Nel 2015, la nota artista Yto Barrada, ebbe l’opportunità di assistere alla proiezione di un film dal titolo “Girl with Black Ballon”, girato dalla regista olandese Corinne Van Der Borch, sua vicina di casa. Il film era incentrato su di un’artista di nome Bettina Grossmann.
Rimase affascinata dal personaggio al punto da volerne sapere di più sul suo conto. Iniziò delle ricerche. Scoprì che su di lei esisteva un altro film dal titolo “Bettina”, girato da Sam Basset. Iniziò a vedere alcune sue opere e un film in super 8, “Phenomenological New York”, rimanendone folgorata al punto da volerla assolutamente incontrare.
Il primo incontro avvenne all’interno dell’ospedale di Coney Island dove Bettina era in cura per uno stato avanzato di disidratazione. Yto non potè fare a meno di notare il suo tipico “sense of humor” newyorchese, la voglia di giocare con le parole e di sorridere.
La incontrò una seconda volta presso il noto Chelsea Hotel, dove viveva da tempo. La porta della sua abitazione era ricoperta di fotocopie con lavori di “word art” scritti a macchina. Come d’accordo, la Barrada entrò senza bussare e si incamminò lungo un corridoio ricoperto di fotocopie in miniature delle opere preferite da Bettina. Lei era adagiata su un letto matrimoniale, circondato da scaffali metallici pieni di accessori per dipingere o disegnare, scatole di opere e fotografie, forme di legno, libri e riviste. Non era facile muoversi in tutta quella confusione, un vero esempio di entropia artistica.
Bettina era tuttavia restia a mostrare i suoi lavori. Da quando in un incendio all’interno del suo studio a Brooklyn (nel 1966) aveva perso decine di anni di lavoro, le restava difficile accettare che ne avesse ancora da mostrare. In realtà da quando si era trasferita al Chelsea Hotel aveva ricominciato a lavorare e cercato di riprodurre ciò che aveva perso. La stanza mostrava una situazione ben diversa da quella raccontata. L’incendio era realmente esistito, ma la Grossmann aveva prodotto in maniera convulsiva per anni, senza soluzione di continuità e tutto era accatastato nella sua abitazione.
Le visite cominciarono ad essere ripetute e protratte nel tempo. Erano visite verbali e Yto si guardava bene dall’affrontare nuovamente il tema della visione delle opere.
Due anni dopo, Morty, il fratello di Bettina, dovendosi trasferire in Israele, chiamò Corinna Van der Borch, la regista, per comunicarle che aveva delle opere di Bettina. Yto Barrada si diresse con lei per ispezionarle. C’erano sculture, molte in marmo, degli anni ’50, ’60 e ’70, insieme a scatole di film, documenti, fotografie e bellissimi ritratti di Bettina trentenne. Ogni scatola che aprivano confermava ciò che tutti sospettavano. Quest’artista aveva creato un incredibile corpus di opere che in qualche modo pochissime persone avevano visto; tuttavia molti pezzi erano danneggiati. Di comune accordo con Bettina, le opere vennero portate nello studio di Yto Barrada per essere inventariate ed esaminate con cura. La vita di quest’artista poliedrica e talentuosa finalmente si disvelava.
Era cresciuta in una famiglia newyorkese originaria dell’Austria e aveva frequentato la Girls’ Commerciai High School di Prospect Heights, a Brooklyn. Suo padre aveva un negozio di musica nell’East Villaga. A vent’anni aveva rifiutato una borsa di studio alla Parsons e andò a vivere in Europa, dove disegnò tessuti e affinato con rigore al sua arte. Poi ci fu l’incendio della sua casa-lavoro con vista sul lungofiume di Brooklyn-Queens, che portò via tutte le sue opere d’arte e il suo gatto. Seguirono gli anni del Chelsea, la ricostruzione delle opere in pietra e con altri materiali ignifughi… la leggendaria fama di donna più bella dell’hotel, nel periodo in cui non c’era artista o musicista che non passasse di lì.
Come potevano essere esposte così tante opere, per lo più sconosciute? L’ultima mostra dell’artista risaliva a quarant’anni prima. Bettina aveva condotto una vita interamente dedicata alla sua arte, senza preoccuparsi di mostrarla al pubblico.
Yto Barrada era ossessionata dall’idea di aprire le misteriose scatole contenute nell’appartamento, ma per poterlo fare era necessario che si venisse a creare un’occasione per esporre il corpus di lavoro di Bettina. Solo così avrebbe potuto accedere alle opere e vincere lo scetticismo che imperversava tra critici, curatori e galleristi, nonché la ritrosia di Bettina. Per diverso tempo lei e coloro i quali erano stati nominati come tutori, si arrovellarono su come riuscire a concretizzare questa possibilità.
Nel 2018, Yto venne incaricata di realizzare una mostra con alcune sue opere presso il nuovo spazio espositivo di Governors Island, nel porto di New York, e finalmente si venne a creare l’opportunità tanto auspicata. Convinse i curatori ad esporre il lavoro di entrambe, in contemporanea.
Quell’estate la Barrada e Rachel Cohen-Lunning, la miglior amica di Bettina, lavorarono nell’appartamento, compilando un documento che riportava centinaia di opere d’arte e molte altre ancora da inventariare. Man mano che avevano accesso al suo archivio, Bettina si apriva un po’ sulla sua vita, raccontando del suo lavoro con gli artigiani del marmo in Italia, del falegname vicino al Chelsea con cui realizzò la sua serie di sculture in legno, della progettazione di tessuti a Londra e a Parigi, del disegno e della fotografia a Istanbul, della bellissima auto con cui girava l’Europa. In tutti i suoi racconti una cosa era chiara: l’arte e la vita erano stati per lei una cosa sola. Mentre prendevamo freneticamente appunti, Bettina continuava a lavorare in parallelo, esaminando i suoi vecchi lavori e producendone di nuovi per la mostra.
Vennero selezionate circa ottanta opere e lei permise, a malincuore, di portarle a Governors Island per pulirle, prepararle ed esporle.
La sera dell’inaugurazione, il 12 settembre 2019, Bettina si presentò con indosso un maglione arcobaleno fatto all’uncinetto e degli occhiali da sole, nonostante la giornata piovosa,. Era splendente sulla sua sedia a rotelle. Per la prima volta, dopo secoli, riuscì a dormire tutta la notte.
Dopo il finissage della mostra, chiese: “Cosa c’è dopo?”.
L’unica risposta plausibile era un catalogo che documentasse la mostra. Il catalogo, vista l’ingente mole di opere, si trasformò in un libro, a cui lavorarono tante persone di grande talento, Yto Barrada compresa, senza percepire alcun compenso. Per realizzarlo fu necessaria instaurare una conversazione continua sulle cose che avevano portato alla luce. Bettina fornì la massima collaborazione. Era entusiasta del lavoro di squadra e terminava le sessioni di lavoro solo al calar della sera.
Gregor Huber, il graphic designer che aveva accettato di buon grado di lavorare al libro, produsse tre copie del dummy definitivo. Un lavoro eccellente, ma mancava ancora il giudizio definitivo e l’eventuale benestare alla realizzazione del libro da parte della Grossmann.
Il responso arrivò poco tempo dopo, con un messaggio, a causa della pandemia e del distanziamento forzato:
“Ho bisogno che il mio primo libro sia meno complesso, meno costoso e più accessibile al pubblico. il libro a cui stai lavorando sarà molto costoso. Lo rimanderei in un periodo successivo”.
Riprogettare il libro per renderlo meno costoso? Già erano state fatte domande per sovvenzioni e quello stesso giorno arrivò una telefonata dalla Francia. Il dummy aveva vinto il prestigioso LUMA Rencontres Dummy Book Award Arles 2020.
Bettina chiamò di nuovo. Quello che disse, questa volta, non lasciava spazio a dubbi: “Non voglio fare il libro”.
Yto rispose: “Va bene”.
Bettina aggiunse: “Dobbiamo farne otto di libri”.
Cercando di mantenere la calma, Yto disse : “Ok, questo sarà il primo”.
Seguì una pausa.
E poi la tacita approvazione: “Sei così intelligente”.
Così si è concretizzata questa incredibile storia di stima e affetto, tra due grandi artiste.
Bettina Grossman è morta nel 2021. Il libro è stato pubblicato dalla casa editrice Xavier Barral (atelier EXB) ed è estremamente elegante e sofisticato. La mostra è visitabile presso la Salle Henry Comte del festival Les Rencontres des Arles fino al 28 agosto 2022.
Questo è solo l’inizio della storia.
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Massimo Mastrorillo
Ha lavorato a progetti a lungo termine concentrandosi sulle profonde conseguenze di conflitti e disastri naturali sulla società.
Ha ricevuto diversi premi, tra cui il World Press Photo, il Picture of the Year International (Magazine Photographer of the Year, terzo premio), il Best of Photojournalism (Magazine Photographer of the Year, terzo premio), il PDN Photo Annual, il Fnac Attenzione Talento Fotografico, l’International Photography Award, l’International Photographer of the Year al 5° Lucie Awards e il Sony World Photography Awards. E’ stato finalista all’Aftermath Grant 2011. Ha ricevuto la nomination per il Prix Pictet 2009 “Earth” e 2015 “Disorder”. Il suo progetto “Il Mare siamo Noi” è stato selezionato per il Vevey Images Grant 2015 e 2017.
E’ stato Leica Ambassador e Talent Manager dell’agenzia LUZ una delle più importanti agenzie fotografiche italiane.
Da anni è impegnato nella didattica con esperienza pluriennale presso la Scuola Romana di Fotografia, la Leica Akademie, la REA e la D.O.O.R. Akademy.
È uno dei membri e fondatori di D.O.O.R., una factory romana che si occupa di fotografia, talent scouting e publishing.
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