Siamo davvero in grado di comprendere una fotografia?
Una domande che dovremmo porci più spesso, soprattutto perché viviamo in un presente dove “fare fotografie” è ormai un’azione quotidiana, a volte anche ossessiva ed esasperata che ci porta a guardare, per lo più in modo distratto e superficiale, un numero sproporzionato di immagini al minuto…. Cosa ci rimane di quelle immagini?
Questo prezioso libro è da leggere e anche da possedere. Può aiutare a trovare delle valide risposte a insinuassi dubbi e a fornire i requisiti necessari per poter parlare finalmente di fotografia in modo tutt’altro che limitato, con una visione culturale più aperta avvicinando saperi differenti. Più che un libro è principalmente una raccolta di saggi, articoli e frammenti di pensieri e riflessioni profonde del famoso critico d’arte, scrittore, poeta e romanziere John Berger. Mi soffermo un attimo su questa affermazione, in realtà Berger non sopportava di essere definito un critico d’arte. Lo riteneva un insulto. Eppure per tutta la vita ha continuato a descrivere i suoi incontri con l’arte, le epifanie di fronte a un dipinto o una scultura, i viaggi immaginari negli atelier in cui un’opera veniva pensata e realizzata. Poco importava che quegli incontri assumessero le sembianze di un romanzo, una poesia o un saggio; non si trattava di critica, ma di narrazione nel senso più antico del termine: una voce che racconta ciò che gli occhi hanno visto e le mani toccato
Il primo saggio di Berger, pubblicato nel 1967, viene spesso ricordato come esempio classico di esercizio di lettura di una fotografia ed è dedicato alla fotografia del corpo senza vita di Che Guevara, paragonata al Lamento sul Cristo morto di Mantegna.
In “Capire una fotografia” l’autore ci aiuta a sviluppare un articolato pensiero sulla fotografia attraverso i suoi ragionamenti che confronta ed intreccia con le opinioni di due critici importanti, ovvero Susan Sontag e Roland Barthes. Berger sviluppa il concetto di fotografia come un oggetto culturale complesso capace di integrare le capacità mentali dell’uomo. Ragiona in modo raffinato e profondo sulle proprie convinzioni sviluppando delle vere e proprie teorie.
Infatti quando Berger osserva una fotografia egli incontra un’opera, ricca di significati e ambiguità ed è capace di crearne un testo visivo e di estrarne una teoria.
Faccio un esempio, nel libro compare una fotografia di Sander del 1914:
“Sono tre giovani contadini diretti a una festa da ballo con abiti borghesi: Questa immagine ci fornisce tante informazioni quante se ne possono trovare nelle pagine di un maestro della descrizione come Zola. […] Questa foto è un esempio minimo, ma molto efficace di ciò che Gramsci chiamava egemonia di classe. […] I contadini furono persuasi a scegliere questo nuovo tipo di abito. Dalla pubblicità. Dalle fotografie. Dai nuovi mezzi di comunicazione di massa. L’accettazione di quegli standard, il conformarsi a quelle norme che nulla avevano né con la loro tradizione, né con la loro esperienza quotidiana, li condannò, in quel sistema normativo, a essere sempre e in modo riconoscibile per le classi superiori, mediocri, goffi, ordinari, insicuri. Ed è proprio così che si soccombe all’egemonia culturale.”
Ci insegna che la fotografia non può essere letta con sguardo bidimensionale, solo bella o brutta, ma nasconde meccanismi di lettura che vanno oltre all’estetica, strutture sociologiche ed etiche. Conoscere i metodi di come essa viene percepita ed acquisita dal mondo circostante è una ricerca che lo interessa molto nonostante i suoi studi siano per lo più da autodidatta. Le riflessioni proposte sono dei veri e propri saggi da analizzare con attenzione. Per questo motivo consiglio di leggerlo con calma, un po’ alla volta e magari anche un paio di volte lasciando passare del tempo, perché ogni volta vi capiterà di assorbire le pagine in modo sempre diverso e sempre con maggiore profondità.
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TOMMASO OTTOMANO – IL REGISTA DEI MANESKIN
Fotografo ritrattista. Venti anni di esperienza nella fotografia di “people” spaziando dal ritratto per celebrity, beauty, adv e mantenendo sempre uno sguardo al reportage sociale.
Ha coordinato il dipartimento di fotografia dell’Istituto Europeo di Design ed è docente di Educazione al linguaggio fotografico presso la Raffles School, Università di design di Milano.
Il suo portfolio comprende lavori autoriali e commerciali per FIAT, Iveco, Lavazza, Chicco, Oréal e la pubblicazione di quattro libri fotografici: “Ecce Femina” (2000), “99 per Amnesty” (2003),
“La Soglia. Vita, carcere e teatro” (premio reportage Orvieto Prof. Photography Awards 2005),
“Go 4 it/Universiadi 2007”.
Ha curato l’immagine per vari personaggi dello spettacolo, Arturo Brachetti, Luciana Littizzetto, Fernanda Lessa, Antonella Elia, Neja, Eiffel65, Marco Berry, Levante …
Negli ultimi anni ha spostato la sua creatività anche alle riprese video, sia come regista che come direttore della fotografia, uno dei suoi lavori più premiati è il videoclip “Alfonso” della cantautrice Levante (oltre otto milioni di visualizzazioni).
Ha diretto il dipartimento di fotografia dello IED di Torino ed è docente di “Educazione al linguaggio fotografico” presso la RM Moda e design di Milano.
Paolo Ranzani è referente artistico 4k in merito al progetto “TORINO MOSAICO” del collettivo “DeadPhotoWorking”, progetto scelto per inaugurare “Luci d’Artista” a Torino.
E’ stato nominato da Giovanni Gastel presidente AFIP Torino.
Nel 2019 il lavoro fotografico sul teatro in carcere è stato ospite di Matera Capitale della Cultura.
Pubblicati e mostre:
“Ecce Femina” (2000),
“99 per Amnesty” (2003),
“La Soglia. Vita, carcere e teatro” (premio reportage Orvieto Prof. Photography Awards 2005),
“Go 4 you/Universiadi 2007” ,
Premio 2005 per il ciack award fotografo di scena
Premio 2007 fotografia creativa TAU VISUAL
Premio 2009 come miglior fotografo creativo editoriale
Ideatore e organizzatore del concorso fotografico internazionale OPEN PICS per il Salone del Libro di Torino – 2004
Dal 2017 scrive “Ap/Punti di vista” una rubrica bimestrale di fotografia sul magazine Torinerò.
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