israeliana, costante e opprimente.
Non si tratta semplicemente di luoghi sulla mappa come Gaza, Libano o la Cisgiordania. Questi territori sono simboli di un’esperienza più profonda, che va oltre la geografia. È la sensazione di un tempo sospeso, che non scorre come dovrebbe, e di corpi che non hanno la libertà di muoversi, di esistere senza limiti. È l’interruzione di vite, costrette a ridefinirsi continuamente in un contesto di conflitto eterno.
Il libro è il risultato di anni di lavoro sul campo, dal 2013 al 2024, fra Gaza, la Cisgiordania e il Libano: un contenitore di memoria e testimonianza, un peso condiviso che non sarà più solo dell’autore, ma anche di chi sceglie di continuare a guardare e crede in un giornalismo indipendente e necessario.
Il volume è pubblicato in doppia lingua, con testi in italiano e in inglese. La copertina è rigida e le dimensioni sono 20,5 cm x 28 cm. Le pagine sono 180, con 100 fotografie, digitali e analogiche, a colori (stampate in quadricromia) e in bianco e nero (stampate in tricromia).
Per accompagnare e contestualizzare le immagini, ci saranno quattro reportage scritti sul campo per Il Fatto Quotidiano, realizzati durante i diversi viaggi. A corredo, tre schede paese offriranno uno sguardo storico essenziale.
La prefazione è firmata da Fabio Tonacci, collega di Bucciarelli e inviato de la Repubblica: a lui è affidato il compito di introdurre il libro, condividendo anche un dietro le quinte del lavoro insieme nelle aree di conflitto.
Come nel libro precedente (South Sudan: The Identity of the World’s Youngest Country, Cimorelli Editore 2024), anche qui c’è spazio per una riflessione più ampia sul ruolo del fotogiornalismo contemporaneo: con Andrea Tinterri, curatore e critico d’arte, prosegue l’intervista iniziata nel primo volume, tra informazione e visione.
CONTATTI:
Newsletter: https://fabiobucciarelli.substack.com/ Webpage: https://fabiobucciarelli.com/
Instagram: https://www.instagram.com/fabio_bucciarelli

Paolo Ranzani, fotografo professionista del ritratto, dalla pubblicità al corporate.
Docente e divulgatore di “educazione al linguaggio fotografico”. Il ritratto rivolto al sociale è il suo mondo preferito, per Amnesty International ha ritratto personaggi celebri della cultura, della musica e dello spettacolo pubblicati nel libro “99xAmnesty”, per il regista Koji Miyazaki ha seguito per mesi un laboratorio teatrale tenutosi in carcere e ne ha pubblicato il lavoro “La Soglia”, reportage di grande effetto e significato che è stato ospite di Matera Capitale della Cultura. Scrive di fotografia per vari magazine con rubriche fisse. Dopo essere stato coordinatore del dipartimento di fotografia dell’Istituto Europeo di Design di Torino è stato docente di Educazione al linguaggio fotografico per la Raffles Moda e Design di Milano e ad oggi è docente di ritratto presso l’Accademia di Belle Arti di Genova.
Come Fotografo di scena per il cinema ha seguito le riprese di “Se devo essere sincera” con Luciana Littizzetto.
In veste di regista e direttore della fotografia ha lavorato a vari videoclip, uno dei suoi lavori più premiati è “Alfonso” della cantautrice Levante (oltre 10 milioni di visualizzazioni).
www.paoloranzani.com | Instagram: @paolo_ranzani_portfolio/
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