Bentornati a tutti, sono Erik Colombo, e oggi vorrei addentrarmi sempre più nel profondo di quest’arte parlando di un problema che attanaglia da sempre l’animo di ogni artista, rispondendo alla classica domanda: “come trovo il mio stile?”
Partiamo come sempre con una citazione, perché ho sempre creduto e sempre sosterrò che spesso le risposte che cerchiamo sono sempre state intorno a noi, solo non abbiamo avuto l’attenzione necessaria per comprenderne il significato.
“Per me una persona eccezionale è quella che si interroga sempre, laddove gli altri vanno avanti come pecore.” (Fabrizio De Andrè)
Per rispondere a questa nostra domanda è necessario fare un viaggio dentro noi stessi, andare alle radici del nostro essere e comprendere a pieno il messaggio che vogliamo trasmettere. Ci sono una serie di domande che dobbiamo porci prima di arrivare a capire quale sarà il nostro stile fotografico ed ora vi aiuterò ad analizzarle.
Cosa ho da dire?
Questa è una domanda molto semplice ma molto complessa. Semplice non vuol dire facile, complessa non significa difficile. La risposta a questa domanda la possiamo sapere solo noi ed è per questo che è sia semplice che complessa: è semplice in quanto noi stesso conosciamo già la risposta ed è complessa perché non è facile capirne il reale significato. Alcuni utilizzano il proprio potenziale artistico per esprimere il loro rapporto col mondo, altri per cercare di tutelarlo, altri ancora per ottenere fama e notorietà, non esiste una risposta giusta o una risposta sbagliata, ma posso dirvi la risposta che mi sono dato io. Io ho bisogno di fotografare per vivere, non vivere inteso come pagare il mutuo e arrivare a fine mese, ma per Vivere ed essere in pace con me stesso. Quando ho in mano una macchina fotografica mi estraneo completamente dal mondo e riesco sempre ad imprimere in quel fotogramma le mie emozioni e a congelarle. Se sono felice la mia felicità si lega a quella scena, a quei colori, a quella composizione e lì resterà per sempre. Se sono triste invece questo sentimento si insinuerà nella trama della storia che sto raccontando e, attraverso tutto quello che compone una fotografia, trasparirà. Questo vale per ogni singola emozione che proviamo, buona o negativa che sia.
Perché qualcuno dovrebbe ascoltarmi?
La base di un dialogo sta in uno scambio di opinioni tra le due parti, una domanda e una risposta, quindi come far si che quello che abbiamo da dire venga ascoltato? Come renderlo più interessante? Qui ci sono tantissime tecniche di marketing e di psicologia che possono aiutarvi ad esprimere un concetto, dalla scelta della tonalità del colore alla scelta del bianco e nero, dalla scelta di un’ottica piuttosto che di un’altra, ma io voglio sempre darvi la mia risposta personale, e non credo vi piacerà.
Perché qualcuno dovrebbe ascoltarmi? Non lo so e non mi interessa. Io personalmente faccio fotografia principalmente per me stesso come ho affermato prima, per vivere, per curare le mie ferite, quindi il parere degli altri non lo prendo in considerazione in questo caso.
Se avete qualcosa da dire ditela, se avete un malessere fate che esso esca tramite i vostri occhi e le vostre mani, senza pensare “potrà piacere?” Se piace a voi, allora, è perfetto così com’è.
Quale è il mio punto di vista rispetto a quello che voglio fotografare?
Questa domanda è molto importante ed è strettamente legata al vostro carattere e a quanto amate mettervi in gioco. La vostra risposta deciderà la tipologia di lente che andrete ad acquistare, mi spiego meglio. Se siete una persona che affronta le situazioni di cuore allora il grandangolo è l’ottica giusta per voi perché vi permette di andare vicino fisicamente al soggetto, vi permette di creare un legame quasi “forzato” con l’osservatore, obbligandolo a entrare nella scena. D’altrocanto invece, se magari siete più riservati e avete un approccio più analitico del mondo, il teleobiettivo potrebbe essere la scelta migliore. Prendiamo come esempio un reportage. Una fotografia scattata a 200mm ci estranea dalla scena, permettendo al soggetto di agire liberamente nella scena come se noi non esistessimo.. Una fotografia scattata a 16mm, invece, ci inserisce attivamente nella scena e traina con noi anche il futuro osservatore. Il soggetto fotografato in questo caso è conscio della nostra presenza e stabilisce subito un legame con noi e rende, a mio avviso, la fotografia viva.
Io non possiedo alcuna ottica “tutto fare”, amo gli estremi, grandangolo e teleobiettivo, o tutto o niente.
Anche se sono all’inizio, posso trovare il mio stile?
Assolutamente si, io ho compreso che questo sarebbe stato il mio stile dopo nemmeno un anno dopo che mi fu regalata a 16 anni la prima macchina fotografica. All’inizio siete una tela bianca, siete un campo a maggese circondato da alberi, siete puri. Qualsiasi sperimentazione è buona e necessaria al fine della ricerca del proprio stile. Fotografare quello che amate e fotografate soprattutto i piccoli particolari di quello che amate. Se parliamo di paesaggistica concentratevi sul soggetto che in tutta la scena cattura la vostra attenzione, se parliamo di ritrattistica concentratevi sul perché vi piace così tanto quel soggetto, se fate reportage volgete il vostro sguardo sull’azione che tra mille compiute cattura la vostra attenzione e chiedetevi il perché, se parliamo di widllife interrogatevi sul perché amate quel singolo istante a contatto con la natura.
Queste secondo me sono le domande giuste che dovete porvi per iniziare un percorso di analisi personale per rispondere alla domanda “Come trovo il mio stile fotografico?”. Non ci sono risposte giuste o sbagliate e non ne esistono due uguali tra loro, ed è questo a renderci così speciali.
Nel prossimo articolo invece vorrei parlarvi invece di composizione, un argomento che mi sta molto a cuore, andando oltre le classiche noiose regole che troviamo ovunque ma andando ad interrogarci su ogni singola scelta, magari portando anche degli esempi fotografici, che ne dite?
È stato un vero piacere fare la vostra conoscenza, a presto,
il vostro Erik
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