EUGENE SMITH “La fotografia è una voce piccola, ma a volte funziona”.
Takeshi Ishikawa ritrae W. Eugene Smith mentre fotografa il villaggio di pescatori di Minamata nel 1973
©️ 2019 TAKESHI ISHIKAWA
Eugene Smith, all’anagrafe – William Eugene Smith, soprannominato Gene Smith, (nato il 20 dicembre 1918, Wichita, Kansas, Stati Uniti — morto il 15 ottobre 1978, Tucson, Arizona), è considerato uno dei più grandi fotoreporter americani, noto per i suoi avvincenti lavori fotografici caratterizzati da un forte senso di empatia e coscienza sociale.
Questo citano quasi tutti i libri e gli articoli che raccontano di lui, ed è vero,
Eugene Smith è stato uno dei fotografi più influenti del XX secolo, noto per il suo lavoro sulla documentazione della vita quotidiana e dei conflitti sociali.
Si avvicinò alla fotografia durante gli anni della scuola superiore, dove iniziò a lavorare per il giornale locale, ma dei suoi primi scatti non rimane nulla. Fu lui stesso a distruggerli anni dopo, giudicandoli troppo scarsi.
Dopo aver frequentato la Notre Dame University, Smith si trasferì a New York nel 1937 per lavorare come assistente di fotografia per la rivista Life. Qui iniziò a sviluppare la sua tecnica unica, caratterizzata da immagini in bianco e nero di forte impatto emotivo.
“A cosa serve una grande profondità di campo se non c’è un’adeguata profondità di sentimento?” – William Eugene Smith
Dal 1938 al 1939 Smith lavorò come fotografo freelance per la Black Star Agency, pubblicando fotografie per Life, Collier’s, Harper’s Bazaar e altri periodici, incluso il New York Times. Tra le cose che si raccontano sui suoi inizi è curiosa la storia che amava lavorare con fotocamere in miniatura, creando una tecnica flash innovativa che gli permise di produrre fotografie per interni che avevano l’aspetto di luce naturale.
Un giorno accadde un fatto che stravolse la sua vita e il suo modo di pensare la fotografia. Fu quando il padre di Smith si suicidò, i resoconti dei giornali che raccontarono l’incidente distorsero in modo assurdo le circostanze reali. Questo fatto lo mandò il tilt, non lo capiva, non capiva il senso della menzogna, dell’invenzione pur di riempire delle pagine bianche, aveva sempre creduto e pensato che il giornalismo fosse il mezzo per raccontare per davvero la vita e i fatti del mondo, nella sua ingenuità non aveva mai pensato che le storie vere potessero venire distorte pur di creare notizia e titoli fuorvianti, questa cosa gli fece mettere in discussione gli standard del giornalismo americano. Smith promise a se stesso di diventare un fotoreporter, ma di farlo applicando i più alti standard di serietà e sincerità per onorare il vero giornalismo di documentazione.
Pensando ai giorni nostri possiamo confermare che nulla è cambiato, anzi, semmai è peggiorato profondamente il mestiere del giornalismo, assoldato dalle indicazioni politiche e dal desiderio di spettacolarizzare tutto pur di indurre il pubblico ad interessarsi a una notizia nel marasma delle migliaia di informazioni che velocemente ci passano sotto gli occhi.
Nel 1942, Eugene Smith divenne corrispondente di guerra e trascorse la maggior parte dei tre anni successivi a coprire la guerra del Pacifico. Le sue fotografie più drammatiche furono scattate durante l’invasione di Okinawa, talmente feroci che gli furono confiscate per poi tornare alla luce dopo 40 anni dalla sua morte, rivelando le radici del foto-giornalista di fama mondiale.
Nel corso della sua carriera, Smith ha lavorato su diversi progetti, tra cui una serie di fotografie sulle condizioni di vita dei minatori del Galles, la documentazione della guerra in Europa e la vita quotidiana del popolo giapponese. Ma l’opera più famosa di Smith è senza dubbio quella sulle condizioni di vita a Pittsburgh, commissionata dalla rivista Life nel 1955.
Il progetto, intitolato “Pittsburgh – A Story of Steel”, documenta la vita dei lavoratori dell’acciaio della città, mostrando le difficili condizioni di lavoro e le conseguenze sulla salute dei lavoratori. Il lavoro di Smith è stato criticato dalla compagnia dell’acciaio e dal sindacato, ma ha avuto un grande impatto sulla società americana, portando alla promulgazione di leggi sulla sicurezza nei luoghi di lavoro.
© Eugene Smith
La carriera di Smith è stata segnata da alti e bassi: ha avuto problemi di salute mentale e dipendenza da droghe, che hanno portato alla fine della sua collaborazione con Life. Tuttavia, ha continuato a lavorare come fotografo freelance fino alla morte.
Fotoreporter ormai stanco, agli inizi degli anni 70 Smith ha trascorso tre anni in Giappone con sua moglie per documentare e denunciare gli effetti dell’inquinamento da mercurio causati dalla Chisso Chemical Corporation, quella che sarà poi nota come Sindrome di Minamata.
Il suo pluri-premiato saggio fotografico “MINAMATA” ha messo in guardia il mondo dal pericolo di inquinamento industriale. Tra i materiali ritrovati, i suoi nastri audio, c’erano fotografie inedite che rivelano la sua devozione e le sue difficoltà nel testimoniare la tragedia causata dall’operato umano.
Le opere di Smith sono ancora oggi oggetto di studio e ammirazione, sia per la loro bellezza estetica che per il loro significato sociale. La sua tecnica di fotografia documentaria ha influenzato molti fotografi successivi e ha contribuito a cambiare il modo in cui la fotografia viene utilizzata per documentare la vita quotidiana e le questioni sociali.
© Eugene Smith
© Eugene Smith
Grazie all’interessamento di Ansel Adams, nel 1976 ottiene una cattedra all’Università dell’Arizona, ma una forma molto grave di diabete lo porta al coma. Smith morì a Tucson, in Arizona, il 15 ottobre 1978.
Smith disse:
“La fotografia è una voce piccola, nella migliore delle ipotesi, ma a volte, solo qualche volta, una fotografia o un gruppo di esse può attirare i nostri sensi alla consapevolezza. Molto dipende dallo spettatore; in alcuni, le fotografie possono evocare abbastanza emozione per essere un catalizzatore del pensiero. Altri, o forse molti di noi, possono essere influenzati dall’attenzione alla ragione, per trovare un modo per correggere ciò che è sbagliato e possono persino cercare una cura per una malattia. Il resto di noi può forse sentire più grande il senso di comprensione e compassione per coloro le cui vite sono estranee alla nostra. La fotografia è una piccola voce. Ci credo. Se è ben concepita, a volte funziona”.
Una piccola curiosità: Johnny Depp ha interpretato in un film il celebre W. Eugene Smith alle prese con i colpevoli di uno dei più devastanti e scandalosi disastri ambientali del Giappone. “Il caso Minamata” regia di Andrew Levitas.
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TOMMASO OTTOMANO – IL REGISTA DEI MANESKIN
Fotografo ritrattista. Venti anni di esperienza nella fotografia di “people” spaziando dal ritratto per celebrity, beauty, adv e mantenendo sempre uno sguardo al reportage sociale.
Ha coordinato il dipartimento di fotografia dell’Istituto Europeo di Design ed è docente di Educazione al linguaggio fotografico presso la Raffles School, Università di design di Milano.
Il suo portfolio comprende lavori autoriali e commerciali per FIAT, Iveco, Lavazza, Chicco, Oréal e la pubblicazione di quattro libri fotografici: “Ecce Femina” (2000), “99 per Amnesty” (2003),
“La Soglia. Vita, carcere e teatro” (premio reportage Orvieto Prof. Photography Awards 2005),
“Go 4 it/Universiadi 2007”.
Ha curato l’immagine per vari personaggi dello spettacolo, Arturo Brachetti, Luciana Littizzetto, Fernanda Lessa, Antonella Elia, Neja, Eiffel65, Marco Berry, Levante …
Negli ultimi anni ha spostato la sua creatività anche alle riprese video, sia come regista che come direttore della fotografia, uno dei suoi lavori più premiati è il videoclip “Alfonso” della cantautrice Levante (oltre otto milioni di visualizzazioni).
Ha diretto il dipartimento di fotografia dello IED di Torino ed è docente di “Educazione al linguaggio fotografico” presso la RM Moda e design di Milano.
Paolo Ranzani è referente artistico 4k in merito al progetto “TORINO MOSAICO” del collettivo “DeadPhotoWorking”, progetto scelto per inaugurare “Luci d’Artista” a Torino.
E’ stato nominato da Giovanni Gastel presidente AFIP Torino.
Nel 2019 il lavoro fotografico sul teatro in carcere è stato ospite di Matera Capitale della Cultura.
Pubblicati e mostre:
“Ecce Femina” (2000),
“99 per Amnesty” (2003),
“La Soglia. Vita, carcere e teatro” (premio reportage Orvieto Prof. Photography Awards 2005),
“Go 4 you/Universiadi 2007” ,
Premio 2005 per il ciack award fotografo di scena
Premio 2007 fotografia creativa TAU VISUAL
Premio 2009 come miglior fotografo creativo editoriale
Ideatore e organizzatore del concorso fotografico internazionale OPEN PICS per il Salone del Libro di Torino – 2004
Dal 2017 scrive “Ap/Punti di vista” una rubrica bimestrale di fotografia sul magazine Torinerò.
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