
Procediamo nel sintetico percorso di questa rubrica che tenta di affrontare alcuni temi legati ai linguaggi della fotografia: nelle puntate più recenti si è affrontato il tema della fotografia contemporanea di reportage con particolare attenzione alle esperienze italiane. Continuiamo in questa disanima accennando ad alcune forme di linguaggio nell’ambito della fotografia di paesaggio, tenendo sempre presente che ci serviamo di questa generalizzazione per generi fotografici soltanto per comodità divulgativa.
I capiscuola italiani della fotografia di paesaggio
A metà degli anni settanta emerge in Italia, da parte di alcuni fotografi destinati a diventare precisi punti di riferimento per le ultime generazioni, l’esigenza di rivolgersi al paesaggio. Forse anche come reazione a certi eccessi della fotografia impegnata – a seguire i sempre più sconvolgenti avvenimenti politico-sociali di quegli anni di piombo – questa esigenza di tornare al paesaggio diventa maggiormente diffusa e si dirama, nella semplificazione storico-critica, in tre grandi direzioni: una, quella destinata ad avere maggiore successo a livello amatoriale e presso un pubblico sempre più vasto che si affaccia alla fotografia, è impersonata da Franco Fontana, autore che si impone negli anni settanta con l’uso ormai diffuso del colore e che costruisce la propria fortuna sui cromatismi esasperati.
La seconda tendenza risulta formalmente e concettualmente esattamente antitetica a quella di Fontana: quanto le fotografie di quest’ultimo sono cariche di colori saturi e di effetti di straniamento della realtà prodotti, spesso, dallo schiacciamento prospettico del teleobiettivo, tanto normali, nella luce, nei colori, nelle inquadrature, appaiono le fotografie con cui Luigi Ghirri, registra il paesaggio che ci circonda.
Il lavoro di Ghirri si colloca nello stesso ambito concettuale di Cresci ma su un piano formale diverso: Ghirri approda a una sorta di fotografia diretta caratterizzata da un ironico realismo che sfocia a volte nel surreale e, soprattutto nella sua ultima produzione, nella visione poetica. Scomparso purtroppo nel pieno della sua maturità, Ghirri, più di altri ha lasciato un segno nella fotografia italiana degli ultimi decenni: anche lui, come tutti gli altri capiscuola, ha dato involontariamente origine a uno stile, seguito da molti bravi fotografi di paesaggio delle ultime generazioni. Il suo modo disincantato di osservare il mondo, di coglierne gli aspetti minimi ed emblematici, di marciare sicuro sul filo sottile dell’ambiguità tra mondo reale e sua rappresentazione, ha influito notevolmente nella fotografia italiana e internazionale.
Su un piano iconografico più tradizionale si colloca invece Gabriele Basilico, al quale possiamo ricondurre la terza tendenza della fotografia italiana di paesaggio: il suo lavoro è caratterizzato dall’uso prevalente del bianco e nero, dalla descrizione geometrica, dallo sguardo fotograficamente puro sul mondo. I suoi paesaggi post-industriali, ma anche quelli urbani e naturali, si sviluppano per costruire un’epica: dalle sue metafisiche fabbriche e ambienti metropolitani, alla limpidità delle sue visioni paesaggistiche, alle rappresentazioni del paesaggio industriale e a quelle più apocalittiche di Beirut distrutta dalla guerra, il suo lavoro si dispiega come una sinfonia visiva asciutta, nel solco dei grandi paesaggisti americani.
Vi è poi un altro fotografo italiano, tra quelli di questa generazione, Mimmo Jodice, che attraversa le due tendenze prima citate definite ‒ nella azzeccata analisi di Arturo Carlo Quintavalle per il progetto Muri di Carta, del 1993 ‒ analitico–descrittiva (Cresci/Basilico) e sintetico-poetica (Ghirri). Il napoletano Jodice sintetizza la tensione verso la fotografia diretta, presente in ambedue le tendenze, con l’anelito alla visione poetica e artistica. La sua sapiente sintesi tra il linguaggio più puro della fotografia e la passione verso il piacere dello sguardo lo ha portato a risultati di grande equilibrio visivo.
Accanto o dopo questi riconosciuti maestri della fotografia italiana degli ultimi due decenni molti altri meriterebbero attenzione e riflessione: tra i tanti ottimi fotografi di paesaggio italiano, citiamo l’esperienza di Guido Guidi, un operatore che da sempre, prima e al di fuori delle mode, ha seguito la traccia di una fotografia assolutamente, descrittiva, il più possibile, se possibile, aderente alla realtà, colta soprattutto nei suoi aspetti minori percorrendo autonomamente un sentiero simile a quello degli americani del gruppo definito dei Nuovi Topografi, movimento su cui torneremo in un successivo appuntamento.

Una tappa importante per la fotografia di paesaggio: Viaggio in Italia.
Nel clima di sintonia e di affinità in cui molti fotografi italiani si muovevano a cavallo tra gli anni settanta e ottanta nasce una mostra e un catalogo che avrebbero segnato una tappa importante nella ricerca sul paesaggio. Questi fotografi, molto vari stilisticamente, realizzano nel 1984 Viaggio in Italia, iniziativa, nota ed emblematica, che segna l’ufficializzazione dell’interesse comune per un nuovo modo di rappresentazione fotografica del paesaggio italiano.
Si è parlato, al proposito, di una tendenza, di una scuola: in parte è vero poiché dal nuovo modo di guardare il paesaggio, meno accademico, più attento ai fatti minori o anonimi, ironico e poetico, è nato un orientamento che ha coinvolto, negli anni successivi, decine di fotografi in tutta Italia. C’è da precisare che probabilmente Viaggio in Italia ha ufficializzato, ai più alti livelli, quella che, nei fatti, era già una esigenza diffusa tra molti fotografi italiani che fin dal decennio precedente – basta guardare nei loro archivi – si erano rivolti al territorio e al paesaggio fuori dagli schemi classici.
Il Viaggio in Italia non poteva più essere evidentemente quello tradizionale del Gran Tour nel Bel Paese e già la lezione di altri importanti autori – soprattutto Paolo Monti – era servita a preparare il terreno sul quale sarebbe maturata la nuova esperienza.
Scrive al proposito Quintavalle nella presentazione del progetto:
«[…] Le ricerche sul paesaggio come sono state portate avanti da troppi, cariche della contemplazione estatica dello spazio del mondo, cariche della retorica dell’impianto pittorico ottocentesco, cariche della cultura pictorialistneppure troppo veduta e corretta sono destinate a avere pochissimo spazio, seguito e successo. Invece la situazione nuova viene espressa, nel contesto della cultura italiana, sempre nel dopoguerra, da pochi che muovono dalla rivoluzione realista di cui ho parlato (da Ossessione di Visconti in poi) [ndr]. […] Presto due tendenze si contrappongono: quella neo americana derivata dalla FSA da una parte e quella che finge aperture europee convertendosi rapidamente alla ricerca di reportage della Magnum. […] La situazione diventa rapidamente comprensibile, il paesaggio, il viaggio, sarà attraverso l’episodica…
[…] L’Italia, la storia della sua immagine e le funzioni di una intera cultura sono scomparse dentro un sistema di riferimenti diversi, sono state obliterate, appiattite, se vogliamo meglio dire, contro un antico sistema di riferimenti. Abbiamo dunque solo il Sud secondo il realismo, abbiamo solo i monumenti del settentrione e le spiagge…? Ecco, questo è il problema che si sono posti, devono essersi posti questi fotografi che hanno costruito Viaggio in Italia.»
Il progetto, mostra e volume, Viaggio in Italia viene realizzato a Bari nel 1984 dalle Istituzioni locali, dall’Arci Media, dalla Lega Fotografia e da Spazio-Immagine, un centro di fotografia tra i più rigorosi e continuativi operanti in Italia in quegli anni. Il progetto fu voluto e curato da Luigi Ghirri, Gianni Leone e Enzo Velati, questi ultimi due operanti a Bari; la presentazione critica fu scritta da Arturo Carlo Quintavalle mentre un’altra presentazione di carattere più letterario fu realizzata dallo scrittore Gianni Celati, da sempre un autore attento agli aspetti del paesaggio. I fotografi chiamati per l’occasione furono 20: Barbieri, Basilico, Battistella, Castella, Cavazzuti, Chiaramonte, Cresci, Fossati, Garzia, Guidi, Ghirri, Hill, Jodice, Leone, Nori, Sartorello, Tinelli, Tuliozi, Ventura e White. (Catalogo Viaggio in Italia, Il Quadrante, Alessandria 1984, esaurito e non più ristampato).

Oltre a Monti, tra la fine degli anni sessanta e i primi settanta, altri più giovani fotografi, influenzati anche dalle esperienze artistiche di quegli anni, avevano guardato con problematicità alla questione del paesaggio sino a toccare posizioni che si potrebbero definire concettuali: tra questi Ugo Mulas e Mario Cresci. Ancora Quintavalle, al proposito:
«Dunque ricerca concettuale? Che cosa intendere con questa frase? Lo spazio, l’intervallo tra l’idea della fotografia e il suo realizzarsi […] L’idea insomma è che la fotografia sia idea della fotografia, dunque riflessione sul fare l’immagine, dunque ripensamento dell’immagine e completo ribaltamento, si comprende bene perché, della precedente fotografia.
Il Bel Paese dunque, con Viaggio in Italia, viene finalmente rivisitato secondo nuovi canoni fotografici: non più gli aspetti noti, preponderanti, del classico paesaggio italiano, sia inteso come panorama che come visione urbana, ma un’attenzione meticolosa, a volte critica, a volte ironica, su aspetti apparentemente marginali o meno conosciuti del mondo che ci circonda. Irrompe inoltre, nell’uso stilistico di molti autori, l’uso del colore che a una prima lettura potrebbe apparire maggiormente realistico ma che spesso invece raggiunge risultati stranianti, metafisici, surreali. I fotografi di Viaggio in Italia propongono soggetti nuovi, meno importanti secondo una vulgata comune: strade importanti o secondarie con il loro ordinario paesaggio, comuni oggetti di arredo urbano o paesaggistico, elementi minori del grande patrimonio architettonico e artistico, situazioni poetiche costruite sulla semplicità del normale quotidiano.
Per tutti questi motivi Viaggio in Italia è considerato oggi, a distanza di quasi trent’anni, una tappa fondamentale, anche da un punto di vista emblematico, nello sviluppo di una nuova fotografia italiana del paesaggio.

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Nato nel 1950 nel Salento, Pio Tarantini ha compiuto studi classici a Lecce e poi Scienze Politiche all’Università Statale di Milano, dove vive dal 1973. Esponente della fotografia italiana contemporanea in quanto autore e studioso ha realizzato in quasi cinquanta anni un corpus molto ricco di lavori fotografici esposti in molte sedi italiane pubbliche e private.
La sua ricerca di fotografo eclettico si è estesa in diversi ambiti, superando i vecchi schemi dei generi fotografici a partire dal reportage, al paesaggio, al concettuale… Leggi tutto
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