“Lo spazio è molto importante per me, ma in modo astratto. Forse per cercare di capire non solo che stiamo vivendo in un certo edificio o in un certo luogo, ma per renderci conto che facciamo parte di un pianeta che viaggia a una velocità enorme attraverso l’universo” ( Andreas Gursky)
Già, proprio lui, Gursky, quello conosciuto per quel record di vendita per una fotografia battuta all’asta.
Si tratta di un’immagine del 1999 dal titolo Rhein II battuta all’asta da Christie’s nel 2011 per la somma record di 4.338.500 dollari!!!
E’ lunga tre metri e mezzo ed è stata acquistata da un anonimo collezionista. Lo scatto è un paesaggio che raffigura il fiume Reno dai colori tenui ed ha superato l’autoscatto “Untitled #96″ di Cindy Sherman valutato “solo” 3,89 milioni di dollari qualche mese prima.
Ma al di là di questa fotografia. Chi è Gursky?
Conosciuto come uno dei più importanti fotografi del nostro tempo, Andreas Gursky ha cambiato il concetto di fotografia attraverso paesaggi monumentali, ricchi di dettagli che rappresentano metafore della vita contemporanea.
Raccontiamo la visione di questo artista.
Nasce nell’Est, a Lipsia, nel 1955, figlio di un fotoreporter. Prima di trasferirsi a Düsseldorf, studia alla Folkwang Schule di Essen, dove gli insegnamenti imperanti sono quelli di Otto Steinert, un maestro che nel dopoguerra ha formato il gruppo della Subjektive Fotografie.
Klaus Honnef descrive questo periodo come anni nei quali i fotografi puntano l’apparecchio su “qualunque cosa si muova” e la divisione del paese genera attitudini diverse: “In Germania Ovest la fotografia diventa un mezzo più direttamente influenzato dall’arte, mentre a Est continua ad aderire alla tradizione della fotografia socialista. La DDR non sviluppa forme autonome se non molto tempo dopo”.
Alla luce delle prime esperienze del giovane Gursky, potrebbe non essere azzardato leggere le sue foto dei luoghi di produzione contemporanei come commento sociale, e le immagini delle roccaforti bancarie, delle Borse, del Bundestag, dei siti industriali hi-tech e degli hotel con tanto di design griffato, come strumenti di denuncia di un’oppressione tecnocratica e consumistica. Gursky è stato uno dei primi a eccedere nel formato – sono determinate da precise ragioni compositive, per dar modo allo spettatore di entrare nell’immagine come fosse un ambiente e leggerne tutti i dettagli. Le sue grandi panoramiche ricostruiscono il discorso pittorico dall’interno e riporta in una sola immagine tutta la realtà possibile.
Gursky non crede alla realtà oggettiva, né si fida delle apparenze: per lui la fotografia, anche se manipolata secondo i propri fini, è l’unica ipotesi di realtà. La fotogenicità a cui punta è l’esatto contrario dell’autenticità o della pretesa di verità oggettiva della fotografia documentaria. Pochi creatori d’immagini riescono a indurre una tensione così forte nello spettatore, in dubbio se ciò che pensa di vedere è ciò che sta effettivamente guardando.
Con Andreas Gursky l’apparenza esterna del mondo e la sua riproduzione non coincidono. Inoltre, non si può ignorare che, al contrario dei suoi maestri, l’artista fotografa le strutture preposte a organizzare la vita contemporanea, ma anche chi opera al loro interno.
La dimensione delle fotografie e l’attenzione per i particolari consentono di leggere ogni figura individualmente. La foto realizzata allo Hyatt Regency Hotel di Atlanta mostra l’interno dell’edificio, i piani presentati nella loro geometria perfetta, il verde decorativo accentuato fino a diventare virus visivo e, tra un piano e l’altro, i carrelli delle femmes de chambre abbandonati all’esterno delle stanze.
C’è una frase di Richter che Gursky ama citare: “Io vedo milioni di immagini, ne fotografo migliaia, ne scelgo cento, che poi dipingo…”.
L’opera fotografica di Andreas Gursky ha creato un nuovo standard nella fotografia contemporanea. Le sue ricerche sullo spazio, sul paesaggio e l’architettura hanno contribuito a una nuova arte della fotografia, in contrasto con il minimalismo e il concettualismo degli anni Settanta. L’uso di macchine fotografiche di grande formato, la scansione, la manipolazione digitale, la stratificazione di più immagini per creare una, posizionano il fotografo tedesco come un ponte tra i vecchi modi di scattare e presentare le immagini e l’attuale era della fotografia tecnologica.
La qualità tecnica del suo lavoro è eccezionale. Le enormi stampe a colori di Gursky – alcune delle quali alte fino a un due metri, per 4 o 5 metri di lunghezza -mescolano la potenza formale dei dipinti paesaggistici ottocenteschi, ai meticolosi dettagli dell’immagine fotografica. Fotografie che hanno il potere di avvolgere e disorientare lo spettatore all’interno dello spazio che ritraggono. Il fotografo tedesco ci trasporta in un mondo senza gerarchia, attraverso un modo di scattare che appare diretto e distaccato. Un mondo dove tutti gli elementi pittorici dell’immagine sembrano ugualmente importanti. Come se volesse lasciarci la possibilità di formulare le nostre opinioni e le nostre risposte.
Gursky scatta dall’alto delle immagini di un paesaggio profondamente trasformato dall’intervento umano; in un secondo momento, decostruisce le fotografie al computer e le ricostruisce alterando la sequenza delle singole parti e creando un’immagine nuova e diversa. Nascono così delle composizioni che ricordano la pittura astratta. Gli elementi di realtà ancora presenti – come per esempio il logo di una nota compagnia di telefonia mobile – servono a riportare le fotografie nel qui ed ora di una società contraddistinta dall’onnipresenza del marchio.
Possiamo quindi confermare che egli sia il più illustre rappresentante di una generazione di fotografi che operano ispirandosi ai principi stilistici della pittura e per i quali l’elaborazione digitale è un momento imprescindibile di configurazione dell’immagine e il realismo nelle dimensioni dei singoli elementi scivola in secondo piano rispetto alle esigenze poste dal progetto artistico e compositivo; egli, organizzando in modo nuovo i singoli dettagli, innalza gli edifici, accresce le dimensioni delle folle e dà nuova forma ai paesaggi.
Per lui l’immagine fotografica è il materiale grezzo di un complesso intervento dal quale scaturisce l’immagine finale. Le sue fotografie sono quindi una sorta di estetiche astrazioni del reale; secondo l’artista, la realtà “non esiste come tale, ma solo come una costruzione”.
Insieme ad altri celebri fotografi come Jörg Sasse, Thomas Struth, Candida Höfer e Thomas Ruff, Andreas Gursky è stato allievo di Bernd e Hilla Becher presso la celebre Kunstakademie di Düsseldorf.
Andreas Gursky è rappresentato da Sprüth Magers Berlin London
Gianni Romano – www.spruethmagers.com
Per approfondire:
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Fotografo ritrattista. Venti anni di esperienza nella fotografia di “people” spaziando dal ritratto per celebrity, beauty, adv e mantenendo sempre uno sguardo al reportage sociale.
Ha coordinato il dipartimento di fotografia dell’Istituto Europeo di Design ed è docente di Educazione al linguaggio fotografico presso la Raffles School, Università di design di Milano.
Il suo portfolio comprende lavori autoriali e commerciali per FIAT, Iveco, Lavazza, Chicco, Oréal e la pubblicazione di quattro libri fotografici: “Ecce Femina” (2000), “99 per Amnesty” (2003),
“La Soglia. Vita, carcere e teatro” (premio reportage Orvieto Prof. Photography Awards 2005),
“Go 4 it/Universiadi 2007”.
Ha curato l’immagine per vari personaggi dello spettacolo, Arturo Brachetti, Luciana Littizzetto, Fernanda Lessa, Antonella Elia, Neja, Eiffel65, Marco Berry, Levante …
Negli ultimi anni ha spostato la sua creatività anche alle riprese video, sia come regista che come direttore della fotografia, uno dei suoi lavori più premiati è il videoclip “Alfonso” della cantautrice Levante (oltre otto milioni di visualizzazioni).
Ha diretto il dipartimento di fotografia dello IED di Torino ed è docente di “Educazione al linguaggio fotografico” presso la RM Moda e design di Milano.
Paolo Ranzani è referente artistico 4k in merito al progetto “TORINO MOSAICO” del collettivo “DeadPhotoWorking”, progetto scelto per inaugurare “Luci d’Artista” a Torino.
E’ stato nominato da Giovanni Gastel presidente AFIP Torino.
Nel 2019 il lavoro fotografico sul teatro in carcere è stato ospite di Matera Capitale della Cultura.
Pubblicati e mostre:
“Ecce Femina” (2000),
“99 per Amnesty” (2003),
“La Soglia. Vita, carcere e teatro” (premio reportage Orvieto Prof. Photography Awards 2005),
“Go 4 you/Universiadi 2007” ,
Premio 2005 per il ciack award fotografo di scena
Premio 2007 fotografia creativa TAU VISUAL
Premio 2009 come miglior fotografo creativo editoriale
Ideatore e organizzatore del concorso fotografico internazionale OPEN PICS per il Salone del Libro di Torino – 2004
Dal 2017 scrive “Ap/Punti di vista” una rubrica bimestrale di fotografia sul magazine Torinerò.
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