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E venne il giorno 24 febbraio

di Emanuele Mei

E venne il giorno 24 febbraio.

Questa è la prima linea, questo è il fronte! Qui si combattono battaglie che cominciano tra il bene e il male e finiscono sempre tra demoni. Niente acqua, niente cibo, elettricità a singhiozzo, nessuna medicina. Molte urla, rumori di AK 47 e delle bombe. 
Il clamore del mortaio è delicato, è troppo bello per dissiparsi nell’aria senza lasciare traccia. Quando lo senti una scarica di adrenalina ti scuote tutto il corpo. Quando ascolti quel rumore vuol dire che vivrai un altro giorno. Il cuore è triste, ma il resto del corpo è felice, e il sibilo si tramuta in un segno. Il boato diventa un fiore ed è così ho perso le mie illusioni. Il sangue è rosso dappertutto, la neve diventa un graticcio che sfuma i contorni dei pensieri, e ti accorgi che anche nei sogni nevica, ma con meno frequenza e poca intensità.
Tutto quello che esisteva di bello sparisce e non torna più, si trasforma in qualcos’altro. Non vedo più uomini, è un’immagine difficile da chiarire, forse vedo solo l’atteggiamento. 
Tra le strade la morte s’inserisce in ogni stato della coscienza e la città diventa lo spazio dove ciò che è morto non è ancora annientato da ciò che deve nascere. Si combatte per mantenere il controllo di una via di pochi metri, piena di carcasse d’auto, contornata da palazzi scheletrici infuocati. Se questa strada cade, l’intero quartiere è spacciato.
I rumori delle bombe sono rassicuranti, calmano i nervi, fanno passare i tremori. Alla fine di ogni combattimento sale la stanchezza, ma vince l’insonnia e la malinconia prende il sopravvento. 

©️Emanuele Mei

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