Nella prima di una nuova serie, due fotogiornalisti, uno un pilastro del settore, l’altra una stella nascente, parlano spontaneamente delle tecniche di storytelling, delle innovazioni tecnologiche e dell’importanza della community.

Di seguito è riportata un’interessante conversazione tra il membro di Magnum Photos e 10 volte vincitore del premio World Press Photo con la fotografa documentarista e Canon Ambassador Ksenia Kuleshova. Considerata una delle più importanti fotografe documentariste della sua generazione, Ksenia, come Paolo, ha vinto il W. Eugene Smith Grant. È nota per le sue opere che esplorano aspetti inediti della vita quotidiana nelle aree di conflitto, come la sua serie sull’Abcasia, uno stato in gran parte non riconosciuto nel Caucaso meridionale che ha subito danni significativi durante la guerra georgiano-abcasa negli anni ’90.


Paolo: Mi sono formato nell’epoca che precede la rivoluzione di Internet, un’epoca in cui questi scambi erano davvero difficili. Forse in alcuni di quelli che stano leggendo scatterà un pensiero o un’idea che possono individuare anche nel loro percorso. Ho letto un paio di tue interviste ieri sera. Mi è piaciuto molto quando hai parlato del potere dei sogni. Mi riconosco in quello che dici. Penso che tu sia, come lo ero io e in una certa misura lo sono ancora, totalmente presa da ciò che fai. Ritengo che sia assolutamente necessario per svolgere questo lavoro al meglio.
Ksenia: È un privilegio sentirtelo dire. Traggo sempre grande ispirazione da queste conversazioni, penso che sia molto utile discutere dei diversi linguaggi visivi e approcci nella comunità fotografica. E, naturalmente, imparare da persone con tale esperienza…
Paolo: “Esperienza” …puoi dire semplicemente “attempato”. A parte gli scherzi, lo condivido. È stato un piacere per me scoprire il tuo lavoro negli ultimi due giorni, leggere da dove vieni, capire i tuoi processi di pensiero e vedere cosa ti anima. Tutto questo ha grande valore.
Ksenia: La tua recente storia di come hai spostato l’obiettivo della tua fotocamera dalla guerra alla tua famiglia durante la pandemia mi ha davvero colpito. Parlami di quando hai catturato questi attimi più intimi.
Paolo: Sì, non avevo mai fotografato la mia famiglia in una forma che si può definire pubblica. Sono diventato padre tardi. Luna, la mia prima figlia, è nata quando avevo 45 anni ed Emma, la seconda, quando ne avevo 49.
Ksenia: Cosa c’era di diverso questa volta?
Paolo: Questa è la prima volta che ho preso una decisione molto consapevole, e non facile, di non andare a documentare un evento di tale portata come la pandemia da coronavirus. Inizialmente, è stato abbastanza difficile vedere tutta questa copertura, i miei colleghi e amici che continuavano a produrre…
Paolo: Sono d’accordo. E mentre scattavo, pensavo anche che questo è qualcosa che le mie ragazze riscopriranno un giorno, quando io sarò molto vecchio e senza vista, o non ci sarò più. Troveranno questa scatola di stampe e sarà per loro un prezioso ricordo di quel periodo. Questa idea mi stava a cuore.


Paolo: Prima di provare a risponderti, devo confessarti che non mi sono mai considerato un fotografo di guerra. Sono arrivato alla fotografia da un’altra prospettiva, molto più umanistica. Di base c’è, naturalmente, un forte interesse nel rapporto che la fotografia ha con la Storia e l’idea che possiamo usare questo mezzo per imprimere i fatti nella memoria collettiva… ma si trattava più che altro di raccontare storie.

Ksenia: Qual è il tuo consiglio per i giovani fotografi che intendono andare in guerra per la prima volta?
Paolo: Procedere lentamente. Capire che non c’è fretta. Capisco benissimo cosa stai dicendo: c’è, soprattutto nei giovani fotografi, questo desiderio di andare e di esporsi in quello spazio. C’è la grande cornice dove ci si occupa di macro-questioni di Storia e di paesi, ma poi ci sono le singole storie delle persone che si incontrano. Quest’ultimo è uno spazio così fragile e delicato in cui si ha il privilegio di entrare. Devi trattarlo con i guanti bianchi e capire che potresti essere anche tu il soggetto: come vorresti essere trattato e fotografato in quella situazione?
Ksenia: Spesso siamo sommersi da storie tristi e difficili. Certo, è essenziale documentare e mostrare, ma a volte noto una mancanza di spazio per le storie di ottimismo. Questo è uno dei miei obiettivi: cercare di trovare qualcosa di positivo anche nelle situazioni peggiori. Ad esempio, in Abcasia ho cercato di mostrare la zona di guerra sotto una luce diversa, concentrandomi sulle tradizioni e sull’anima di questa regione. Abcasia significa proprio “paese dell’anima”.
Paolo: Hai assolutamente ragione. Allo stesso tempo, tuttavia, credo che sia comunque importante continuare a realizzare questi scatti. Immagina che non ci sia nessuna copertura, nessuna fotografia, nessun giornalista. Allora, per i poteri forti, non esiste senso di responsabilità. Penso che essere lì sia un modo per non lasciare che le cose peggiorino. Ma sicuramente c’è bisogno di altre storie. Non si tratta solo di mostrare il lato positivo o negativo, ma di riflettere la complessità della vita. Non è mai una cosa sola: la tragedia coesiste sempre con la bellezza e la gioia coesiste con il dolore.


Ksenia: Ho apprezzato molto il tuo cortometraggio sulla spedizione IceBridge della NASA per il rilevamento dei cambiamenti climatici in Antartide. Pensi che il lavoro giornalistico oggi possa ricorrere solo alla fotografia o il video è diventata una necessità?
Paolo: Penso che ci sia spazio per fare quello che si vuole, anche se la fotografia procede di pari passo con la tecnologia. Un secolo fa, i fotografi di guerra ricreavano scene di battaglia perché le macchine fotografiche erano così grandi e le esposizioni così lente che servivano due ore per esporre una lastra. Ho iniziato a introdurre il video, non perché penso sia necessario, ma perché è qualcosa che volevo esplorare. Si tratta di raccontare storie. Questi sono gli strumenti che abbiamo, quindi si può usare quello che serve
Ksenia: Parlando di tecnologia moderna e nuove possibilità, hai provato le fotocamere Canon EOS R5 e R6? Trovo molto utile la messa a fuoco automatica e l’uso dell’otturatore elettronico per fotografare senza fare rumore.
Paolo: La R5 è un grande passo avanti. Ho diversi gradi di miopia e avere la messa a fuoco automatica che segue una persona nell’inquadratura è incredibile. L’intelligenza artificiale ha fatto irruzione nel mondo della fotografia in modo straordinario ed estremamente utile. Lo devo celebrare. È una celebrazione anche di ciò che siamo: l’uomo può essere un animale terribile e distruttivo, ma allo stesso tempo anche straordinario.
Ksenia: Mi descriveresti il tuo processo di editing?
Paolo: Oddio, Ksenia, il mio processo di editing!
Ksenia: Ho apprezzato molto il tuo cortometraggio sulla spedizione IceBridge della NASA per il rilevamento dei cambiamenti climatici in Antartide. Pensi che il lavoro giornalistico oggi possa ricorrere solo alla fotografia o il video è diventata una necessità?
Paolo: Penso che ci sia spazio per fare quello che si vuole, anche se la fotografia procede di pari passo con la tecnologia. Un secolo fa, i fotografi di guerra ricreavano scene di battaglia perché le macchine fotografiche erano così grandi e le esposizioni così lente che servivano due ore per esporre una lastra. Ho iniziato a introdurre il video, non perché penso sia necessario, ma perché è qualcosa che volevo esplorare. Si tratta di raccontare storie. Questi sono gli strumenti che abbiamo, quindi si può usare quello che serve.
Ksenia: Parlando di tecnologia moderna e nuove possibilità, hai provato le fotocamere Canon EOS R5 e R6? Trovo molto utile la messa a fuoco automatica e l’uso dell’otturatore elettronico per fotografare senza fare rumore.
Paolo: La R5 è un grande passo avanti. Ho diversi gradi di miopia e avere la messa a fuoco automatica che segue una persona nell’inquadratura è incredibile. L’intelligenza artificiale ha fatto irruzione nel mondo della fotografia in modo straordinario ed estremamente utile. Lo devo celebrare. È una celebrazione anche di ciò che siamo: l’uomo può essere un animale terribile e distruttivo, ma allo stesso tempo anche straordinario.
Ksenia: Mi descriveresti il tuo processo di editing?
Paolo: Oddio, Ksenia, il mio processo di editing!
Ksenia: So che alcuni fotografi usano la funzione di classificazione con le stelline per valutare le immagini direttamente nella fotocamera e filtrare una prima raccolta. O forse tu metti da parte le tue immagini e le riprendi in un secondo momento?
Paolo: Beh, in realtà c’era un bravissimo fotografo Magnum, molto famoso, che quando sono entrato in Magnum mi ha detto: “Paolo, devi aspettare tre anni prima di guardare i tuoi provini. Come minimo”.
Ksenia: Questo sì che è andarci piano!
Paolo: Devi creare una distanza emotiva e lavorare sulla memoria, guardando le immagini come forma. L’editing rappresenta l’altro 50% dell’equazione. È lo spazio in cui cerchi di identificare le tue intenzioni al momento dello scatto. Per me, è un processo lento. Non si tratta di scegliere l’immagine migliore, quello è ovvio. Si tratta di come le immagini funzionano come un insieme.

Ksenia: Vedi il mondo, o la tua vita quotidiana, in immagini in bianco e nero?
Paolo: No, non necessariamente, ma vedo nelle forme. Mi stupisco sempre di me stesso al momento di comporre.
Ksenia: È difficile spegnere il motore.
Paolo: Sì, è come essere… non mi viene la parola giusta. Aspetta, fammi pensare: eccola. Condannati. Non si può arrestare. Sono condannato a cercare sempre.
Ksenia: Non è passato molto tempo da quando sono entrata nella community fotografica, ma quello che ho imparato abbastanza velocemente è il fatto che è importante trovare le tue persone, ovvero quelle persone che capiscono le tue idee e la tua visione. Naturalmente, è importante ricevere critiche, ma non bisogna prenderle sul personale, piuttosto ascoltare e prendere ciò che è necessario.
Paolo: La fotografia è la professione dei solitari per eccellenza. Per me, Magnum è stata importante in questo senso perché le persone che ti circondano costituiscono una risorsa. Ti arricchiscono.
Ksenia: Sapendo ora tutto della tua carriera, faresti qualcosa di diverso?
Paolo: Mi sento molto privilegiato ad avere questa capacità di entrare nella vita delle persone, rimango sempre stupito dalla possibilità di entrare in contesti intimi che ci viene offerta come fotografi. Mi sento molto fortunato ad aver trovato quella che penso sia la mia “voce”. Non cambierei nulla.
Scritto da Emma-Lily Pendleton
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