Pino Bertelli, la Sua lettera di trasmissione.
a Andrea Armocida,
perché sa pescare nelle pieghe migliori del mare e della terra, anche…
«Negli istituti penali è sempre difficile trovare spazi, fondi e strumenti per affrontare il tema della salute mentale dei detenuti […] In Gorgona invece è stato possibile creare un rapporto terapeutico con gli animali che per un carcerato significano empatia, senso di responsabilità.
Concetti innovativi per un sistema penitenziario che da sempre va avanti per inerzia, refrattario ai cambiamenti».
Carlo Mazzerbo, direttore della colonia penale dell’isola di Gorgona dal 1989 al 2004.
I. Sulla fotografia dell’accoglienza
Ouverture: dalle imprese utopiche del Don Chisciotte ai gradassi della fotografia la distanza è minima!… Don Chisciotte infila la storia sulla punta della lancia e in nome del suo amore, Dulcinea, combatte contro i giganti smisurati dell’autoritarismo fino alla morte… i gradassi della fotografia possono aspirare tuttalpiù a un libretto di assistenza sociale dove sono menzionati come commercianti!… non c’è nulla di meglio che assaggiare i veleni della contemporaneità e non trovare mai quello giusto per uccidersi di malinconia… c’è qualcosa di peggio della fotografia: la fotografia come apogeo dell’imbecillità.
La fotografia, nel suo insieme (amatoriale o professionale), è una sommatoria di banalità discettate come arte… l’industria del settore foraggia tutte le mitologie che portano alla domesticazione sociale… fotografi e assassini sono fatti della stessa pasta, ma gli assassini almeno sono condannati per il male che hanno fatto, i fotografi mai!… su piani diversi, i fotografi appartengono alla categoria dei tarati, fatti salvi, naturalmente, i poeti, i randagi, i cani perduti senza collare… quelli che si pongono dalla parte di popoli violati, umiliati e bastonati per secoli. Anche ieri ho dimenticato di morire di fotografia… in fondo mi è sempre piaciuto conversare più con gli illetterati, i barboni, le puttane o gli ubriachi che con qualsiasi fotografo pronto a uccidere la propria madre per assurgere alla notorietà nella mediocrazia dell’impero dello spettacolo.
La mancanza di talento anche nei fotografi più celebrati, rasenta il genio!… sballottati tra il successo e l’imbalsamazione che ne consegue, i fotografi più musealizzati ci hanno sollazzato nella loquacità in cerca di essere originali… ci hanno sommerso di parole sulla fotografia che non vogliono dire nulla, se non che un fotografo è spesso la scimmietta ammaestrata di una cultura del servaggio dove s’insegna che la “zona aurea” non è che una sillaba, una lettera, un segno che si trascolora in merce. La scortesia di essere “profondi” appartiene ai passatori di confine della fotografia e della vita… poiché sanno che la fotografia, come qualsiasi altra forma d’arte, è finita quando smette di generare eresie. Inutile è la fotografia quando l’immagine è priva di accoglienza… in principio di ogni fotografia c’è una parola che non si lascia recintare e contro la quale urtiamo: la parola accoglienza.
Poiché il dolore contiene tutte le immagini della storia ed è il sudario e crocevia di tutti i cammini degli sfruttati, degli oppressi, dei folli, financo degli assassini… occorre scendere dagli altari del sacro per fare del linguaggio fotografico l’ebbrezza dell’oltrepassamento mercatale… ogni fame è uguale in tutto il mondo e c’è sempre un posto vuoto (che non sia rete di spine) ad accogliere lo straniero, il povero, il diverso… perché razzismo, antisemitismo, sfruttamento, oppressione, esclusione, violenza, repressione, criminalità… sono inni ai procuratori di ferite… fotografare la solidarietà nella sventura significa edificare l’aurora dei diritti umani.
La fotografia dell’accoglienza rende leggeri… dietro una fotografia c’è un uomo, un popolo, una nazione… c’è anche un banchiere, un tiranno, un capo di stato, un papa, un mercante d’armi… ogni fotografia è un vocabolo che bruttura la vita o l’avvolge nella bellezza e nella giustizia… la fotografia dell’accoglienza non chiede chi sei, da dove vieni né dove vuoi andare… è una mappa di utopie da realizzare, un cammino in avanti verso il Paese di non-dove… qui ogni stella è la dignità ritrovata… inutile è la fotografia quando l’immagine è priva di speranza… la tenerezza accoglie l’uomo come il cielo l’uccello… la fotografia non appartiene a nessuno e solo gli spiriti liberi spaccano i chiavistelli del rasoverbo dell’impostura.
— «“Maestro, tu non prendi niente da me”, disse il discepolo.
— “Da te prendo quel che t’insegno”, rispose il maestro» (Edmond Jabès). Ecco il fondamento della filosofia/scrittura fotografica dell’accoglienza.
II. L’agente di custodia-fotografo del carcere dell’isola di Gorgon
L’isola di Gorgona è la più piccola dell’Arcipelago Toscano… qui ha sede una casa di reclusione… l’ex direttore della colonia penale Carlo Mazzerbo e il giornalista Gregorio Catalano, raccontano nel libro, Ne vale la pena. Gorgona, una storia di detenzione, lavoro e riscatto (2013), il difficile recupero dei detenuti attraverso il lavoro e il possibile reinserimento nella società. Gli ostacoli burocratici e la mancanza di fondi non hanno comunque impedito il fiorire della colonia penale agricola e Gorgona è diventata una sorta di modello d’inclusione e riabilitazione della situazione detentiva contro suicidi e disturbi mentali. Nell’isola arrivano soprattutto persone a fine pena che hanno scontato una lunga detenzione. Oltre alla colonia penale agricola (che nel 2002 diventa una fattoria)… l’amministrazione del carcere organizza eventi sportivi, musicali, pittura, teatro… che sovente coinvolgono anche gli agenti penitenziari. L’isola di Gorgona rappresenta la possibilità di mutazione del sistema penitenziario non sempre pronto al cambiamento, applicando l’articolo 27 della Costituzione: «Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato».
Nel corso di una deriva fotografica nell’Arcipelago Toscano con mia moglie Paola, documentalista del progetto, durata oltre un anno, tesa alla realizzazione un atlante fotografico di geografia umana… di cui è stato pubblicato Gente dell’Isola d’Elba ed è in procinto di uscire Gente di Capraia Isola… ci siamo imbattuti in un poliziotto penitenziario—fotoamatore dell’isola di Gorgona, si chiama Pierangelo Campolattano, ha 56 anni e proviene da un piccolo paese della Sardegna, Serramanna (CA)… sposato, con un figlio di 27 anni. Ci racconta: “La passione per la fotografia nasce circa 15 anni fa, quando prestavo servizio a Grosseto e dopo un corso base mi sono dedicato a fare foto paesaggistiche in giro per la maremma. Sono anche molto attratto dal fotografare situazioni di degrado ambientale e ambienti dismessi e abbandonati, ricercando giochi di luci e ombre particolari. Diverse mie fotografie sono state pubblicate in qualche rivista di fotografia. Dalla fine del 2015 sono ritornato a prestare servizio nell’isola di Gorgona. Durante questi anni in Gorgona ho colto fotograficamente innumerevoli aspetti paesaggistici, ho avuto occasione di testimoniare attraverso i miei scatti tantissimi eventi avvenuti sull’isola, molti anche riportati in varie testate giornalistiche.
Qualche anno fa, nel 2021, con i miei scatti è stato realizzato il calendario nazionale della LAV, intitolato l’Isola dei Diritti. Scatti riferiti a un mio progetto che vedeva ritratti persone detenute al contatto con un animale, attraverso quelle immagini ho voluto trasmettere l’importanza del contatto umano con l’animale, la serenità colta nei loro volti mentre si prendono cura degli stessi. Contatto che non solo contribuisce a rafforzare il valore rieducativo della pena, ma anche il benessere psicofisico generale e soprattutto mentale della persona.
Nel 2021 ho realizzato un progetto fotografico, RI-SCATTO. Qui sono ritratte le persone detenute in Gorgona durante le loro attività lavorative. Il carcere di Gorgona affronta e garantisce al detenuto il pieno espletamento dei suoi diritti di individuo come soggetto lavorativo, ma anche come persona nella sua interezza: includendo la sfera familiare, intellettuale, spirituale e ricreativa. RI-SCATTO è stato promosso dalla Fondazione “Laviosa” ed esposto a Livorno ai Bottini dell’Olio dal 21.05.2022 al 02.07.2022. Alcune di queste immagini sono state pubblicate dalla rivista Inedita nel 2023. Un quadrimestrale che racconta le storie delle persone che sono lontane dal cono di luce dei riflettori mediatici ma che hanno comunque un ruolo importante per la comunità o sono le persone più fragili e meno tutelate”.
La visione fotografica di un poliziotto penitenziario ci ha incuriosito… così abbiamo passato un paio di settimane a studiare il suo portolano d’immagini dell’accoglienza. Di là dalla riproposizione di luci e ombre delle celle, detenuti che raccolgono le olive, lavorano il vino,
fanno il formaggio, coltivano l’orto, squarci di paesaggi, tramonti, alberi, animali, maree dorate… Campolattano nel fotoracconto l’Isola dei diritti, si sofferma appunto sul rapporto delle persone detenute con gli animali domestici o salvati e curati… maialini, uccelli, conigli, gatti, cani, capre, muli… sorrisi, carezze, sguardi gentili si contrappongono e vanno a costruire un’immagine d’amorosa amicizia… non è forse un campionario fotografico di alto lignaggio estetico, tuttavia l’iconografia dell’agente di custodia è coinvolgente… la fotografia penetra tutti i segni della materia a cui dà forma… evita la finzione mentale, la mistificazione intellettuale, la regressione utilitaristica… mostra una psicoanalisi della conoscenza che procede dall’interno del corpo fotografato e risale alla ricostruzione di sé del detenuto che accoglie in amore l’animale come ombra della sua solitudine e luce del suo divenire.
Il poliziotto-fotografo di Gorgona si fa portatore di un silenzio carcerario spesso ipocrita che permette di evitare domande… che non vuole risposte… la rescissione della realtà è contagiosa… a vedere quei frammenti di carcere… una sedia dove è appoggiata la tuta di lavoro, l’entrata di ferro aperta sul muro di recinzione, il manifesto strappato di Marilyn Monroe sulla porta del bagno o la sedia vuota davanti alle grate del carcere… si percepisce il senso del recinto ma non l’odio che a un primo sguardo potrebbe sembrare… non sappiamo quanto Campolattano sia stato cosciente, e poco importa saperlo, della sorprendente visione-specchio di una sorte comune dove il provvisorio è il limite ma anche estrema cancellazione della ferita… ciò che vale è la fattografia fotografica (anche se minimale e in parte sgrammaticata o a tratti compiaciuta) che non contiene raggiri… attaccata soltanto alla purezza dell’intenzione.
La fotografia dell’accoglienza si consolida sulla fondamenta della verità… dove non c’è solo un pezzo di terra amara per ciascuno ma un sole d’amore per tutti… diffida di quelli che arringano le masse, dei discorsi da tribuna, dei seguaci che hanno le mani imbrattate di sangue… la solidarietà passa di bocca in bocca e come il vento fa il suo giro… all’inizio c’è il desiderio di bellezza e di giustizia, poi il canto dell’accoglienza libera da ogni costrizione, soffia la parola amore su tutte le cadute dell’esistenza e porta alla comunità che viene.
Piombino, dal vicolo dei gatti in amore, 29 volte giugno, 2024
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Pino Bertelli è nato in una città-fabbrica della Toscana, tra Il mio corpo ti scalderà e Roma città aperta. Dottore in niente, fotografo di strada, film-maker, critico di cinema e fotografia. I suoi lavori sono affabulati su tematiche della diversità, dell’emarginazione, dell’accoglienza, della migrazione, della libertà, dell’amore dell’uomo per l’uomo come utopia possibile. È uno dei punti centrali della critica radicale neo-situazionista italiana.
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