Il lavoro di Barbara Probst è una perfetta miscela di genialità, semplicità e profondità. Semplice la tecnica ideata, geniale l’idea di fornire più punti di vista simultanei su una medesima situazione, profondo il concept perché è in definitiva una sintesi dell’idea di tempo, verità, soggettività/ oggettività e molto altro in fotografia.
Come giustamente sottolinea Francesco Zanot le sue immagini ci risultano familiari ed estranee allo stesso tempo, dei generatori di alternative visive. Probabilmente sono quelle che più si avvicinano alla visione cinematografica, dopo “La jetée” di Chris Marker.
La fotografia mente, è parziale, è un frammento di realtà e la Probst lo sta evidenziando con grande originalità dal gennaio del 2000 quando sul tetto di un palazzo a Manhattan allestisce un set con dodici macchine fotografiche che la riprendono contemporaneamente da diversi punti di vista mentre salta e corre, dando il via alle serie di Exposures. Da allora questo modus operandi è stato portato avanti senza interruzione e le serie sono diventate (almeno per ora) ben 167.
Figlia di uno scultore, non ha mai abbandonato l’interesse per quest’arte. Le sue immagini e i diversi punti di vista che le contraddistinguono derivano dal suo amore per le forme e gli spazi che vengono osservati da angolazioni diverse, per essere meglio compresi. La Probst si definisce una scultrice che utilizza la fotografia come strumento.
Noi tutti vediamo e percepiamo il mondo in modo diverso a seconda del punto di vista ma anche delle condizioni fisiche, psicologiche, del proprio vissuto, delle proprie conoscenze. Non esiste un punto di vista superiore ad un altro, tutti hanno lo stesso valore. Questo aspetto è facilmente percepibile quando si guarda un film o si legge un libro, meno quando si osserva una fotografia. L’autrice riesce a creare lo stesso tipo di sensazione con l’escamotage della ripresa multipla e con diversi punti di vista della medesima situazione o dettaglio. Le immagini prodotte non hanno più gerarchia alcuna, sono legate al “qui e ora”, allo stesso istante.
Barbara Probst non è interessata alla fotografia come strumento per inventare immagini. La usa per metterla in discussione come medium. Quello che la attrae sono gli schemi visivi e percettivi. Gli esseri umani prevedono, riconoscono, confermano o rifiutano e filtrano ciò che vedono. In un mondo in cui la fotografia, volenti o nolenti, è un medium estremamente potente, capace di influenzare, l’artista ne sottolinea la contraddittorietà e criticità. Non ha importanza ciò che si vede ma come lo si vede. Come afferma la Probst: “Un’immagine non rappresenta mai la realtà di fronte alla macchina fotografica, ma la visione che ne ha il fotografo. La verità di una fotografia sta al di là della macchina fotografica, nella soggettività del fotografo” e ancora “Mostrare più di una prospettiva equivale a scomporre l’assolutezza dell’immagine fotografica in frammenti, alzando il sipario sul regno della relatività in cui abitano le fotografie”.
In quest’ottica il tempo diventa solo un mezzo, ma fondamentale, per raggiungere il vero fulcro del processo creativo: lo spazio. Come una scultrice, la Probst osserva un modello o una scena da diverse angolazioni e progetta le pose attraverso modelli tridimensionali che le sono di aiuto sia nella fase realizzativa che in quella espositiva in una mostra.
La realtà è molto più complessa di quanto appaia e la fotografia dimostra di essere debole perché ha un rapporto inaffidabile con essa. L’equivoco di fondo, è e continua ad essere il fatto che molti la considerano un mezzo per documentare un evento e non, come avviene per la pittura, un’espressione, una visione del fotografo. Se si arrivasse all’assoluta consapevolezza di questa differenza, nessuno avrebbe più dubbi nel considerarla a tutti gli effetti un’arte e probabilmente sarebbe un atto liberatorio per la creatività di molti.
Barabara Probst “Poesia e verità” è in mostra alla Triennale di Milano fino al 22 maggio 2022. Da non perdere.
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Massimo Mastrorillo
Ha lavorato a progetti a lungo termine concentrandosi sulle profonde conseguenze di conflitti e disastri naturali sulla società.
Ha ricevuto diversi premi, tra cui il World Press Photo, il Picture of the Year International (Magazine Photographer of the Year, terzo premio), il Best of Photojournalism (Magazine Photographer of the Year, terzo premio), il PDN Photo Annual, il Fnac Attenzione Talento Fotografico, l’International Photography Award, l’International Photographer of the Year al 5° Lucie Awards e il Sony World Photography Awards. E’ stato finalista all’Aftermath Grant 2011. Ha ricevuto la nomination per il Prix Pictet 2009 “Earth” e 2015 “Disorder”. Il suo progetto “Il Mare siamo Noi” è stato selezionato per il Vevey Images Grant 2015 e 2017.
E’ stato Leica Ambassador e Talent Manager dell’agenzia LUZ una delle più importanti agenzie fotografiche italiane.
Da anni è impegnato nella didattica con esperienza pluriennale presso la Scuola Romana di Fotografia, la Leica Akademie, la REA e la D.O.O.R. Akademy.
È uno dei membri e fondatori di D.O.O.R., una factory romana che si occupa di fotografia, talent scouting e publishing.
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