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Eric: un mondo crepuscolare con giganti pupazzi di pezza

di Rita Filippone

La serie Eric su Netflix si distingue per un’estetica visiva potente e una narrazione che unisce dramma psicologico e thriller. Attraverso le riprese e la scenografia, la serie trasmette non solo la complessità emotiva del protagonista, un padre in lotta per ritrovare il figlio scomparso, ma anche una tensione costante che avvolge l’intera vicenda.

Eric: un mondo crepuscolare con giganti pupazzi di pezza

Un Mondo Crepuscolare ricco di tonalità Hopperiane

Le riprese giocano con luci soffuse e ombre marcate, costruendo un mondo visivo che sembra sospeso tra il reale e l’onirico, tra il vero e quella “bolla ovattata” perfettamente in linea con lo stato mentale confusionario del protagonista. La scenografia evoca atmosfere cupe e angoscianti, anche nelle situazioni di calma apparente: gli ambienti domestici sono caotici, disordinati, riflettono la crisi di coppia oltre a quella interna di un padre, il signor Vincent, interpretato dal maestoso Benedict Cumberbatch. Le strade della città sono filmate in modo spersonalizzante, almeno questa è la percezione, nonostante tutto sia ben definito intorno. Quasi come se fossero labirinti senza uscita, sottolineando il senso di smarrimento del protagonista.

La sensazione di claustrofobia è un elemento visivo e percettivo di forte impatto, che porta lo spettatore a sentirsi imprigionato insieme al protagonista. Gli ambienti ridotti, le inquadrature strette e la scelta dei colori spenti contribuiscono a creare un’atmosfera opprimente, quasi asfissiante. È come se ogni stanza, ogni angolo della casa o della città diventasse una sorta di gabbia invisibile. Le luci basse e i corridoi angusti, inoltre, amplificano il senso di soffocamento. Questa scelta stilistica rende il pubblico partecipe di quella stessa oppressione, creando un legame intimo con le emozioni del personaggio principale e permettendo una comprensione più profonda, più viscerale, della sua sofferenza.

Eric: un mondo crepuscolare con giganti pupazzi di pezza

In alcune scene, i colori smorzati richiamano le tonalità di Edward Hopper nei suoi dipinti di solitudine urbana e alienazione, con luci che spesso tagliano gli spazi solitari e sospesi in una dimensione tra il giorno e la notte, tra l’intimità e l’estraneità. Hopper è celebre per aver catturato momenti di solitudine e alienazione: uno dei suoi dipinti più iconici, “I Nottambuli” (“Nighthawks”), rappresenta una scena in un diner, dove alcuni avventori siedono isolati e assorti, ignorando la città silenziosa fuori. La scelta di riprendere spazi semivuoti, illuminati da luci fioche, riflette le stesse atmosfere di Eric, dove ogni oggetto sembra messo a fuoco per evocare qualcosa di più grande, qualcosa di intrinsecamente umano e doloroso.

Eric: un mondo crepuscolare con giganti pupazzi di pezza

Un po’ cupo, ma non ai livelli di David Lynch

…che sembra un titolo di un paragrafo pregno di negatività, ma in realtà entrambe le atmosfere ci piacciono, ci convincono ed emanano significati mostrando un’impossibilità di ricorrere in equivoci.

La tensione visiva in Eric viene costruita con sapienti scelte di regia, come l’uso di inquadrature ravvicinate e sfuocate, che collaborano nell’intenzione di confondere. La narrazione è ricca di suspense psicologica, resa più intensa dal contrasto tra la calma apparente del protagonista e il crescente terrore interiore. Ogni scena è impregnata di ansia latente, amplificata dall’uso del silenzio di contro ai suoni stridenti in alternanza, che ricordano le atmosfere disturbanti di un film di David Lynch.

La sua influenza è palese, con quella sensazione di incertezza e angoscia che Lynch sa creare in modo così unico, ricordiamo nel suo background masterpieces come la serie Twin Peaks, costellati di scene in cui la realtà sembra distorta e l’atmosfera si riempie di presagi oscuri e di una tensione sottile, quasi impercettibile. Lynch è maestro nell’utilizzo di silenzi carichi, luci innaturali e scene inquietanti, facendo vivere al pubblico un costante senso di disorientamento e ansia. La serie Eric sembra fare eco a questa capacità di Lynch di immergere lo spettatore in un mondo in cui tutto è normale, ma al tempo stesso alienante.

Eric: un mondo crepuscolare con giganti pupazzi di pezza

La caduta: un momento di sospensione oltre che un’opera di “ingegneria cinematografica”

In una delle scene più memorabili, è presente una scelta stilistica che permette allo spettatore di entrare nella mente del protagonista, vivendo in prima persona il senso di vertigine, perdita di controllo e abbandono al vuoto. Il rallentamento della caduta intensifica la percezione del dolore e dello smarrimento, del “collasso”, rendendo questa scena un simbolo visivo potente della caduta psicologica del personaggio, il regista ha cercato un effetto unico che trasmettesse al pubblico l’esperienza sensoriale dello svenimento.

La realizzazione di questa sequenza è stata una vera opera di ingegneria cinematografica, che ha richiesto l’uso di un complesso macchinario creato appositamente per raggiungere l’effetto desiderato. Il team ha infatti costruito una piattaforma robusta e mobile, ancorata saldamente al terreno e in grado di inclinarsi e ruotare gradualmente. Su di essa, Cumberbatch è stato posizionato in modo da poter simulare una caduta realistica, ma controllata, nel momento esatto dello svenimento del suo personaggio. A questo macchinario sono state fissate due sorgenti luminose estremamente potenti, il cui controllo da remoto permetteva di intensificare progressivamente la luce fino al limite, con lo scopo di creare un’illuminazione accecante. L’obiettivo era ottenere una saturazione totale della luce nella scena, che si trasformasse in un bianco totale sullo schermo, un segnale visivo chiaro dello stato di incoscienza del protagonista.

Un altro elemento essenziale è stata la scelta di una telecamera “speciale”, in grado di girare a quattro volte la velocità normale. L’alta frequenza di fotogrammi consente di rallentare l’azione in post-produzione senza perdere dettagli, creando un effetto slow-motion di grande impatto. Questa tecnica, nota come “overcranking”, permette di catturare ogni sfumatura dei movimenti del corpo di Cumberbatch mentre cede gradualmente alla gravità, in un rallentatore che enfatizza l’inevitabilità della caduta e il passaggio verso la perdita di coscienza.

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Simbolismi: “L’Homme Qui Marche

Momenti particolarmente potenti visivamente e carichi di simbolismo artistico sono le scene in cui il protagonista si addentra nei luoghi più abbandonati, nascosti, poco raccomandabili e disparati della città in cerca del proprio figlio e le ombre impercettibili fanno rievocare alla mente L’uomo che cammina di Alberto Giacometti, quell’ombra con le sue forme contorte, quella scultura stilizzata e magra sembra ridotta al suo stato più essenziale, al suo spirito combattivo e vulnerabile allo stesso tempo, quasi fragile e al tempo stesso determinata, come un individuo che avanza con uno scopo, nonostante sembri eroso dal tempo e dalla fatica, dove le figure umane allungate e fragili suggeriscono vulnerabilità, fragilità, isolamento: un riflesso di un uomo “sfilacciato” che a stento riesce a stare in piedi.

Un indizio d’arte che indica la via

Il bambino che disegna sui muri, ispirato da un giovane artista di graffiti, fa riflettere su un interessante commento sull’arte urbana come forma di espressione. Una forma d’arte spesso stigmatizzata e considerata atto di vandalismo, ma in realtà rappresentano uno dei linguaggi più autentici dell’arte contemporanea, un ponte tra il pubblico e l’individuo, evolvendosi da espressioni ribelli a vere e proprie opere che raccontano le storie di intere comunità e catturano le voci di chi potrebbe altrimenti restare inascoltato. Storie silenziose e testimonianze visive si intrecciano.

Artisti come Banksy hanno dimostrato che ogni arte può sfidare il sistema, catturare momenti sociali e denunciare ingiustizie in maniera potentissima, utilizzando muri e superfici pubbliche come vere e proprie tele, agli occhi di tutti e soprattutto alla portata di tutti. Per Edgar l’arte murale diventa un modo per ritrovare una voce, per esprimere qualcosa che le parole non riescono a raccontare, creando un universo parallelo in cui tutto è possibile.

La presenza dei graffiti nella serie non è casuale, ma riflette il legame tra Vincent e il mondo esterno che, impegnato nella ricerca imperterrita e reiterata, finalmente ha modo di guardare il mondo attraverso gli occhi del figlio.

Eric: un mondo crepuscolare con giganti pupazzi di pezza

Una compagnia silenziosa che si propaga oltre la fantasia

I pupazzi diventano un ponte, una mano più grande che propende verso un’altra mano più piccolina, una finestra sull’innocenza e il mondo immaginario dei bambini, ma anche simboli inquietanti di ciò che potrebbe essere perduto. In questo caso è molto più di un semplice oggetto: diventa per Vincent il simbolo di speranza, l’ultima connessione tangibile con il proprio figlio scomparso. È una creatura grandissima, il cui successo pubblico per Vincent rappresenta la possibilità di riavere indietro la sua famiglia. La costruzione e l’ascesa di Eric diventano quindi il fulcro del piano di Vincent: far conoscere questa figura sui grandi schermi non è un progetto di fama, ma un tentativo disperato di mantenere viva la sua connessione con suo figlio, convinto del fatto che, attraverso Eric, il bambino possa ritornare a casa. Eric è carico di significati. Vincent infonde nel pupazzo le sue speranze, i suoi ricordi e il dolore della perdita, come se Eric fosse non solo il volto immaginario che i bambini amano, ma anche una figura protettiva, quasi paterna, un grido d’aiuto che prende forma, la perseveranza che prende vita.

I peluche difatti hanno un ruolo fondamentale nella crescita di un bambino, rappresentano la sicurezza, il calore e la compagnia nelle notti silenziose. Spesso, sono il primo oggetto a cui un bambino si affeziona, diventando un confidente, un amico silenzioso in un viaggio di crescita, una fonte di conforto, incarnano un mondo di fantasia e rassicurazione in cui ogni bambino può rifugiarsi e trovare il proprio spazio sicuro.

Eric: un mondo crepuscolare con giganti pupazzi di pezza

In alcuni punti troviamo collegamenti singolari con i celebri Muppets di Jim Henson. O almeno più che collegamenti dei veri e propri ricordi. Se i Muppet, come Kermit o Miss Piggy, nascono per portare gioia, accompagnando generazioni di bambini e adulti in un mondo di colori e ironia, Eric è il riflesso di una complessità forse più cupa, profonda, sentimentale. Entrambe le creazioni, però, condividono una caratteristica importante: la capacità di trasmettere emozioni e raccontare storie attraverso la propria fisicità e semplicità. I Muppet rispondono con la risata, Eric risponde con un silenzio, e in quel silenzio c’è tutto il dramma e il peso di un rapporto spezzato che va incollato piano piano.

Eric: un mondo crepuscolare con giganti pupazzi di pezza

Effettivamente l’ausilio di “figure totemiche” è un tema ricorrente nel mondo del cinema. Pensiamo all’iconico coniglio oscuro gigante Frank di Donnie Darko (certo, con una chiave di lettura completamente diversa ovviamente). Frank non è solo un pupazzo inquietante: la sua presenza porta con sé misteri e significati complessi, rappresenta una sorta di visione, una guida che manipola e confonde Donnie, introducendolo a una dimensione di allucinazione e… destino. Donnie è perseguitato dalla visione di un coniglio che incarna i suoi demoni e le sue paure. Eric rappresenta per Vincent un connubio tra il mondo reale e quello dell’immaginazione, un nodo legato ad una dimensione in cui il figlio può essere ancora raggiungibile. Entrambi i pupazzi incarnano l’intersezione tra innocenza e inquietudine, evidenziando come un personaggio “infantile” possa diventare simbolo di oscurità e, forse, redenzione. Eric in fondo è proprio un alter-ego.

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Trasformazione

L’evoluzione di Vincent come padre è un racconto di riscoperta, crescita… un arco narrativo molto toccante. Questa crescita interiore è uno dei tratti distintivi della serie, poiché il Vincent che vediamo all’inizio, così incerto e sopraffatto, emerge infine come un padre disposto a sacrificarsi senza riserve. Spinto da un forte senso di colpa e impotenza, la figura del padre diventa per lui un ruolo che assume ogni giorno maggior valore, fino a trasformarlo. Attraverso l’amore per il figlio e il legame con Eric, Vincent comprende l’importanza del sacrificio, della comprensione e dell’empatia. Questo viaggio lo porta a riscoprire il significato della famiglia, un risveglio che rivela una fragilità che aveva nascosto a lungo e che lo trasforma progressivamente. La recitazione di Benedict Cumberbatch, con il suo talento innato, offre a Vincent una profondità unica, portando in superficie le emozioni più nascoste e le ombre più oscure del personaggio. Cumberbatch restituisce a Vincent un’umanità straordinaria, riesce a creare un Vincent capace di suscitare nello spettatore non solo empatia, ma anche ammirazione per un uomo che, pur nei suoi limiti e difetti, cerca di diventare la migliore versione di sé stesso. Un padre disposto a tutto, anche a immergersi negli angoli più oscuri della propria anima, per riavere suo figlio. La sua evoluzione è raccontata con una delicatezza quasi dolorosa, facendo emergere una resilienza straordinaria, un’intensità emotiva e quella vulnerabilità di un genitore che ama incondizionatamente.

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