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CORPI MIGRANTI di Max Hirzel (Emuse 2021)

di Federico Montaldo

Si dice spesso che “una fotografia vale più di mille parole”.

È un vecchio adagio, usato e (quasi sempre) abusato, ma che contiene un suo fondo di verità.

La comunicazione visiva “arriva” subito e agisce ad un livello emotivo (prima ancora che informativo) in una frazione di secondo. È questa la forza dell’immagine e, al tempo stesso la causa della sua possibile ambiguità, potendo essere utilizzata per gli scopi più diversi (buoni o cattivi) in relazione al contesto e alle finalità perseguiti.

Certo è che niente come la fotografia ha contribuito a smuovere le coscienze più di quanto abbiano potuto tanti racconti e reportages giornalistici.

È il caso della bimba vietnamita nuda che scappa terrorizzata dai bombardamenti americani al napalm, che orientò l’opinione pubblica e determinò in modo decisivo l’intensificarsi del dibattito sul ritiro delle truppe nella guerra del Vietnam.

È il caso, in tempi molto più recenti, del corpicino composto del piccolo Aylan, profugo migrante siriano, disteso a faccia in giù su una spiaggia turistica della costa turca. Quell’immagine ha contribuito a far cambiare la percezione sul fenomeno migratorio da parte dell’Europa e sull’onda emotiva ha indotto le cancellerie (Merkel in primis) ad assumere alcuni provvedimenti.

Il racconto fotografico è molto di più: non è un grido isolato, ma una riflessione attenta, sofferta.

Ed è quello che si trova nel lavoro di Max Hirzel, trasfuso nel bel libro “Corpi Migranti” (Emuse 2021), che ci pone davanti quello che non vogliamo vedere e che abbiamo buon gioco ad accantonare, limitandoci ad ascoltare le cronache quotidiane sugli sbarchi, sui naufragi, sui barconi, sul numero delle vittime: termini e contabilità che ci giungono come un rumore di fondo, al quale siamo ormai assuefatti e che consideriamo come un fenomeno ineluttabile.

Ed è proprio su questo a cui l’Autore lavora.

Alla percezione collettiva di fatalità ineluttabile e tragedia inevitabile, Hirzel oppone una visione scarna di ciò che ruota attorno a questi corpi per rivelare la realtà per ciò che è: quella che l’autore definisce “anomalia”, un’aberrazione che non dovremmo permettere né accettare.

Un lavoro che comincia nel 2015, quando Hirzel comincia a documentare i sistemi di gestione dei corpi dei migranti deceduti nel tentativo di raggiungere l’Italia. A partire dai cimiteri siciliani, per capire dove e come questi corpi sono sepolti, a quanti è stato dato un nome o cosa c’è in mancanza. Un lungo percorso di indagine che sarà terminato solo alcuni anni dopo, in un villaggio del Saloum, in Senegal.

I frammenti di cui si compone ci mettono di fronte, senza scampo, alla morte di giovani migranti, alla gestione dei loro corpi e a un lutto spesso impossibile.

Il tutto con una fotografia asciutta, senza alcuna sovrastruttura estetizzante, senza strizzare l’occhio al macabro o premere sul tasto dell’emotività.

Come osservato da Federico Faloppa, in uno dei contributi testuali che corredano il libro, “Corpi migranti ci aiuta a non consumare l’anomalia. Ci chiede di rompere il racconto e le sue geometrie – dell’accoglienza, dei respingimenti, dei resti allineati dalla medicina forense, degli oggetti e delle tracce, della anonima regolarità di bare di zinco e pietre tombali – perché nulla di ciò che stiamo vedendo è commensurabile, duplicabile, incasellabile.”

 Il volume contiene 84 fotografie a colori accompagnate da documenti, testi e riflessioni di Max Hirzel, Dagmawi Yimer, Grazia Dell’Oro, Federico Faloppa, Pietro Del Soldà.

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