Ispirandosi al detto latino “Oculi imago animae sunt”, questo progetto fotografico si presenta come una galleria di ritratti. Ritratti di uomini, donne, bambini.
Un solo elemento in comune: la stessa maschera indossata, che nasconde il volto ma non lo sguardo. Sugli occhi l’unico punto di messa a fuoco: perché solo gli occhi svelano – al di là di qualsiasi possibile maschera – chi siamo e cosa sentiamo. Solo gli occhi sembrano fuggire totalmente al nostro controllo rivelando (e rivelandoci) qualcosa di peculiare che ci fa riconoscere tra 100, 1.000, 100.000 persone anche se il volto è coperto.
Quindi la maschera, da mezzo che dovrebbe celare, si trasforma in uno strumento che aiuta a svelare: una volta coperto il “superfluo”, l’essenziale emerge inevitabilmente.
L’idea del progetto è nata più di dieci anni fa, da una riflessione sullo sguardo e in particolare sul fatto che gli occhi siano da sempre al centro di molta attenzione da parte degli esseri umani, non solo come organo visivo ma anche, e soprattutto, come strumento di comunicazione non verbale, espressione di emozioni.
Il primo contatto che abbiamo con gli altri – e che cerchiamo negli altri – è attraverso lo sguardo.
Molti i modi di dire di uso comune che hanno proprio gli occhi protagonisti: “aveva una luce particolare negli occhi”, “lo avrebbe ucciso con lo sguardo”, “guardare in cagnesco”, “parlare a quattr’occhi”, “uno sguardo sfuggente” o “uno sguardo affascinante”, “apri gli occhi”, “guardare con la coda dell’occhio”, “sognare a occhi aperti”, “gli occhi sono lo specchio della verità” e tanti altri.
È quindi evidente che gli occhi non ci permettono solo di vedere: sono un canale diretto con la nostra parte più intima, ci permettono di trasmettere messaggi precisi e sono come una porta aperta verso la nostra interiorità, a volte anche al di là delle nostra volontà.
L’idea di ritrarre gli occhi, lo sguardo dei soggetti inquadrati, “spogliandoli” di tutto il contorno, attraverso l’uso di una maschera, mi ha affascinato sin dal primo scatto. E nella serialità ho scoperto un comune denominatore: quasi tutti i soggetti, per un momento, si sono sentiti smascherati dalla maschera, messi a nudo seppur parzialmente coperti, come se gli occhi fossero davvero l’unica grande verità.
Nato da uno scatto fatto con una Nikon, è stato portato avanti utilizzando per tutti gli scatti realizzati finora a stessa macchina fotografica, una D700 con un 85mm usato alla sua massima apertura.
Per la raccolta delle fotografe è diventato itinerante e tra il 2016 e il 2019 è stato proposto in diverse città italiane e nei più disparati contesti: studi fotografici, concerti, inaugurazioni di mostre, eventi culturali e sociali.
Ad oggi oltre 400 persone hanno partecipato al progetto.
Autore
Ioan Pilat è un fotografo freelance, street-artist e art director. Vive e lavora tra Padova, Verona e Milano, ma la sua vera natura è quella di un giramondo.
Il suo lavoro è influenzato dalla musica, di cui non riesce a farne a meno, e la sua principale fonte d’ispirazione sono le persone stesse che incontra e fotografa.
Specializzato nella fotografa di ritratto, principalmente in quella di fashion e beauty, negli anni ha sviluppato alcuni progetti personali che gli permettono di indagare il mondo e cercare di soddisfare la sua curiosità nei suoi confronti.
Il suo lavoro, pieno di passione, riflette l’amore per la fotografa e la ricerca di un’immagine visiva di tipo minimalista, nelle forme, nelle sfumature, nei materiali e negli oggetti.
È stato insegnante di fotografa all’Istituto Design Palladio di Verona. Il progetto completo è visibile sul sito www.ioanpilat.com
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