New York 1954/55 di William Klein.
Uno di quei volumi divenuti fondamentali per la conoscenza e la formazione culturale di chiunque voglia interessarsi alla fotografia.
È un libro famoso per tanti motivi. Fu una rivoluzione, a partire dalla grafica fino ad arrivare all’impaginazione: fotografie a piena pagina, al vivo. Il grande formato ti invade gli occhi. Non vedi le foto, ci entri proprio dentro, senti i rumori.
Pensate che la primissima edizione, che per essere precisi portava un altro titolo “Life is good and good for you in New York” e che aveva una copertina nera, ha un valore pazzesco, quasi introvabile. La si può trovare ad un costo di oltre 1.000/1.500 euro se tenuta bene. Online ne ho trovata una firmata di suo pugno ed è in vendita a 7.500 euro!
Anche le edizioni successive sono di valore, riconoscibili dalla sovraccoperta rosso fiammante con scritte nere e bianche, però hanno costi accessibili, dai 100 ai 300 euro, se le trovate non esitate ad acquistarle!
William Klein nasce New York nel 1928. È stato scultore, pittore, regista e fotografo, navigando sempre sull’anticonformismo.
Figlio di una famiglia ebrea e amante dell’arte, fu assiduo frequentatore del MoMa. Restava ore incantato a prendere spunto per il suo desiderio di esprimersi, desiderio non ancora diretto verso la fotografia. Sempre con questo incanto si iscrisse alla Sorbona di Parigi dove studiò con Andre’ Lothe e Fernand Leger, da cui venne incoraggiato a sovvertire il conformismo ed i valori borghesi che dominavano il mondo dell’arte.
In questi anni, oltre a sposarsi, si cimentò nelle arti più disparate, scultura, pittura, regia teatrale e solo in parte la fotografia. Qui avvenne l’incontro con Alex Liberman, pittore ed editore di Vogue America. I due strinsero amicizia e William ricevette l’invito a tornare a New York: era proprio l’anno 1954.
Klein, al suo ritorno, sentì la necessità di guardare la sua città in un modo nuovo, raccontarla con gli occhi da curioso straniero e contemporaneamente autoctono. Desiderava realizzare una sorta di diario fotografico della gente che viveva quelle strade. Liberman gli offrì un contratto come fotografo di moda per Vogue per permettergli di realizzare le sue idee che ormai erano diventate una fortissima urgenza creativa.
Per raccontare il modo con cui andava a realizzare le immagini nei vari quartieri della grande mela, confidò: “Mi comportavo come un etnologo immaginario. Trattavo i newyorchesi come un esploratore tratterebbe una tribù Zulu. Cercavo scatti che fossero grezzi, il “grado zero” della fotografia”.
Tutte le immagini sono state realizzate utilizzando un grandangolo e avvicinandosi molto ai soggetti. Klein aveva capito che solo così poteva raccontare quello che vedeva. Andandoci addosso. Bisogna anche tenere conto che in quel periodo dettava legge il reportage cittadino alla Cartier Bresson, tutto molto pulito e ordinato, preciso nelle regole della composizione. Klein sovvertì i futuri sguardi: dopo questo libro nulla fu più lo stesso nella fotografia che oggi chiamiamo “street photography”.
Un’altra curiosità che viene spesso riportata con buon seguito di polemica fu una sua frase: “Mi piacciono le foto di Cartier-Bresson, ma non mi piace il suo insieme di regole. Così le ho invertite. Penso che la sua visione della fotografia, che deve essere obiettiva, sia una sciocchezza.” E a conferma della sua visione acquistò una fotocamera usata proprio da Bresson: con questa macchina fotografica realizzò molte delle sue immagini più celebri anche per poter dimostrare che la fotografia è frutto dell’autore e di come vede il mondo. Autori diversi danno risultati differenti usando lo stesso mezzo. Sembra banale ma non smetterò mai di ripetere che invece, all’epoca, fu rivoluzionario.
Quella di Klein venne definita addirittura – Antifotografia – tutto ciò che poteva essere recepito come errore divenne un nuovo modo di raccontare il mondo. Una carica di vitalità moderna che non poté che diventare un ‘cult’ per le future generazioni.
La prima edizione del libro, quello introvabile, ebbe vita complessa. Nessun editore voleva pubblicare un libro così d’impatto, inedito nei contenuti e nella forma e per questo veniva giudicato un sicuro fallimento. Solo un grande e coraggioso editore francese fece il passo, Éditions du Seuil (1956), e da lì nacque il mito. Anche su questo passaggio ho trovato una sua citazione che rende l’idea: “All’inizio degli anni ‘50 non riuscivo a trovare un editore americano per le mie immagini di New York. Tutti quelli a cui mostravo le mie fotografie commentavano: Questa non è New York, troppo brutta, troppo squallida e troppo unilaterale! Dicevano anche: Questa non è fotografia! Questa è merda !”.
Klein, come accennato pocanzi, riuscì a pagarsi le spese del suo viaggio tra strade newyorchesi grazie al lavoro nella moda, ma siccome non gli importava molto di quel mondo, sfruttò quelle committenze per sperimentare ancora il mezzo fotografico: non solo il grandangolo, e anche qui fece una rivoluzione, ma anche usando esposizioni multiple, sovrapposizioni, esposizione lunghe con colpi di flash. Un anticonformista come lui, qualsiasi cosa a cui decidesse di accostarsi finiva per stravolgerla e stravolgendola la rinnovava.
Per tutti questi motivi lo considero uno dei veri e rari rivoluzionari della storia della fotografia.
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Fotografo ritrattista. Venti anni di esperienza nella fotografia di “people” spaziando dal ritratto per celebrity, beauty, adv e mantenendo sempre uno sguardo al reportage sociale.
Ha coordinato il dipartimento di fotografia dell’Istituto Europeo di Design ed è docente di Educazione al linguaggio fotografico presso la Raffles School, Università di design di Milano.
Il suo portfolio comprende lavori autoriali e commerciali per FIAT, Iveco, Lavazza, Chicco, Oréal e la pubblicazione di quattro libri fotografici: “Ecce Femina” (2000), “99 per Amnesty” (2003),
“La Soglia. Vita, carcere e teatro” (premio reportage Orvieto Prof. Photography Awards 2005),
“Go 4 it/Universiadi 2007”.
Ha curato l’immagine per vari personaggi dello spettacolo, Arturo Brachetti, Luciana Littizzetto, Fernanda Lessa, Antonella Elia, Neja, Eiffel65, Marco Berry, Levante …
Negli ultimi anni ha spostato la sua creatività anche alle riprese video, sia come regista che come direttore della fotografia, uno dei suoi lavori più premiati è il videoclip “Alfonso” della cantautrice Levante (oltre otto milioni di visualizzazioni).
Ha diretto il dipartimento di fotografia dello IED di Torino ed è docente di “Educazione al linguaggio fotografico” presso la RM Moda e design di Milano.
Paolo Ranzani è referente artistico 4k in merito al progetto “TORINO MOSAICO” del collettivo “DeadPhotoWorking”, progetto scelto per inaugurare “Luci d’Artista” a Torino.
E’ stato nominato da Giovanni Gastel presidente AFIP Torino.
Nel 2019 il lavoro fotografico sul teatro in carcere è stato ospite di Matera Capitale della Cultura.
Pubblicati e mostre:
“Ecce Femina” (2000),
“99 per Amnesty” (2003),
“La Soglia. Vita, carcere e teatro” (premio reportage Orvieto Prof. Photography Awards 2005),
“Go 4 you/Universiadi 2007” ,
Premio 2005 per il ciack award fotografo di scena
Premio 2007 fotografia creativa TAU VISUAL
Premio 2009 come miglior fotografo creativo editoriale
Ideatore e organizzatore del concorso fotografico internazionale OPEN PICS per il Salone del Libro di Torino – 2004
Dal 2017 scrive “Ap/Punti di vista” una rubrica bimestrale di fotografia sul magazine Torinerò.
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