II. Sulla fotografia della dignità
È della fotografia d’impegno civile della Mangini che vogliamo parlare… quando nei primi anni ’50 impugna una Zeiss Super Ikonta 6×6 cm., e documenta le isole Eolie, Lipari, Panarea… dice che i suoi reportage le servono per raccattare un po’ di soldi per fare i documentari… tuttavia a vedere le sue immagini si resta abbacinati da tanta semplicità e concretezza… si vede che ha conosciuto a fondo il cinema neorealista (che è solo una formula inventata da giornalisti e produttori, poiché è stata la stagione più grande del cinema italiano)… il suo sguardo sulla povera gente è intriso di complicità, bellezza e dignità… c’è malinconia, rimpianto, financo indignazione nelle sue fotografie… ha perfino la scortesia di essere profonda… di superare il fatto di cronaca richiesto dai giornali… lavora sull’antropologia dell’immagine scevra da ogni estetismo della povertà, ma non copre antichi dolori e non dimentica nessuna umiliazione… lascia il sensazionalismo ai fotografi avvezzi al mercantilismo d’accatto… specie quelli che si dipingono di “sinistra”… la storia della fotografia italiana la ripone per questo in margine alle dossologie scolastiche…
poiché la fotografia, quando è autentica, è più reale del reale… spezza l’illusione della realtà e chiede conto a millenni di verità calpestate… la fotografia muore quando cessa di generare eresie! Le immagini dei bambini, delle donne, degli uomini di questo Sud italiano si fanno specchio di tutti i Sud della Terra… il lavoro quotidiano, gli ambienti, gli spazi, i cieli entrano a far parte di un immaginale che non ha bisogno di pietà né di gloria, ma di giustizia! La civiltà dell’apparenza che avanza è lo snodo di tanta miseria e i neri, i bianchi, le ombre bruciano di verità le chiacchiere pastorali della politica… i giochi dei bambini, i pianti delle donne, le stradette di paese, le fabbriche che avanzano… figurano un’adesione a una cultura che scompare, dove ciascuno non è padrone del suo destino e ognuno è straniero a se stesso! A che serve la fotografia se il suo insegnamento non aiuta a superare pene e lacrime secolari… è deplorevole che intere generazioni si siano abbeverate all’altare delle mitologie consumeriste senza riuscire mai a superarle…
l’uomo vale se non aderisce al mondo ma solo a se stesso! Madre dignità è un cammino che conduce alla costruzione di valori che si richiamano alla rivoluzione della comunità egualitaria: «La dignità umana è inviolabile ed è un valore che non ha prezzo. Non può esistere dignità sociale o collettiva senza dignità individuale della persona, così come non può esistere dignità della persona senza dignità sociale” (Moni Ovadia). La dignità non s’impara nei precetti della politica, della fede o agli sportelli di banca, ma alla scuola del cuore (Fëdor Dostoevskij). Le grandi rivoluzioni della storia dell’umanità sono nate da movimenti politico-sociali che volevano restituire dignità individuale e sociale agli umili e agli oppressi. Come nel ’68! Si trattava di dare l’assalto al potere, non per possederlo, ma per meglio distruggerlo! La fotografia della dignità della Mangini è un rizomario di volti, corpi, posture… è la ritrattistica di “epoche sincere”, quando il profumo del pane fatto in casa sapeva d’amore… sono fotografie che non chiedono riconciliazione ma il diritto di avere diritti… mostrano che la verità bisogna trovarla in se stessi e non altrove… e non è con la tecnica e nemmeno con lezioni del consenso che la fotografia (come ogni forma d’arte) può uscire dalla merda nella quale viene tenuta e sostenuta… appena è comparsa la fotografia sono scomparsi i trovatori di gesta… tuttavia è la fotografia che ha disvelato l’inganno universale, per quanto ha suggellato l’accidia e il dispotismo dell’uomo sull’uomo! La Mangini ha portato la realtà del dolore fuori dalla simulazione… ha attizzato le ferite sociali in tumulti dell’anima e ha fatto della mascherata generale, la trasfigurazione montante della civiltà dello spettacolo.
Piombino, dal vicolo dei gatti in amore, 28 volte luglio, 2021
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Pino Bertelli è nato in una città-fabbrica della Toscana, tra Il mio corpo ti scalderà e Roma città aperta. Dottore in niente, fotografo di strada, film-maker, critico di cinema e fotografia. I suoi lavori sono affabulati su tematiche della diversità, dell’emarginazione, dell’accoglienza, della migrazione, della libertà, dell’amore dell’uomo per l’uomo come utopia possibile. È uno dei punti centrali della critica radicale neo-situazionista italiana.
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