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Bruno Munari – Design come ponte tra arte e vita

di Martina Elizabeth Di Carlo

«Io credo che quando l’arte tornerà ad essere di nuovo un mestiere, necessaria all’uomo come il pane del fornaio, allora potremo dire di aver ritrovato l’arte».

Arte come Mestiere di Bruno Munari, pubblicato nel 1966 da Laterza, è un’esplorazione delle possibilità artistiche del design moderno, un libro che parte da un’idea di base, ovvero che il design debba essere bello, funzionale e accessibile. Qui Munari espone le sue idee sul visual design, il graphic design, l’industrial design e il research design e sul ruolo che svolgono negli oggetti che usiamo ogni giorno: lampade, segnali stradali, tipografia, poster, libri per bambini, pubblicità, sedie. Chi utilizza un oggetto ben progettato sente la presenza di un artista che ha lavorato per lui, migliorandone le condizioni di vita e incoraggiandolo a sviluppare il gusto e il senso del bello.

Munari affronta una questione nata all’interno del MAC (Movimento Arte Concreta), cioè quella del suo lavoro come artista. In particolare, dopo le esperienze degli anni ‘30 e ‘40 con il futurismo, il surrealismo, l’astrattismo e il dadaismo, riflette sul fatto che l’arte non rappresenta più qualcosa di utile alla società come poteva essere un tempo. Vuole quindi porre le basi per concettualizzare una nuova figura dell’artista contemporaneo, e tale intento è chiaro fin dall’incipit del libro:

«Si rende oggi necessaria un’opera di demolizione del mito dell’artista-divo che produce soltanto capolavori per le persone più intelligenti. Occorre far capire che finché l’arte resta estranea ai problemi della vita, interessa solo a poche persone. È necessario oggi, in una civiltà che sta diventando di massa, che l’artista scenda dal suo piedistallo e si degni di progettare l’insegna del macellaio (se la sa fare). È necessario che l’artista abbandoni ogni aspetto romantico e diventi un uomo attivo fra gli altri uomini, informato sulle tecniche attuali, sui materiali e sui metodi di lavoro e, senza abbandonare il suo innato senso estetico, risponda con umiltà e competenza alle domande che il prossimo gli può rivolgere.»

La soluzione viene trovata da Munari proprio nel design, un linguaggio in grado di rispondere a bisogni reali. È un cambio di prospettiva netto rispetto alla dell’artista tradizionalmente inteso come genio. L’artista deve perciò applicare una metodologia dettata dalla logica, che procede attraverso «la stessa naturalezza con la quale in natura si formano le cose». Non si preoccupa di fare dell’arte, ma cerca solamente di dare ad ogni cosa la sua logica struttura, la sua logica materia e di conseguenza la sua logica forma. In questo modo il designer è in grado di riallacciare il contatto tra arte e pubblico.

«Il designer ristabilisce oggi il contatto, da tempo perduto, tra arte e pubblico, tra arte intesa in senso vivo e pubblico vivo. Non più il quadro per il salotto, ma l’elettrodomestico per la cucina. Non ci deve essere un’arte staccata dalla vita: cose belle da guardare e cose brutte da usare.»

Il design nasce nel 1919, quando Walter Gropius fonda il Bauhaus a Weimar. Nel programma della scuola si legge: «Sappiamo soltanto che possono essere insegnati i mezzi tecnici della realizzazione artistica: non l’arte. Alla funzione dell’arte è stata data in passato un’importanza formale che la scindeva dalla nostra esistenza giornaliera, mentre invece l’arte è sempre presente quando un popolo vive in modo sereno e sano. Il nostro compito è perciò di inventare un nuovo sistema di educazione che possa condurre mediante un nuovo insegnamento specializzato di scienza e tecnica ad una completa conoscenza dei bisogni umani, e ad una universale consapevolezza di essi. Dunque, il nostro compito è di formare un nuovo tipo di artista, un creatore capace di intendere qualunque genere di bisogno: non perché sia un prodigio, ma perché sa approcciare le necessità umane con un metodo preciso. Noi desideriamo renderlo cosciente del suo potere creativo, non timoroso di fatti nuovi, nel proprio lavoro indipendente da formule».

Un artista, concorda Munari, dovrebbe essere utile alla società, nell’aiutarla a ritrovare il suo equilibrio e non a barcollare fra un mondo falso nel quale vivere la vita materiale e un mondo ideale nel quale rifugiarsi moralmente. Quando gli oggetti che usiamo quotidianamente e l’ambiente nel quale viviamo saranno anche opere d’arte allora potremo dire di aver raggiunto un equilibrio vitale.

Questo nuovo modo di pensare l’arte delineato da Munari ha poi un obiettivo sociale, ovvero «arrivare a un’arte di tutti», democratizzare l’arte, non solo rendendola accessibile al maggior numero di persone ma anche, reinserendola nel quotidiano, producendo, appunto, oggetti con valenza estetica o prestando attenzione al gesto nelle attività e nel lavoro. È uno scopo che lui stesso ha perseguito con tutte le sue attività, dalla produzione grafica e il design, alle mostre, ai libri, ai laboratori per bambini, alle lezioni nelle università.

 «Una persona vale per quello che dà e non per quello che prende (pensiero difficile da capire in un paese di furbi); per cui, se ognuno dà il meglio di sé alla società questa si sviluppa e cresce. Se invece ognuno tenta di rapinare gli altri, perché̀ lui è il più furbo, ci si trova allo stato in cui siamo noi adesso […]».

Questo libro è un invito a scoprire il mondo dell’arte e del design, procedendo fra diagrammi di “macchine inutili”, ricostruzioni teoriche di oggetti immaginari, progetti di lampade e foto di esperimenti con immagini proiettate.

Vuole stimolare chi legge a trovare nella natura l’ispirazione, il desiderio di osservare, la curiosità e la voglia di sperimentare, ripensare la realtà. Provare a comprendere le cose e essere curiosi dei meccanismi che risiedono dietro ad esse. È un libro che incoraggia la costante ricerca focalizzata sul processo, stimolando la curiosità per ciò che ci circonda e la consapevolezza del potenziale che risiede dietro ogni cosa, sempre utilizzando il gioco come metodo di insegnamento.

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