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Cavalli selvaggi

di Tiziana Bonomo

Cosa posso aggiungere guardando questa immagine di Ernst Haas?

Sentirsi liberi come questi cavalli selvaggi in Arizona. Liberi senza paure. Liberi di farsi travolgere dal caldo tramonto del sole. Liberi di lanciarsi senza regole nella terra, nella terra che sentiamo, respiriamo, assaporiamo. Liberi dalle costrizioni di notizie terrificanti. Liberi di sentirsi liberi.

 

Ernst Haas inizia a lavorare con il colore nel 1949. Erano sicuramente altri tempi, si usciva dal condizionamento dell’uso del bianco e nero e Haas diventa un riferimento per la fotografia a colori. Un cambiamento del tutto naturale passare dal b/n al colore, Haas ritiene di essere stato ‘psicologicamente’ maturo per questo passo. Per lui però l’importanza del colore deriva anche dal particolare momento storico, il dopoguerra.

Adesso che siamo sulla soglia della guerra le sue parole a proposito della sua scelta stilistica sembrano l’opposto delle sue immagini. Le sue parole viaggiano al contrario di come avanzano i nostri attuali tempi la nostra attualità, sono datate rispetto al desiderio di gioia, di libertà che Haas insegue e che ci ha lasciato con immagini come questa.

Lui afferma infatti: “Nei miei ricordi, gli anni della guerra – tutti gli anni di guerra, ivi inclusi almeno cinque duri anni di dopoguerra – saranno per sempre anni in bianco e nero, o meglio in grigio. In qualche modo, forse simbolicamente, volevo dire che il mondo e la vita erano cambiati, come se tutto all’improvviso fosse stato ridipinto di fresco. I tempi grigi erano finiti; come all’inizio di una nuova primavera, volevo celebrare col colore i tempi nuovi, colmi di nuove speranze.”

 

Ecco che prendo la rincorsa, scendo le scale, corro, corro verso il prato di fronte a me e inizio a correre come fanno i cavalli in questa immagine. Corro per allontanare da me le notizie di tutti i giorni sulla guerra, qui vicino a noi, una guerra alle porte. Corro per dimenticare che le città distrutte dalla guerra sono grigie. Sono tutti grigi. Corro per strapparmi le catene della paura, dell’ansia che cresce. Corro per trovare i cavalli selvaggi per stare con loro per respirare la polvere che calpestano per sentire i capelli arruffati, per urlare in mezzo al rumore degli zoccoli in modo che il mio suono non si senta. Corro per inseguire e bloccare su di me i colori del tramonto e non lasciare entrare la notte nera, buia, spaventosa.

 

Poi risalgo e con il cuore che batte forte, forte riprendo in mano questa immagine e immagino di essere dentro ad un museo con questa foto in un grande formato che mi sembra ricordare lo stile di qualche corrente pittorica. Poi inizio a leggere tutto ciò che è possibile su di lui.

Ernst Haas non è stato solamente un abilissimo fotografo con una forte personalità ma ha rilasciato dichiarazioni molto evolute sul linguaggio fotografico e ha anticipato sperimentazioni che sono servite a generazioni di giovani fotografi dopo di lui.

Lui che era viennese di origine emigra negli Stati Uniti nel 1951. Da un punto di vista creativo la fotografia a colori, all’epoca, stava muovendo i primi passi. Poi venne la guerra. È così che Haas dedicò la sua attenzione al colore. Ma non solo. Esplora le condizioni di luce più ardue, mette a dura prova le pellicole che allora avevano un’emulsione che poteva registrare solo una gamma limitata di intensità luminose, rischia di perdere alcuni dettagli dell’immagine, ricorre talvolta alla silhouette per aggirare alcune difficoltà tecniche.

È caparbio, curioso, rovescia i limiti in opportunità. Come scrive Bryn Campbell: “la sua curiosità creativa lo portò a sviluppare uno stile per fotografare il movimento che oggi è indelebilmente associato al suo nome: l’immagine deliberatamente ‘mossa’”.

Così anziché fermare il movimento del soggetto con un breve tempo di esposizione, Haas ricorre a un tempo più lento in modo che il soggetto continui a spostarsi e, di conseguenza, l’immagine risulti volutamente mossa. Così questa immagine evoca mirabilmente il senso del movimento e del colore rendendola estremamente affascinante.

 

La considero – questa foto dei cavalli selvaggi – una foto di paesaggio dove all’interno i cavalli galoppano apparentemente senza meta. In una intervista dove gli si chiedeva a cosa mirava nel fotografare un paesaggio Haas rispose: ”In realtà non miro a nulla. Un paesaggio per me è sempre una sorpresa perché dipende dalla luce. Dipende da un certo rapporto dei colori e delle forme nello spazio, e poi bisogna darvi una cornice, privilegiando una zona o l’altra. Queste è una delle principali differenze tra l’essere pittore o fotografo. Il pittore inizia con una tela nuda mentre noi lavoriamo su una tela già dipinta. Dobbiamo mettere la nostra cornice per dare ordine a ciò che già esiste. Vedere è legato al pensare e al sentire, e il sentire non è una tecnica”.

 

Per esprimere il suo sentire Haas abbandona delle regole codificate e si inserisce nella corrente di esperienze espressioniste nell’ambito della fotografia dove altri fotografi come lui cercano nuove strade. In quel periodo assistiamo nel mondo della fotografia alle profonde manipolazioni in camera oscura di Roger Catherineau, alla realizzazione del “fotogramma” realizzato senza utilizzare la fotocamera di Luigi Veronesi, alla ricerca sulle forme astratte di Paolo Monti per arrivare infine al mosso abbinato ai forti toni cromatici di Ernst Haas.

 

Questa immagine inoltre ben rappresenta lo spirito libero di Ernst Haas – uno dei pochi fotografi ad aver volutamente lasciato la mitica MagnumPhotos – sempre alla ricerca di soluzioni inconsuete. Lo dice lui stesso: “Una formula è la morte di tutto. Deve sempre esserci un qualche segreto, una qualche sorpresa. E la cosa strana nell’estetica è che anche quando si ha l’impressione di avere una formula è vero anche l’esatto opposto. Alcuni, per esempio, parlano di formule per quanto riguarda il colore, sostenendo che, se tali formule esistono, possiamo anche infrangerle. Si possono trovare modi stupendi di mettere insieme i colori. Se si giunge ad una formula, bisogna cercare di contravvenirvi.”

 

Forse Ernst Haas era proprio un cavallo senza meta, libero. Libero anche nell’aprire una galleria Space insieme ad altri due fotografi e poi di chiuderla perché i collezionisti erano ancora riluttanti di fronte al colore. E sulla parola Arte sostiene “Prendiamoci una vacanza da questa parola. Cerchiamo di lavorare il meglio possibile, e in futuro si vedrà in quale categoria ci metteranno …. Competere con il pittore non è veramente il nostro destino: stiamo cominciando a parlare la nostra lingua ….  La fotografia è direttamente proporzionale al nostro tempo, multipla, rapida, istantanea. Proprio perché è così facile diverrà più difficile….Tutti scatteranno fotografie, tutti possono copiare modi e stili … Solo una visione: ecco che cosa bisogna avere”.

 

La mia visione è sentire l’aria che respirano i cavalli in corsa, guardare la bellezza del mondo e lasciare ai fotografi l’abilità di coglierla.

 

 

BIOGRAFIA ERNST HAAS

Ernst Haas e’ un fotografo austriaco nato a Vienna nel 1921.

Agli inizi degli anni 40 inizia a studiare medicina, ma a causa delle sue origini ebraiche e’ costretto ad abbandonare gli studi. Solo dopo la fine della guerra inizia ad occuparsi di fotografia, fotografando il rientro dei prigionieri di guerra austriaci. Già questi primi scatti attirarono su di lui l’attenzione di LIFE, che gli offrì un contratto da fotografo interno. Haas preferì rifiutare l’incarico per preservare la propria indipendenza. Nel 1949, invitato da Robert Capa, entrò a far parte dell’ agenzia Magnum. Qui ebbe modo di stringere rapporti con Henry Cartier Bresson e di intensificarli con Werner Bishof, al quale era legato da una profonda amicizia iniziata un paio d’anni prima lavorando per l’agenzia fotografica Black Star. Nel 1951 si trasferisce negli Stati Uniti ed inizia subito a sperimentare l’utilizzo del colore grazie alle pellicole Kodachrome. Nel 1953 LIFE pubblica un suo reportage di 24 pagine su New York. Era la prima volta che LIFE pubblicava un reportage a colori di questa portata. All’inizio degli anni ’60 ruppe il suo contratto con la Magnum. Nel 1962, una sua retrospettiva fu la prima esposizione di fotografie a colori nell storia del New York’s Museum of Modern Art. Sempre nel 1962 ha scritto e diretto quattro programmi su L’arte di vedere per la televisione americana

Durante la sua vita pubblicò quattro libri: The Creation (1971), In America (1975), In Germany (1976), and Himalayan Pilgrimage (1978). Nel 1986, anno della sua morte, riceve il Premio Hasselband.

@Ernst Haas Cavalli selvaggi Nevada1957 da micro43italia.it

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