“Quelli che nascono mostri sono l’aristocrazia del mondo dell’emarginazione…
Quasi tutti attraversano la vita temendo le esperienze traumatiche.
I mostri sono nati insieme al loro trauma.
Hanno superato il loro esame nella vita, sono degli aristocratici…
Io mi adatto alle cose malmesse. Intendo dire che non mi piace
metter ordine alle cose. Se qualcosa non è a posto di fronte a me,
io non la metto a posto. Mi metto a posto io”.Diane Arbus

I Della fotografia trasgressiva. Dall’estetica dei “freaks” all’etica della ribellione 1
Commiato da ieri e apologia eversiva dell’eu-topia. La grazia della fotografia “freaks”. Diane Nemerov Arbus è l’angelo nero o il mito della fotografia randagia, maledetta, trasgressiva, sistemata in modo scomodo negli annali della storiografia fotografica. Le sue immagini ormai celebri di nani, handicappati, “freaks”, omosessuali, puttane, barboni, persone dabbene… hanno contribuito a ridefinire il confine tra “normalità” e “devianza”, ghettizzazione e accettazione, fine della paura e politica della bellezza. Il suo fare-fotografia è stato forse, la più alta poetica o scrittura iconografica della nostra epoca. Il fascino inquietante della sua opera nasconde tenerezze infinite e genialità corrosive, che nulla o poco hanno a che vedere con il fotogiornalismo rampante degli anni cinquanta/sessanta. Diane Arbus ha fotografato l’infelicità e l’ingiustizia degli esclusi, degli ultimi e di tutti gli esseri estremizzati. Le sue fotoscritture di strada sono così profondamente antiche o moderne da non avere più età.

Nel linguaggio della contraddizione, la critica radicale del presente passa dalla distruzione delle tavole comandamentali delle ideologie e delle fedi e dallo smascheramento della totalità sociale. Il détournement (il rovesciamento e riutilizzo) dei saperi codificati strappa la verità al suo contesto e nello stornamento di tutte le nozioni dissimulate come sacrari, esprime lo stile della negazione e fa di ogni fascio mercantile delle idee, il bordello senza muri di tutte le arti. Il linguaggio iconografico di Diane Arbus figura il détournement della ritrattistica fotografica storica e reinventa il senso o il rapporto tra soggetto e fotografo. Nelle sue immagini non c’è minaccia dell’oblìo o della significazione del banale, ma una rappresentazione dell’istante ri/costruito che non mostra ciò che passa, ma ciò che ritorna.
Il détournement si configura in uno stile insorgente e l’eversione che contiene come utopia possibile, riconduce alla sovversione delle falsità e delle menzogne fantasmate come valori di Stato, Dio, Famiglia e mercato globale… gli strumenti del comunicare (cinema, fotografia, televisione, carta stampata, internet, telefonia, cannoni, giocattoli…) sono nelle mani dei profeti che giocano in Borsa e gestiscono le segrete delle religioni monoteiste, delle politiche oppressive o delle democrazie spettacolari… e non sono soltanto i guardiani serventi del potere in carica ma, soprattutto, sono i carcerieri e i buffoni dell’immaginario di corte.
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Pino Bertelli è nato in una città-fabbrica della Toscana, tra Il mio corpo ti scalderà e Roma città aperta. Dottore in niente, fotografo di strada, film-maker, critico di cinema e fotografia. I suoi lavori sono affabulati su tematiche della diversità, dell’emarginazione, dell’accoglienza, della migrazione, della libertà, dell’amore dell’uomo per l’uomo come utopia possibile. È uno dei punti centrali della critica radicale neo-situazionista italiana.
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