
Un marchio è funzione di una filosofia. E più questo marchio è riconosciuto al vertice di un settore di mercato o almeno di un segmento, più quella filosofia è mantenuta pura ed essenziale nei suoi prodotti. Seguendo questo ragionamento, la filosofia che ispira Hasselblad da sempre immutata nonostante l’evoluzione tecnologica e gli assetti aziendali che continuano a rinnovarsi.
«Hasselblad continua a mantenere la progettazione e la produzione in Svezia», ci ha spiegato Gianluca Parodi, Brand Manager per Fowa s.p.a., l’importatore che distribuisce il marchio svedese in Italia.
«Orgogliosamente – prosegue – l’azienda ha mantenuto immutati i suoi assetti produttivi e di ricerca e sviluppo lì dov’è nata, nonostante il controllo del marchio sia passato a DJI. Questo ha fatto sì che non si perdesse l’anima, l’essenza che ha ispirato Hasselblad dalla sua fondazione».
Eppure di passi in avanti dal punto di vista della tecnologia e degli output sul mercato, il brand svedese ne ha fatti parecchi, pur rimanendo sempre il punto di riferimento per i professionisti alla ricerca della più elevata qualità dell’immagine possibile o per gli amatori innamorati dell’iconicità di una macchina Hasselblad.
«Finché ha prodotto macchine a pellicola, Hasselblad si rivolgeva sia a professionisti che ad appassionati. Oggi, gli enormi passi in avanti fatti dal punto di vista della tecnologia, hanno permesso al marchio di tornare a rivolgersi ad entrambi dopo che l’entrata nel mondo del digitale aveva spostato gli equilibri del mercato più verso gli acquirenti professionali», ha chiarito ancora Parodi.
E in effetti, non solo i costi spesso proibitivi dei primi dorsi digitali, quanto anche i loro pesi e ingombri non rendevano certo Hasselblad un marchio alla portata di tutti. Oggi, però, l’introduzione di prodotti economicamente più abbordabili, ma che sono “Hasselblad fino in fondo”, ha rimescolato le carte: «Il colpo di genio, come lo definisco spesso io, è stato riuscire a creare un corpo mirrorless come la X1D II che coniuga la qualità del medio formato all’ergonomia di Hasselblad e alla comodità di una mirrorless. E poi il dorso digitale 907X che può essere montato su qualsiasi corpo Hasselblad a pellicola garantendo il mantenimento della massima qualità – rimangono intatte, infatti, tutte le caratteristiche che hanno fatto di Hasselblad un’icona del mondo della fotografia come, ad esempio, l’otturatore centrale – abbinate a semplicità di utilizzo estrema anche grazie ad un’interfaccia grafica quasi da smartphone per quanto è intuitiva»
Il Dna Hasselblad è quindi trascritto a dovere anche nel nuovo corso dell’azienda che, come detto, lo ha mantenuto anche grazie alla scelta della proprietà di non spostare il sito di progettazione e di produzione da dov’è nata l’azienda. Così Hasselblad è uno status symbol fotografico, è un prodotto speciale per definizione e per costruzione: «Sono un appassionato di auto – ha proseguito Parodi – e spesso mi capita di paragonare Hasselblad ai marchi d’auto più blasonati e importanti come Ferrari. Ma a pensarci bene, per spirito, filosofia, natura e qualità costruttiva, nonché per le sensazioni fisiche che ogni prodotto Hasselblad è capace di restituire all’utilizzatore, forse è più giusto paragonarla ad una Lotus».
In Italia, come detto, il marchio svedese ha come partner commerciale Fowa. Una comunione che si traduce in un ulteriore valore aggiunto per il cliente: «La politica di Fowa è sempre stata quella di accompagnare il cliente nel post-vendita, nell’assistenza. Ancor di più questo principio è espresso nei rapporti con i clienti che hanno scelto Hasselblad. Mi occupo del marchio da vent’anni circa e posso dire di aver conosciuto quasi tutti i clienti che hanno acquistato Hasselblad perché l’attenzione alle loro esigenze, alla risoluzione di eventuali problemi è sempre stata di primaria importanza per noi».
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Nato a Catanzaro nel 1984, è giornalista, fotografo e consulente di comunicazione. Attualmente collabora con Gazzetta del Sud e dirige il magazine della Camera di Commercio di Catanzaro CalabriaFocus.it. Nella sua fotografia ha introdotto gli elementi della professione giornalistica concentrandosi sul reportage (anche nelle cerimonie) e sulla narrazione per immagini della realtà. Alcuni suoi reportage sulla baraccopoli di Rosarno sono stati pubblicati dal Corriere della Sera.
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