



a ricordo di Primo Moroni, Gianfranco Faina, Margherita “Mara” Cagol, Aldo Bonasia, e dei maglioni inzuppati di sangue di quei ragazzi belli che nelle strade di Milano facevano della resistenza sociale il florilegio delle loro utopie…
e mai più nessuno è stato bello così…
La mia natura è negare. La mia parola è no. Ti cancello vita, perché sono su un cammino che
porta lontano da te.
Sono diretto là dove tu non mi puoi seguire”.
Pär Lagerkvist
I. Corri compagno, corri! Il mondo nuovo è già dietro di te!
Le fotografie cambiano, quando cambiano gli sguardi… lo sguardo del mercimonio artistico o dell’omologazione massmediale volgarizza ogni forma di comunicazione alta e tutta la fotografia muore di fotografia seriale. Il grande fotografo non è altro che la vampata d’amore per la libertà che lo brucia. La fotografia mercantile si nutre delle convenienze che la strangolano, la Fotografia. La Fotografia non è nata dall’esigenza di conoscere e approfondire la solidarietà sociale, come le cattedrali e i campi di sterminio è stata edificata per incentivare il capitalismo parassitario e la stupidità di massa. La bellezza della fotografia a difesa degli ultimi, degli umiliati e degli offesi irrita anche l’ultimo plebeo. Le fotografie più intelligenti dicono le stesse cose delle fotografie più stupide, solo che gli autori sono diversi. Non è poco. A ricordo del Manuale del boia: Chi conosce la forca non sempre sa fotografare e chi fotografa non sempre conosce la forca, anche se qualche volta la meriterebbe –1. La fotografia deve la propria fortuna a imprese di ciarlatani che fanno professione di mercanteggiare sull’effimero iconografico o sul dolore degli altri… qualche volta nascono poeti randagi della fotografia che sono morti di niente, dopo aver vissuto di tutto. Uno di questi, e tra i più grandi, è Aldo Bonasia.
Abbiamo trovato questo scritto in una cartellina rossa, sottratta all’ufficio del comune di Milano con un ciclostile e una macchina per scrivere IBM, in tempi bellicosi e tutto sommato simpatici… sopra c’era scritto in punta di penna stilografica e inchiostro verde: La fotografia politica degli anni ’70. Oltre al “pezzo” su Bonasia c’erano anche considerazioni più generali su fotografi che in quei tempi hanno usato la fotocamera in forma di dissenso, alcuni li abbiamo pubblicati poi sulle pagine di FOTOgraphia, altri, quelli recuperati dal sistema spettacolare, sono stati lasciati alla deriva dei loro servigi… perché fotografare è una cosa troppo importante per poterne dissertare impunemente… per riacquistare la giovinezza di momenti spericolati e belli, basta solo riprendere la lucida utopia che sosteneva i nostri eccessi e comunque dietro ogni incontro del meraviglioso c’è l’uomo del no!, e non è il momento storico che fa l’uomo, ma l’uomo del dissidio che crea un’epoca.
A ritroso. Mi ricordo sì, mi ricordo di Aldo Bonasia. Ci siamo incontrati diverse volte a fotografare nelle strade di Milano i conflitti sociali degli anni Settanta. Abbiamo anche mangiato insieme (diverse volte) in una casetta o covo di anarchici dietro i Navigli… si parlava di tante cose, mai di fotografia. Le utopie di ribaltamento di prospettiva di un mondo rovesciato ci affascinavano e a lui devo gratitudine per avermi trovato un posto dove dormire quando la “gioia armata” di molti giovani mirava al cuore dello Stato… e anche a chi come me nulla (o poco) c’entrava con le “azioni dirette” e aveva bisogno di aiuto… lui non si è fatto scrupoli né si è posto domande, per diversi giorni ci ha protetti e sfamati con quel poco che aveva. Diceva che il male è amico del male, e poi c’è un male che lo spia e lo interroga. Qualche volta trucca l’innocenza del divenire, la imprigiona, la tortura o l’uccide (com’è successo a Giuseppe “Pino” Pinelli o Franco Serantini). Per questo quando è toccata la stessa sorte al commissario Calabresi o ad Aldo Moro, non abbiamo pianto né gioito. La realtà è l’altra faccia della fotografia, basta uno sguardo trasversale per sorprenderla. La storia della fotografia autentica è un arma che fa scandalo.

Avevo tante volte iniziato questo scritto sulla fotografia del no! di Aldo Bonasia. Non c’ero mai riuscito. Troppe erano le emozioni intime che mi salivano agli occhi nel descrivere il lavoro di Bonasia. Dopo aver letto sulla rivista Fotographia (marzo 2009, n. 149), che sovente ospita i miei lavori, e in modo particolare il ricordo di Bonasia del direttore e amico, Maurizio Rebuzzini (si trattava dell’Editoriale apparso in Fotographia del giugno 1995), quando Aldo Bonasia si chiamò fuori dalla vita, ho buttato giù di getto questo articolo, per quello che vale. Il pubblico è squisitamente tollerante, perdona tutto, tranne naturalmente la passione distruttiva come il disinganno del ribelle.
Il Sessantotto ci aveva trovati nelle strade e aveva inaugurato una festa libertaria che sembrava non avesse mai fine… “Corri compagno, corri! Il mondo nuovo è già dietro di te!”, si gridava nelle strade infuocate d’intemperanze non proprio addomesticabili… forse avevamo visto troppo in grande o troppo in profondità… non so… tuttavia quegli anni straordinari o formidabili, come è stato detto (Mario Capanna), ci sono restati addosso come una pelle amorosa e non ci sono state sconfitte così grandi che hanno lasciato nell’immaginario dei popoli il senso del giusto e legami generazionali mai distrutti… un’orda d’oro (Primo Moroni), mai dimentica dei dannati, degli sfruttati e degli schiavi per i quali, ancora e sempre, occorre ricordare la necessità di un tempesta libertaria che ispiri afflati e congiunzioni, colpi di mano e devianze, disobbedienze e insurrezioni, e fare della propria vita in rivolta un’opera d’arte. Il sogno comune è sempre sulla soglia dell’essere, nell’infinita ricchezza o nella povertà dissennata delle esplosioni che ci hanno portati a sfidare l’impossibile e fare del possibile magico i migliori anni della nostra vita.
Nel lessico della fotografia in rivolta degli anni Settanta, Bonasia figura il batticuore libertario di un tempo in cui l’indigenza non supponeva necessariamente l’invidia, ma sovente forme di resistenza sociale… disperati incanti si sovrapponevano a bisogni e gusti semplici e tutti mezzi erano buoni per mettere a nudo l’impero della ragione imposta… anche la fotografia ha fatto la sua parte e non sempre è stata ricordata nella giusta maniera nei manuali specializzati o riviste patinate… la rivolta, la libertà, la diversità venivano inserite spesso in immaginari da cartoline postali e pochi, davvero pochi, riuscivano a toccare la pelle della storia… uno di questi è stato Bonasia… sapeva infatti che le violenze e le repressioni dello Stato nascono da “buone intenzioni” e solo la sovversione non sospetta dell’immaginario restituisce all’uomo dignità e giustizia. La fotografia libertaria o comunarda di Bonasia non accetta la morale comune, non riconosce niente sopra di sé e solo l’uomo in libertà persegue eternamente il raggiungimento della giustizia.
Aldo Bonasia nasce a Bitonto nel 1949… approda a Milano e ha un qualche successo come fotografo di moda… presto preferisce il fotogiornalismo e fonda (a poco più di vent’anni) l’agenzia DFP (Documents for Press)… altri giovani s’affrancano a Bonasia, qualcuno si perderà in lidi più remunerativi, alcuni finiranno nel sottoscala della storia. Bonasia si occupa di documentare le manifestazioni extraparlamentari (e gli scontri con la polizia) a Milano… sono le immagini riconosciute di quella “stagione all’inferno” che mostrano le trasgressioni e le bastonature di anni in qui le giovani generazioni dettero l’assalto al potere, non per possederlo, ma per meglio distruggerlo.
Bonasia si taglia via dalla vita nel 1995, come già ricordato… lascia una cartografia delle lotte degli anni ’70 a Milano (e di altre differenze radicali) di notevole presa del reale… testimonia la rivoluzione della gioia scoppiata nel Sessantotto e che si era riversata sulle barricate di strada, nelle Stragi di Stato… cercando di arginare la marea montante della democrazia burocratica, autoritaria… un attento pamphlet uscito nel 1975 — Rapporto veridico sulle ultime opportunità di salvare il capitalismo in Italia —, scritto in lingua rovescia da Censor, riguardo alla classe di governo, i ruoli dei partiti e degli operai, avverte: “…i detentori del potere economico e la gente del popolo, in un’allegra incoscienza che per una volta li univa, si occupavano ciascuno dei propri interessi, grandi per gli uni, piccoli per gli altri, contribuendo al successo fallace dell’ideologia del benessere”2. I partiti diventarono padroni di tutto, come non lo erano mai stati e l’acquasantiera del potere bancario livellava destra e sinistra nelle medesime fogne… ai ricchi va tutta la ricchezza, ai poveri tutta la povertà… è l’affermazione della civiltà dello spettacolo.

II. L’arma della fotografia
La fotografia randagia di Aldo Bonasia emerge, per non morire mai, nelle lotte sociali degli anni Settanta. Storici, critici, galleristi, operatori culturali… non hanno mai tenuto in grande considerazione uno di più grandi autori italiani della fotografia di resistenza sociale… Ando Gilardi, Giovanna Calvenzi, Roby Schirer, in una preziosa mostra alla Galleria Bel Vedere di Milano (e il relativo catalogo)3, ne rendono conoscenza, restituiscono all’oblio imposto dagli armigeri del settore sulla fotografia di Bonasia, il dovuto splendore culturale e politico. L’arte della fotografia (anche di Bonasia) sfugge al mondo della merce quando entra nel desiderio libertario in forma di resistenza… rifiuta le immagini, i simulacri, i feticci dell’ordine costituito e non appare mai là dove il circo delle apparenze soffoca e uccide il canto delle idee di amore e libertà tra le genti. Non c’è messa in scena né autocompiacimento nelle fotografie del no! di Bonasia, ma un istinto agonistico di giustizia che si oppone agli atti, alle azioni, ai privilegi che caratterizzano i tradimenti, le violenze e le lacrime al tempo della partitocrazia.
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Pino Bertelli è nato in una città-fabbrica della Toscana, tra Il mio corpo ti scalderà e Roma città aperta. Dottore in niente, fotografo di strada, film-maker, critico di cinema e fotografia. I suoi lavori sono affabulati su tematiche della diversità, dell’emarginazione, dell’accoglienza, della migrazione, della libertà, dell’amore dell’uomo per l’uomo come utopia possibile. È uno dei punti centrali della critica radicale neo-situazionista italiana.
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