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2.1 Sulla fotografia della compassione. L’iconologia dei campi di sterminio nazisti

di Pino Bertelli

Francesco Caro,
non è cosa di poca fatica ma di estrema curiosità, forse c’entra anche la fotografia… non so bene…
quando si studia molto la tecnica fotografica, gli obiettivi, le fotocamere, i premi fotografici e si sogna di ascendere a Life, Vogue o alla collezione delle figurine Panini… 
credo che non si capisca più niente della fotografia, ma tutto dei suoi derivati… e poi è così bello sentirsi autori, perfino col copyright, nessuno ti può rubare nulla, solo qualche mercante! Lui può! Ti rende un fotografo di fama! Accreditato anche a parlare di se stesso e della propria arte fotografica come l’ultimo dei mentecatti!…
Quando mi trovo ad ascoltare un fotografo che dice: “La mia fotografia”, il mio “stile”, la “bellezza che sono riuscito a fotografare” o “ho preso l’attimo fuggente”…
mi sento di trovarmi davanti a un cretino!
Lo dico per somma invidia e incapacità personale a credere che una messe di imbecilli così variopinta si creda depositaria della cultura fotografica…
ora, siccome sono un fotografo di FAME internazionale… e non riesco a cadere nella maniera, e penso che la filosofia dell’Asino Platero sia tra le più alte mai vista sulla faccia della Terra… non amo che i magnifici randagi della fotografia… non sono molti…
e siccome Smith è scomparso, Arbus si è chiamata fuori dalla vita, Sander è morto e anche io non sto troppo bene… come si vede… 

trovo che il tono della fotografia mercatale sia intollerabile… e vado a passeggio con Lewis Carroll nel suo Paese delle Meraviglie… 
e non so, davvero non so, amico di cuore, come tu faccia a sostenere le mie visioni estreme dell’esistenza…
in questo mi sento davvero fortificato e come San Paolo di Tarso, resto fulminato della tua amicizia, tenerezza, fraterna amorevolezza per un cane bastardo, perduto e senza collare, “come io”, direbbe Marilyn Monroe, mentre fa l’amore con uno sconosciuto perché aveva chiamato i suoi gatti, Rilke, Nietzsche e Joyce…
qui tua moglie Anna, sorride… poiché sa che non c’è niente di peggio di un saggio, solo un irreprensibile lo supera! La violenza delle parole, specie dei fotografi, è sofferenza, e non è facile simulare la sofferenza!, diceva… io non attizzo nessuna ferita negli altri, poiché è solo la mia che sento! “Per colui che vede, nulla resta” (Buddha), l’ho appena letto, in malo modo, come tutto… Grazie amico caro, grazie ancora… di tutto e di tante cose che mi fanno commuovere di te, di me, di noi…
ti abbraccio forte con chi ami e chi ti ama, Pinocchio

P.S. (non ho mai capito cosa voglia dire P.S., però fa fino dirlo, sembra una cosa intellettuale di un certo livello, tutti capiscono, meno io… si vede che mi rifiuto di leggere Roberto Saviano sulle mafie o seguire corsi di fotografia che uccidono anche l’ultima briciola di cervello non di un fotografo, ma di una rana… ecco perché sto bene solo in compagnia di disadattati! Sono attratto dall’ignoranza! perché l’ignoranza si può anche sconfiggere con studi inadeguati, la stupidità mai!).

“L’amore e la compassione nel Buddhismo sono due aspetti di un’unica identità. Il buddhismo definisce l’amore come un forte desiderio che aspira a raggiungere la felicità per tutti gli esseri senzienti e la compassione è lo stato della mente che desidera che ogni essere sia liberato da tutte le sofferenze o dolori, rendendo la loro sofferenza parte della propria. Ed è la grande compassione la radice di ogni saggezza”.

questa frase mi è stata data in sorte da quella ragazza dalle parole accorciate, immagini impoverite,

il corpo indebolito, che parlava in amore e ascoltava nella notte strisciata di neve,

il Concerto d’Aranjuez di Joaquín Rodrigo…

I. Lee Miller. Sulla fotografia della fragilità

1. Il solo ebreo buono è quello morto!

Ouverture. In principio è stata la musica straziante d’amore dell’Aranjuez di Rodrigo (che divenne cieco a tre anni e trovò la “vista” nei giardini di Aranjuez), il Bolero di Ravel o Lascia ch’io pianga di Händel… che hanno accompagnato la nostra visione sulla compassione dell’iconologia dei campi di sterminio nazisti

Non abbiamo mai compreso bene il perché sentivamo in questa comunione atea, per niente mistica, la Via che conduceva alla fine della sofferenza… c’era qualcosa di misterico, profondo o magico che tendeva alla liberazione di tutti gli esseri umani dalla caducità dell’esistenza e portava alla realizzazione libertaria della felicità… non conosciamo a fondo i testi buddhisti, sappiamo comunque che compassione, pietà o misericordia sono sinonimi, ma per il cristianesimo la compassione consiste in questo (come si legge in qualsiasi Bibbia) — « Gesù percorreva tutte le città e i villaggi, insegnando nelle loro sinagoghe, annunciando il Vangelo del Regno e guarendo ogni malattia e ogni infermità. Vedendo le folle, ne sentì compassione, perché erano stanche e sfinite come pecore che non hanno pastore », è Matteo (9,35-36) che parla per bocca del suo pastore –… conversioni e convincimenti attraverso l’aspersorio e il cannone deputeranno il prestigio acquisito (nella storia) della Santa Romana Chiesa!

I pubblicani, le prostitute e i malfattori desteranno la compassione di Gesù, ma per entrare nella casa del Signore dovranno redimersi alle Leggi del Regno del Signore! Basta leggere la Lettera enciclica sulla fraternità e l’amicizia sociale di Papa Francesco, per comprendere la doppiezza teologale/gesuita dell’argentino… quando a proposito della Shoah dimentica il silenzio e la compromissione della sua Chiesa e di Papa Pio XII[1] nei confronti dello sterminio degli ebrei: “Ricordati di noi nella tua misericordia. Dacci la grazia di vergognarci di ciò che, come uomini, siamo stati capaci di fare, di vergognarci di questa massima idolatria, di aver disprezzato e distrutto la nostra carne, quella che tu impastasti dal fango, quella che tu vivificasti col tuo alito di vita, Mai più, mai più Signore, mai più”.[2] In verità, ci viene da dire… ci vuole più “coraggio” a chiedere misericordia al Signore che spezzare i dettati e le sentenze dell’ingiustizia di una corporazione che ha sostenuto predoni e assassini di vaglio! La Chiesa cattolica (come quella ebraica e musulmana, del resto) poggia i propri consensi sull’appigliarsi ancora al “male” degli eretici, antisemiti e infedeli: « La canaglia delle persone “istruite”, che si rallegra del sudore degli eroi! », Zarathustra, diceva[3], detta il mestiere della sudditanza e porta a una vita di obbedienza e di guerra.

Il vissuto della compassione buddhista (Bodhisattva), ci sembra, è un’accezione che più si avvicina al concetto d’illuminazione di se stessi in aiuto al raggiungimento d’illuminazione degli altri, sul cammino della pace e dell’amore universali![4]
… significa sperimentare il desiderio del bene nei confronti di ogni comunità… una filosofia dell’umano che si fonda sulla percezione di sé in rapporto a tutto quanto l’avvolge… è la realtà ultima o la prima che invita a una vita libera. “Se labbra e vento non schiudono il boccio per imperlare la storia del sole, allora guardo la ciglia cadere nel piatto mentre la fascia d’azzurro impagliato sigilla il suo volo d’amore e di bellezza. Corre la strada ferrata fino al fiume e io cerco incerta l’armonica di primavera nell’arcano fiorito giardino. Eppure gemmando potevi aspettarmi. Latenza non voglia che rosei ciliegi in arrivo celino il canto, perché io continuo a sfogliare” (Valeria Pietrunti, da qualche parte)… il profumo del fiore di ciliegio resta addosso fino alla fine dei tempi, anche quando muore o si dissolve come seme nel vento e diventa un’unica cosa con la terra… là dove finisce il rigore, la morale, il dovere imposti, comincia l’uomo e il canto in amore o la melodia della fraternità (unica e insostituibile) che mette fine ai commedianti della “grandi cause”… il risveglio sta nell’innocenza che sa di non sapere cosa sia l’innocenza, disse Zarathustra all’asino… lascia che i fanciulli, gli uomini, le donne intraprendano la saggezza dell’asino e non ci sia più differenza tra devoti e pazzi! Un’altra compassione!
 

La felicità è un silenzio troppo a lungo sopportato… la fine dell’afflizione che saluta lo stupore e la meraviglia dell’uomo migliore che ha attraversato il Maelström della gioia a vivere[5] e si è portato dietro le semenze di una nuova rifioritura dell’umano… non vi può essere nessuna compassione senza incontrare la saggezza dell’eresia! La messe di fotografie sui campi di sterminio nazisti non deve cessare d’inorridire e i fotografi al seguito delle truppe alleate sono stati molti, e molti i soldati sconosciuti (nazisti, sovietici, anonimi) che hanno fotografato la storia e la memoria della Shoah… oltre, s’intende, ai fotografi-prigionieri che hanno documentato l’Olocausto all’interno dei campi. Gli studiosi hanno calcolato che sono oltre due milioni le immagini della Shoah e documentano la catastrofe di un popolo più esacerbata della storia dell’umanità.

L’odio antisemita però viene da lontano e la chiesa cattolica ha sempre considerato il popolo ebraico una peste da cancellare dalla faccia della Terra. “L’idea di sterminare gli Ebrei prese corpo in un lontano passato, tanto che se ne può rintracciare un’allusione nella famosa omelia di Lutero contro i Giudei. Ma è solo con la formazione del Terzo Reich che la suggestione di una distruzione totale si insinuò sempre più in tutta la società tedesca, assumendo una forma più definita. Inesorabilmente, si formò una macchina destinata a condurre a buon fine lo sterminio, costituita da un dispiegamento di uffici militari e civili, centrali e periferici, all’interno dei quali ogni impiegato e funzionario, rispettando le proprie responsabilità, si adoperò a definire, classificare, trasportare, sfruttare e assassinare milioni di vittime innocenti, e tutto come se nulla distinguesse la soluzione finale dagli affari correnti”, dice Giulio Einaudi in apertura del saggio di Raul Hilberg, La distruzione degli ebrei d’Europa, pubblicato nelle sue edizioni[6]… Hilberg scrive che i missionari del cristianesimo dicevano ai popoli convertiti: « Se rimanete Ebrei, non avete il diritto di vivere tra noi », i capi secolari della Chiesa avevano sentenziato: « Voi non avete il diritto di vivere tra noi », infine, i nazisti tedeschi decretarono: « Non avete il diritto di vivere ».

La detestazione degli ebrei è una scelta dell’odio verso un popolo, poiché l’odio è una fede, l’antisemita sceglie di svalorizzare le parole e le ragioni… per “l’antisemita l’ebreo insozza perfino l’aria che respira”, Jean-Paul Sartre, annota in un acuto saggio sull’antisemitismo[7]. Di contro, la critica radicale del capitalismo ebraico e dell’intero genere umano di Louis-Ferdinand Céline in Bagattelle per un massacro[8], è indisponente quanto oltraggiosa… un’invettiva che deborda contro i legislatori di Wall Street, quanto nel comportamento autoritario degli israeliani nei confronti dei palestinesi… tuttavia neppure Sartre sembra un abatino del socialismo proletario… a quanto scrive il filosofo Michel Onfray di Simone de Beauvoir e Sartre, sulle loro alcune sporadiche apparizioni su riviste “collaborazioniste”[9]… a nostro avviso, e per quello che vale, non ci sono razze inferiori né superiori, ma solo uomini e donne che possono aspirare e costruire (con qualsiasi mezzo utile) un mondo più giusto e più umano.

Di là dalle premesse insolenti o sfacciate utopie, per una semplice entratura nell’iconografia della Shoah, possiamo rimandare alla lettura di Even. Pietruzza della memoria. Ebrei 1938-1945, di Adriana Muncinelli[10], è uno dei primi studi che narrano con rigore e passione civile le storie di chi si è salvato e chi è stato deportato nei campi di sterminio, e anche gli episodi di chi ha tradito e venduto i propri concittadini ebrei ai nazi­fascisti… insieme a Se questo è un uomo di Primo Levi[11], La distruzione degli ebrei d’Europa (aggiornato a 3 volumi) di Raul Hilberg[12], Diario 1941-1942 di Etty Hillisum[13] e il documentario-fiume Shoah (1985) di Claude Lanzmann… affermano che per molte nazioni e popoli, il solo ebreo buono è quello morto!

Le prime fotografie dei lager furono scattate, per caso, dagli aerei di ricognizione degli eserciti alleati…le immagini fatte dai fotografi militari in occasione della liberazione dei campi, iniziarono a circolare nel 1944… fino a diventare conosciute il 28 aprile 1945, quando il The Illustrated London News mostra il generale Eisenhower in mezzo alle vittime nel campo di Ohrdruf… seguirono diverse mostre di fotografi/documentaristi o corrispondenti della stampa che si erano avvicendati nei campi… i fotoreporter più accreditati furono Lee Miller, Margaret Bourke-White, George Rodger, John Florea, William Vandivert… a causa della “guerra fredda” molte fotografie fatte dai militari sovietici vennero “censurate” o non fatte circolare dalle stessa Unione Sovietica… lo stalinismo era ancora grondante di sangue dei dissidenti e i partiti comunisti (specie quello italiano) ancora legati ai finanziamenti del comunismo al potere[14], tentarono di coprirne gli assassinii.

Se si vuol cogliere nel segno, non solo in fotografia, bisogna lodarne i difetti, mai le qualità. Per fare una fotografia dell’umano, il segreto più importante e il più tradito, è quello di scendere più in basso possibile nelle gradazioni sociali… là dove pensatori, critici, storici, studiosi, fotografi di tutte le varietà non si addentrano… dove la mescolanza di Dio, dello Stato e dell’Industria culturale con l’intollerabile, giustifica vittorie, glorie e massacri nella catalogazione dell’ordinario. Le bare, le fosse comuni, gli eccidi rientrano nel senso degli affari e sono utili per tesi di laurea dei nuovi palafrenieri dell’ordine costituito… siamo propensi a credere che in ogni uomo irreprensibile si celi il tiranno che vorrebbe essere, quantomeno il burocrate che passa di privilegio in privilegio sull’onda dei governi!

Ciò che importa non è chi comanda o impera, quello che vale è che i servigi resi siano all’altezza delle vigliaccate commesse contro gli indifesi, i raggirati, gli inculati a vita… che bello!  come certe Madonne, che appaiono un po’ puttane e un po’ maestrine… i crucchi del potere lavorano sugli emendamenti, i codici, le proibizioni e tessono elogi all’utilitarismo che li premia… in cambio, basta solo che facciano della desolazione una ribalta da nazisti in gita… non camuffano nemmeno le proprie vergogne, perché tra gente senza vergogna la sola cosa che conta è la capacità di produrre il male e farla franca! Quando s’incontra qualcuno di un certo lignaggio, spaccato a tutti i voleri del potere che lo tiene a libro paga, bisognerebbe fargli il favore d’impiccarlo! Tutti coloro che fanno il male in questo mondo, specie gli alabardati che difendono gli assassini di professione arroccati su scranni e altari, non si sono mai allontanati dai Santi… hanno benedetto i loro nomi sul sagrato dell’obbedienza e anticipato il tempo in cui solo i ricchi hanno ragione e i poveri torto in tutto, specie quando si mettono in testa che l’ingiustizia si deve pagare con la giustizia, alla maniera di certi banditi di confine… con la lama alla gola!

Le definizioni hanno fatto più vittime dei fucilatori, e prima o poi ci sarà una kabbalah degli sfrontati che ne detteranno la fine! Lo dicono le leggi dell’universo! Di là dal misticismo esoterico che l’avvolge, la kabbalah chassidica contiene la dimensione nascosta, l’ispirazione al rinnovamento dell’uomo in rapporto col mondo… e solo attraverso la kabbalah“potremo eliminare per sempre la guerra, la distruzione, e la crudeltà dell’uomo verso i suoi simili”!, ha scritto Abraham ben Mordecai Azulai (1570-1643, rabbino e religioso marocchino), forse… ci basta! La saggezza della verità è una scintilla d’amore dell’uomo verso i suoi simili e distinguere il bene dal male e porvi rimedio, è compito di anime superiori. Questa è la sola consapevolezza che ci è dato sapere… la storia dell’uomo libero nasce dai mietitori di sapienze raccolte, precursori di sentieri in utopia che conducono all’albero della vita, dove ciascuno è quello che è, e l’eresia sta nella possibilità di modificare se stesso e il mondo intorno a lui! La guida dei perplessi di Maimonide, La Kabbalah e il suo simbolismo di Gershom Scholem, Il cammino dell’uomo di Martin Buber o, più ancora, Gnosi e spirito tardo-antico di Hans Jonas[15], possono essere un viatico per armare l’intelligenza e permettere all’uomo di tornare a se stesso… i rammendi non servono… finché resterà in piedi un solo simulacro d’empietà (di scellerata malvagità), il compito dell’uomo non sarà finito.

2. Li-Li nella vasca da bagno del Fuhrer

La memoria e la storia dei campi di sterminio nazisti ha inizio (se vogliamo essere benevoli) nel 1945, con la scoperta di Ohrdruf, Nordhausen, Buchenwald, Bergen-Belsen, Sachsenhausen, Dachau, Ravensbrück, Mauthausen, Auschwitz… Eisenhower “s’accorge” di ciò che già da tempo circolava nelle ambasciate USA, Gran Bretagna, Svizzera, Stato Vaticano… e cioè l’esistenza di campi in cui sono detenuti “prigionieri politici in condizioni indescrivibili”, telegrafa Eisenhower a Washington… l’indignazione mediale s’allarga, il pietismo ha sempre un suo corrispettivo nelle indulgenze, quanto nelle preghiere del mattino all’uscita dei giornali… la commiserazione prende il posto delle responsabilità e nessuno si chiede perché una sola bomba degli alleati non sia mai caduta sui binari che portavo gli ebrei alla mattazione (“non era prioritaria”, si afferma in certi documentari)… le sofferenze degli altri, si vede, assolvono i peccati di tutti, fintantoché la disumanità non viene fotografata o filmata in tutta la sua spietatezza… quando il crimine è ormai commesso, l’elegia dei “buoni sentimenti” sostituisce la verità con la speranza! Diffidare delle “persone dabbene”, non aspettarsi mai nulla dalla loro inclinazione spirituale, se non un nuovo avvelenamento esercitato sugli indifesi, gli esclusi, gli ultimi… il sorriso delle iene è un ghigno che subentra dopo lo sventramento delle prede!

Nel luglio del ’45, una ragazzina di appena dodici anni, acquista un libro di fotografie in una libreria di Santa Monica (USA)… sono immagini di Bergen-Belsen e Dachau… resta fulminata di tanto dolore: “Quando guardai quelle fotografie — racconterà poi —, qualcosa si spezzò. Avevo raggiunto un limite, non era solo quello dell’orrore: mi sentii irrevocabilmente afflitta e ferita, ma una parte di me cominciò anche a indurirsi; qualcosa si spense; qualcosa piange ancora”, quella ragazzina si chiamava Susan Sontag, diventerà una delle più radicali saggiste della cultura americana[16]. Nei suoi taccuini scritti tra il 1958 e il1967… si colgono gli umori politici del tempo, gli amori, l’omosessualità, la benzedrina… e nella privatezza di diari e fogli sparsi oltrepassa la soglia della narrazione e appunta:“L’orgasmo è la salvezza, adesso mi amo e posso scrivere”[17]. La verità è l’enunciazione della menzogna denunciata! Un’erranza del proprio sentire che si riprende la verità smarrita e ne fa testimonianza di sé… ed è il silenzio che il poeta aggancia alla parola o all’immagine… Auschwitz è il tempio del silenzio interrotto e porta là, dove non c’è grammatica né scrittura, solo silenzio come morte annunciata! Destituire il silenzio è un compito arduo… poiché l’immagine del silenzio, della fragilità, della forza ne recupera la grazia e inchioda i colpevoli alla sbarra della storia.

Nel suo libro, Davanti al dolore degli altri[18], la Sontag studia il ruolo dell’informazione nelle società contemporanee e come vengono trattate le notizie di distruzioni, bombardamenti, violenze su uomini, donne, bambini sacrificati di guerre che non vogliono ma che subiscono… e s’interroga come il dolore degli altri non sia che uno spettacolo che influenza la percezione dei fruitori. La realtà fotografica è il velo attraverso cui percepiamo la vita, ciò che possiamo o non possiamo fare… occorre strappare la fotografia dal suo contesto storico, trovare un’identità creativa, non storica, una creatività come via di uscita dalla storia come sommatoria d’esistenze spezzate! La fotografia imbalsama la morte e la celebra al contempo… e spesso non che è una messa in scena, come l’immagine di Eddie Adams, quando nel febbraio del 1968, fotografa il capo della polizia sudvietnamita, il generale di brigata Nguyen Ngoc Loan, che uccide un sospetto vietcong in una strada di Saigon[19]… il prigioniero aveva le mani legate dietro la schiena e venne portato davanti ai giornalisti e fotoreporter… venne messo in “bella luce” a favore della fotocamera e Loan spara a bruciapelo (un cinegiornale ne attesta la veridicità)!… quando si è esaurita la pietà in se stessi, s’acquista quella serenità da imbecilli che fa scuola! Eddie Adams con quella fotografia prese il premio Pulitzer, alla morte di Nguyen Ngoc Loan, il fotografo lo chiamò “eroe” per una giusta causa, non assassino!

Schiere di imitatori hanno perseguito la via insanguinata di Adams e mostrato un umanesimo d’accatto, appoggiato a riconoscimenti internazionali… tanto onore e tanta gloria per un coglione come Adams sono ben accreditati… come dicono le immagini che poi ha fatto sulle dimostrazioni contro la guerra nel Vietnam, Madre Teresa di Calcutta, Fidel Castro, Ronald Reagan, Clint Eastwood, Malcolm X, Bette Davis o Jerry Lewis… tutta roba dozzinale… soltanto i cattivi fotografi esercitano una grande influenza… lo stato morboso degli ottimisti lo dice… preferiscono uccidere e far uccidere per non essere ignorati o dimenticati! Abbiamo notato però che nei fotografi, nei fotoreporter di guerra specialmente, c’è una certa carenza mentale che li induce ad arrivare alle copertine di Life, Vogue o similari… lì trovano sostegno alla mancanza di carattere che li contraddistingue… gli ambiziosi non si rassegnano all’oscurità, se non dopo che qualcuno non l’impicca con la fotocamera sui resti della sua casa… escono così i martiri della fotografia… importante è evitare la tristezza di essere capiti! Le stigmate del successo mostrano che nessuno può fare niente d’importante, senza crudeltà. Non ne vogliamo mangiare di questo pane!

Ci piace pensare che tra le immagini dell’Olocausto viste da Susan Sontag nel 1945, ci fossero anche quelle di Lee Miller… una fotografa dalla grazia fragile, quanto forte… uno sguardo coraggioso, a volte impudente, angelico mai! Nelle sue fotografie dei campi non ci sono gemiti gratuiti né insincerità del tragico… semmai la visione di un linguaggio fotografico che defluisce nello spoetizzare una prosa sacrificale… i mucchi di cadaveri che in diversi casi hanno “affascinato” i fotografi della liberazione… la composizione dei corpi, l’abrasione dell’orrore archiviato, il biancore di scheletri ammontinati dalle ruspe o sui carretti che trasportavano le vittime alla sepoltura… non riguardano la visione documentale della Miller… le sue fotografie non presuppongono aggettivi incerti… scavano nei segreti della bellezza profanata, quasi a dire che è tipico dei carnefici abusarne! Detto meglio… la fotografia fragile della Miller parla del male fatto alle anime di uomini, donne e bambini colpevoli solo d’essere ebrei! Le sue immagini fragili-forti (che designano l’architettura poetica del passaggio emozionale alla separatezza dal dolore su qualcosa che è bruciato per sempre), detergono le destestazioni che le hanno dettate! Poiché senza la comprensione della sofferenza universale, tutto il resto non è altro che una lavanderia del vero che porta all’Apologia dell’odio.

Ma chi era Elizabeth “Lee” Miller? Le dossologie più accreditate dicono che a sette anni subisce una violenza sessuale… da un parente, un mariano o dal padre Theodore… non ci furono denunce ma smentite del figlio della Miller… certo è che le immagini nude della Miller ragazzina fotografata dal padre nella neve o in altre pose piuttosto ambigue (autoritratti della Miller sulle gambe di Theodor), potevano suscitare pruriti ai censori dell’epoca… la ragazza frequenta l’École nationale supérieure des beaux-arts e a 19 anni si iscrive alla Art Students League di New York per studiare scenografia e illuminazione… mentre camminava a Manhattan, dicono (ma anche se non fosse vero va bene ugualmente), stava per essere investita da un’auto e un passante le salvò la vita, era Cond é Nast, editore di Vanity Fair e di Vogue. La Miller era bella, vestita bene e di buon portamento… Nast le fece un contratto e la iniziò alla professione di modella. I maggiori fotografi di moda del tempo (Edward Steichen, Arnold Genthe, Nickolais Muray, George Hoyningen-Huene…) la fissarono nell’immaginario elitario del momento… quando Edward Steichen la usò per una pubblicità di assorbenti, ne uscì uno scandalo e la Miller mise fine alla sua carriera di modella, sembra (lo “scandalo” è quasi sempre costruito ed è scandaloso credere che qualcuno ci creda).

La fotografia di Steichen mette a figura intera la modella in una posa da cinema muto, piuttosto evanescente e l’affianca al prodotto… lo “scandalo” non è il contenuto della fotografia ma la fotografia stessa… non abbatte nessun tabù, come è stato detto, né suscita alcuna riprovazione… è il ritratto, nemmeno ben fatto, di una donna ammorbata nel nero che pare capitata lì per caso e ha perso un assorbente per terra… un po’ poco per abbandonare il prestigio conseguito in pose che sovente hanno del ridicolo… sedute in controluce su divani, poltrone, cilindri… dove l’algida Miller, spesso di profilo, lascia traccia di sé incartata in vestiti, collane, cappelli o nuda da suscitarne la santità… è la solita resurrezione del corpo attraverso lo stilista che pensa di fare la “rivoluzione” (come dicono in chiusura delle passerelle o nelle interviste) attraverso un vestito di seta.

Il marchio, il timbro, la personalità di uno stile che è solo un affare per pochi e una fascinazione deformante per tutti quelli che sono sprovvisti di fantasia… è come una confessione, la menzogna fa parte del paesaggio e dell’assoluzione! La cosa incredibile è che si possa aderire alla faziosità di questi sarti del bello e confonderli con una sorta di genio… non ci si può dedicare a vestire l’“alta società” (capi di Stato, vescovi o divi) senza pensare mai che non sanno nemmeno pisciare controvento… le persone più interessanti e vere che abbiamo mai incontrato (ubriaconi, illetterati o poeti) credevano che Armani, Dolce & Gabbana o Versace fossero pescatori di rane bollite, tuttalpiù degli artisti che avevano raggiunto il successo col mercato nero… quando ho detto loro che si trattava di vestiti, profumi, gioielli e creme per la pelle… hanno risposto: “Non c’è limite alla spudoratezza!… preferiamo leggere Epicuro, Saffo, Giobbe o Buddha, dopo solenni sbronze, che essere schiavi di un vestito o di un profumo… nessun genio ha diritto di usare tre aggettivi di fila, diceva… ma non ricordo chi?… le divise non portano bene… che siano fatte per una classe, una chiesa o una polizia, non appena esistono qualcuno resta ucciso!

I creatori sono sempre sospetti, anzi colpevoli di evanescenze che portano al delitto! Specie se ne sono inconsapevoli! Però uno stile ce l’hanno… quello della recita del genio… che comincia e finisce nell’immacolata concezione del bello col conto in banca che ne consegue, mancano di singhiozzi però per quelli che non hanno più lacrime… basta una fondazione a rimediare e fare dell’arte il magazzino alla portata di tutti, compresi gli ingenui. A questo punto… ci siamo sbalorditi… ma come è possibile, ci siamo detti, tanta impudenza nei confronti dell’efficienza mondana… è una volgarità parlare a un così basso livello di tanta sovranità culturale… poi, pensandoci bene, ci è venuto in sorte cosa diceva mia nonna partigiana: “La felicità non è un rimedio alla mediocrità, anzi l’aggrava! Non c’è felicità di una persona se anche tutti gli altri non sono felici!”. Aveva ragione. Appena sono comparsi i burocrati del potere, sono scomparsi i fiori! Ci siamo persi, ancora una volta. Come sempre ci capita quando si tratta di soffermarci sulla subordinazione degli scarafaggi al mantenimento della corruzione orchestrata nella politica, nella fede e nei saperi! Moriranno tristi, stupidi ed eleganti! ma lo sanno solo loro! Peccato… eppure qualche volta i loro sorrisi-cerniera hanno conosciuto le lame dei grandi guerrieri-samurai che come una brezza primaverile, hanno tagliato le loro declamazioni! E tutto questo per dire che non c’è niente di peggio di un uomo di potere che sa d’essere solo un mallevadore di cadaveri!

Cerchiamo di riprendere la dritta via sulla fotografia fragile di Lee Miller, detta Li-Li. La Miller nasce a Poughkeepsie(New York) il 23 aprile del 1907… sin da bambina è attratta dalla “scatola magica” che vede nelle mani del padre… dice: “Preferisco fare una fotografia che essere una fotografia”, e dopo aver fatto la musa di fotografi d’alto lignaggio mercatale, nel 1929 va a Parigi come assistente di Man Ray… fotografo anarchico o Dada o surrealista o solo Man Ray… nasce un grande amore… libertino e libertario… conosce l’ambiente intellettuale dei surrealisti… e Pablo Picasso, Max Ernst, Paul Éluard, Jean Cocteau… per Cocteau recita nel film Le sang d’un Poète (1930), è una statua che prende vita… le fotografie metafisiche/concettuali/oggettuali che produce sono abili… nudi, controluci, solarizzazioni, giochi di specchi… i soggetti sono isolati o trasfigurati in angolazioni particolari… lo studio della forma si riversa nel contenuto, ma non sempre il contenuto è robusto o espresso quanto la fotografa crede… anzi, ci sembra che in certi nudi-metafore, sovrimpressioni… esulcerano frammenti estetici che aveva conosciuto/interpretato come modella… quella scrittura fotografica “classica”, insomma, contaminata da elementi di disturbo o d’attrazione (maschere, lampadari, veli, palle di vetro)… che rendono inevitabile il ritorno all’ammirazione dell’opera che non ha niente o poco a che fare con i fondali /abissi inesplorati della fotografia che non vuole sedurre, ma invitare a vivere sganciati da qualsiasi mitologia del consenso!

Nel 1930, in piena depressione economica, torna a New York e apre uno studio di fotografia che funziona… poi sposa un ricco egiziano e va a vivere al Cairo… le fotografie di quel periodo non sono memorabili… nemmeno cartoline, però… riflettono una stato d’animo malinconico, se non triste o d’annoiata insofferenza borghese… vicina alla depressione… alla fine degli anni Trenta ritorna in Francia… s’innamora del collezionista d’arte moderna Roland Penrose (che sposerà nel 1947)… allo scoppio della seconda guerra mondiale lo raggiunge a Londra… la sua fotografia si fa più fitta di segnali sociali… s’accosta alle donne che difendono la loro isola mentre gli uomini sono al fronte… fotografa modelle nelle rovine dei bombardamenti e si vedono i pregi compositivi e inquadrature perfino ricercate… l’attenzione già ai particolari, ai dettagli che impiumano le immagini in un mondo altro… e tutto è superiore persino al rimpianto di un talento che impara sempre meno cose per dire di più e meglio del nulla o del molto di ogni cosa… qui, insomma, proprio nelle immagini londinesi, la Miller spazza via la letteratura, la filosofia, la religione come delizioso sonnifero dell’uomo, della donna, fasciati nell’indistizione tra bene e male… sembra dire che le persone comunicano tra loro nel bisogno di essere ammirate, mai di essere uguali! Chi fotografare se non l’uomo, la donna in difficoltà?… chi di più merita di essere ucciso dalle sue scelte? Un fotografo capito è un fotografo sopravvalutato! Non c’è niente di più tragico che cercare la fotografia e non d’inventarla! La grande fotografia non ha bisogno di originalità, ma di verità!

Negli anni ’40-’50… la Miller venne indagata dal servizio di sicurezza britannico (M15) perché sospettata di spionaggio per conto dell’Unione Sovietica… non venne accertato niente… le sue immagini fragili-forti intanto le procurarono considerazione e fama… alcune furono selezionate per l’esposizione The Family of Man (curata da Steichen) e prese parte a pubblicazioni, interviste radiofoniche, lezioni universitarie… la sua vita fu proposta in un musical e uscì anche una biografia romanzata… mancava che fosse esposta in un concerto per clarinetto di Mozart per infilare uno spirito libero in qualche forma speciale di vanità… ma Li-Li non ne terrà in gran conto… quando muore di cancro, a Chiddingly (un villaggio dell’East Sussex, Inghilterra, il 21 luglio 1977), lascia non solo i ritratti materici di Pablo Picasso, Max Ernst, Colette, Maurice Chevalier, Fred Astaire o Marlene Dietrich… ma soprattutto quel pugno d’immagini di Buchenwald e di Dachau che figurano il romanzo della contemporaneità di una donna che ha fatto la fotografia, senza il cattivo gusto dell’adorazione di sé!

A ritroso. Nel 1945,’ex-sofisticata modella (la sua bellezza nobiliare l’accompagnerà anche nei campi nazisti), impugna la fotocamera, indossa la divisa d’ordinanza, va al seguito delle truppe alleate e fotografa la Battaglia di Normandia, la liberazione di Parigi ed è tra i primi fotografi a documentare le atrocità di Buchenwald e Dachau… qui scatta alcune immagini di una tale profondità etica che la renderanno, a ragione, un’interprete della fotografia sociale e senza nessuna ombra di sensazionalismo macabro, semplifica la verità di tutti i vinti in un canto d’amore! Se andiamo a vedere le immagini di compassione della Miller a Buchenwald e Dachau — l’uomo impiccato col filo di ferro, i morti accatastati nel vagoni merci o quelle prese nelle baracche —… si denota il respiro di umanità del fotografato e la realtà diventa universale… le inquadrature frontali o “sfilate” sono colme di malinconia e diventano specchio-memoria di una vergogna imperdonabile! Non c’è apogeo del dolore, bensì la consapevolezza di una piaga aperta che come un libro di grammatica ripete se stessa e sembra dire: bisogna cercare di capire e non permettere che tutto ciò che cade davanti alla fotocamera non avvenga mai più!

A vedere più da vicino le fotoscritture della Miller a Dachau e Buchenwald, o quelle dei suicidi dei militari tedeschi… contengono la medesima  visione della realtà… nulla al di sopra, nulla al di sotto delle linee d’orizzonte umanistiche, egualitarie… il giudizio rimane sospeso tra la tragedia dei campi e l’autouccisione… la fotografia della Miller mira a realizzare un piano poetico in cui le differenze sono cancellate o riportate alla coscienza ordinaria degli aguzzini e alla soggezione devastata delle vittime… il gesto, la sovranità, la sfida o lo stile regale della Miller si sovrappongono all’identità ritrovata dei deportati e all’incapacità della visione totalitaria dei despoti di sopravvivere ai propri fallimenti… i volti, i corpi, gli sguardi dei prigionieri sono presi nella loro identità spirituale e i soldati che si sono dati la morte, come immagini/specchio di esistenze dilaniate nel mimentismo dell’obbedienza… la retorica dell’impotenza uccide se stessa e l’intimità o le ragioni di una collettività risorgono sull’uso della parola, dall’immagine, dell’identità che si riprende il diritto alla vita.

L’iconografia della compassione della Miller, decifra il senso della storia nazista e la fatalità o il delitto che spinge l’uomo ad agire contro l’uomo per un credo, una convenienza o un partito… ebrei, zingari, omosessuali, dissidenti, gesuiti, testimoni di Geova… e tutti quelli che puzzano d’eresia, sono avviati all’esecuzione sommaria… e tutto questo perché un imbianchino asceso al potere ha detto in un libro che ci fa ribrezzo, Mein Kampf  (tanto che lo teniamo vicino alla spazzatura): “Gli ebrei sono indubbiamente una razza, ma non sono umani (…) Dobbiamo essere crudeli, dobbiamo esserlo con la coscienza pulita, dobbiamo distruggere in maniera tecnico-scientifica (…) Se gli ebrei fossero soli su questa terra, essi annegherebbero nella sporcizia e nel luridume, combattendosi ed eliminandosi in lotte gonfie d’odio; la mancanza di senso del sacrificio — resa evidente dalla vigliaccheria che li contraddistingue – fa della loro lotta una farsa[20]”. La prosa hitleriana sembra inconcepibile anche alle menti più illetterate, figuriamoci a quanti, in fondo, hanno anche studiato molto e spesso per non capire niente… le parole accartocciate su se stesse cercano il senso senza trovarlo o lo trovano senza cercarlo!… è il problema reiterato dei professori e degli allievi che non si sono mai misurati con i veri problemi dell’esistenza.

Una digressione necessaria per comprendere come la cattiva letteratura possa essere presa sul serio da folle inebetite, impaurite o entusiaste del potere in carica…  nell’edizione italiana di Mein Kampf, uscita in piena discriminazione razziale contro gli ebrei, l’editore Bompiani incide una premessa indecente: “Hitler, condannato alla reclusione il 1°Aprile 1924 per reato di insurrezione, impiegò gli anni di prigionia nel comporre la presente opera, proponendosi tre scopi: mettere in chiaro i fini del movimento da lui diretto, raccontare lo sviluppo di questo movimento, ed « esporre il suo proprio avvenire, nella misura in cui ciò è utile alla comprensione dell’origine e della evoluzione del nazional-socialismo e alla confutazione delle leggende create dalla stampa avversaria circa la sua persona ».

Qual’è [scritto proprio così!] il programma del movimento? Quali le basi etiche, gli scopi politici, le ragioni profonde? La loro indagine, la loro giustificazione formano il contenuto principale del volume. Hitler, dopo aver analizzato le cause del « gran crollo » del 1915, indica le vie da seguire per dar vita al nuovo Stato, al « Terzo Reich ». Dalla sua teoria della razza e del popolo ricavava le leggi, le direttive del futuro stato nazionale tedesco. Enuncia le sue idee in fatto di religione, di capitalismo, di democrazia, di stato, di maggioranza, di sindacati, di minoranze etniche.  E su tutti i punti della politica interna ed estera, compresa la lotta contro il federalismo antiprussiano, contro l’autonomia dei « Leander », esprime quei pensieri che ora, dopo la vittoria, il social nazionalismo va traducendo in atti.

Il Times chiamò « Bibbia laica » il presente volume, che pubblicò a puntate, perché ad ogni nazional-socialista fornisce la giustificazione del suo credo politico, e insegna le vie della ulvezza [ timore ardente ] nazionale”. E l’editore chiosa: “Volume di 416 pagine L. 16. Prezzo netto. BOMPIANI” [ in maiuscolo ].

Gli affari-sono-affaria banche, industrie, caserme, università, chiese, mercati… poco importa quale assassino sostengono… ciò che conta è mantenere i privilegi di pochi e che i popoli restino remissivi o plaudenti verso i regnanti… sotto il fascismo italiano, politici, imprenditori, preti, militari, commercianti, artisti, fino all’ultimo portinaio… hanno indossato la camicia nera e acclamato in lacrime una marionetta ridicola come Benito Mussolini… poi si sono accorti che era un imbecille e l’hanno impiccato già morto alla trave di un distributore di benzina a Milano… allora si sono fatti repubblicani, democristiani, socialisti, perfino comunisti… adesso i partiti sono implosi o snaturati e sono nati movimenti e liste civiche dove si nascondono la feccia di tutte le sponde politiche… bancari, avvocati, notai, imprenditori, figli di puttana a tutto campo hanno arraffato il potere e sarà difficile toglierlo da quelle unghie… se non con il tiro al piccione… e annunciano in bella uniformità con l’intero arco istituzionale, il divenire instupidito di democrazia parassitaria!

In tutte le epoche di grandi persecuzioni, il fanatismo schiaccia l’umanità come pidocchi e ovunque si percepisce un’atmosfera da sepolcro… e sono poche le volontà ostinate che si oppongono alla vanagloria dei tiranni… gli inquisitori cambiano veste, mai gli strumenti di tortura! Infatuati, come sono, a mandare in estasi folle in lacrime al loro passaggio, e anche le “menti migliori” non si sottraggono all’ossequio interessato… si rendono responsabili di crimini contro l’umanità con fervore… i despoti d’ogni latitudine non deludono mai… riescono persino ad essere brillanti, come un premio Nobel truccato, e senza avere il vizio della lucidità riescono ad imporre, poco importa per quanto tempo, i fraseggi e i fucili che tanto piacciono agli industriali, intellettuali o proletari che erigono prima a miti, poi a fantocci caduti nella polvere… naturalmente con la benedizione perversa della chiesa… diffidare sempre di coloro che lusingano i popoli, diffidare di chiunque si erge a pastore del gregge… i discepoli di qualsiasi causa non sono che schiavi di chi scimmiottano… quando appare un conquistatore e inizia a parlare di diritti parziali, vuol dire che subito dopo appaiono ilager.

Un aneddoto su Lee Miller nella vasca del Führer… Li-Li (vezzeggiativo della Miller) fotoreporter di Vogue e David Sherman, fotografo di Lifepasseggiano nelle rovine di Monaco bombardata dagli alleati… si trovano nella casa di Adolf Hitler e Li-Li si spoglia ed entra nella vasca del dittatore… non sappiano cosa abbia provato e nemmeno se è stato un gesto di profanazione… Li-Li chiede a Scherman di farle una fotografia… a un lato della vasca si vede il ritratto di Hitler che qualcuno ha posato lì per i lettori di Life, forse… i panni sporchi della fotografa sono appoggiati su una sedia alla destra dell’inquadratura, vicino alla statuetta di una donna nuda, gli scarponi sporchi di fango, qualcuno dice che era il fango campo di Dachau (?), posti al centro dell’immagine… Li-Li si lava la schiena e guarda verso l’alto con apparente disinvoltura… la fotografia è brutta, non poco… ruffiana quanto basta per piacere a tutti… il compiacimento tra fotografo e Li-Li si arena alle falde dell’approssimazione… bagnarsi nella vasca di un cretino del genere non ha niente di eroico, semmai di celebrazione inconscia… storici, critici, galleristi, fotografi ne hanno tessuto lodi inconcepibili… Serena Dandini (quella che sorride in perpetuo, anche quando le comunicano che Dio è morto ad Auschwitz), una conduttrice televisiva anche seguita (boh?)… ci ha scritto un romanzetto, La vasca del Fuhrer[21]. Dicono che Li-Li volesse lavarsi l’orrore dei campi (?)… la comparazione con le fotografie surrealiste di Man Ray (che non c’é) scatta nelle note redazionali… qualcuno la definisce “fotografia artistica (?)… in vero… il vaniloquio suggerisce l’ossessione della trasfigurazione e comunque fare il bagno con Hitler che ti guarda, suggerisce una certa intimità!

La narrazione di La vasca del Fuhrer della Dandini è sprovvista di qualsiasi attinenza con la vita di una donna intelligente, financo scostumata, non riconciliata con i caratteri, i costumi, i dogmi che impongono le direttive morali… così la Dandini “dialogacon Li-Li ma ciò che sortisce da quelle paginette sono cumuli di ovvietà… bastava sfogliare la commedia Uomo e superuomo di Bernard Shaw, per mettersi al riparo dal sentimentalismo… specie quando scrive: “Il sentimentalismo è l’errore di credere che nei conflitti morali si possa ricevere o concedere misericordia (…) Coloro che capiscono il male lo scusano; coloro che se ne risentono lo distruggono”[22]

I malvagi prosperano quanto più i sottomessi sopravvivono! Una brutta fotografia o un brutto libro su qualsiasi mito, sono comunque un tributo al sacro che sottende… resta il fatto che il male di cui soffrono i poveri, gli indifesi, gli sfruttati è la povertà, il male di cui soffrono i potenti è la prevaricazione, l’oppressione e l’omicidio di massa!

Le immagini dei campi della Miller sono frammenti, dettagli o “segni” dove l’individuo diventa la misura e la dismisura di ogni cosa… una parte che rivela il tutto… un soldato ammazzato, corpi di ebrei nei carri merci, una macchina da scrivere sfasciata sulla scrivania, file di uomini e donne affamati… si sovrappongono in una “grammatica” visuale biologica, fisiologica, financo surreale, e coincidono con l’atmosfera o la rinascita della libertà… qui gli atteggiamenti diventano forme e non c’è fotografia senza un’idea che la sostenga o interroghi il senso ingiustificato di una storia del terrore… le immagini della Miller, riattualizzano l’immaginario fuori dalla spontaneità e dall’esercizio estetico… come le canzoni di gesta, sovvertono, leggermente, l’ordine delle cose nel modo più semplice possibile… esprimono le lacrime, il sorriso, lo stupore in una densità artistica che spacca la soggezione, inventa l’innocenza che crea senso, convoca il meglio e il peggio in aurore della fotografia che trasfigurano corpi e sogni, e più ancora, fanno della prodigalità etica/estetica il principio di tutte le profusioni del giusto, del bello e del bene comune.

 

Va detto. Ci sono ebrei che non sono proprio degli stinchi di santo — qui scatta l’accusa di antisemitismo di pragmatica, che per una persona “come io” (direbbe Marilyn Monroe), del tutto estranea a pensare che gli uomini sono tutti uguali, ma incline a indicare, alla maniera di Nietzsche, che in una comunità altamente civile, i “migliori” dovrebbero prendersi in sorte anche i destini dei più deboli e non  farne dei sudditi) —, è davvero agghiacciante…  se ci aggiriamo con leggerezza del calabrone (che non sa di avere ali troppo piccole per volare, in rapporto al suo peso, e per questo vola) nella Rete e andiamo a scuriosare nei resoconti annuali delle grandi società per azioni o nei tabulati del Ministero della chiacchera in questo Paese di voltagabbana, trasformisti e buffoni senza pari… possiamo vedere che i Paesi arabi, oltre a fare commercio di armi con terroristi d’ogni fazione, eserciti fasulli e vere macchine da guerra, si sono comprati (insieme alle Mafie) i più grandi poli industriali (come l’Expo a Milano), case di moda (Valentino, Ferré), squadre di calcio (Paris Saint-Germain), marche automobilistiche (Wolkswagen, Porsche, Audi, Bmw, Bugatti, Ducati)… il primo socio della banca Unicredit è gestito dal fondo Aabar (con sede a Abu Dhabi)… Piazza Affari è controllata dalla Borsa di Dubai (che detiene il17% del capitale) e dalla Qatar Investment Authority (per il 10, 3%)… il che vuol dire che il 30% dell’intera economia italiana è nelle mani di questi ex-cammellieri… ma il fatturato più alto in assoluto si deve al business del Web… ai proprietari, manager o fondatori di Facebook (Zuckerberg), WhatsApp (Jan Koum), Apple (Arthur Levinson), Tripadvisor (Sthephen Kaufer), Yahoo! (Ken Goldman)… sono tra i trenta padroni più ricchi del mondo, e sono ebrei… niente di male… tuttavia dobbiamo registrare che i profeti dei cristiani, ebrei e musulmani hanno sempre avuto la tendenza a conquistare il mondo non solo con le preghiere, anche con mercenari d’indubbie qualità da macelleria (se si può dire senza incappare in processi d’indiscrezione), non certo per sollevare miserie secolari, ma per istaurare il dominio di pochi sull’asservimento di molti! Ogni padrone è un saprofita e sa di esserlo!

Un’annotazione a margine. Bisogna stare molto attenti quando si parla della follia di un tiranno come Hitler… specie quando si fa del teatro e si cerca di mettere in scena, senza sapere dove poi arriva la provocazione o l’emulazione… è quanto accade nello spettacolo teatrale di Elio Germano e Chiara Lagani, La mia battaglia[23]. Le parole di Hitler, la bandiera uncinata, “truppe d’assalto” come coreografia… non si possono destinare né al riso né al pianto, tantomeno alla nostalgia truccata da rivisitazione critica o d’avanguardia (?). Qui si dice: “I giovani sono una tale massa di rincoglioniti! Passano il tempo davanti ai videogiochi o a mandarsi faccette sui telefonini fuori dalle sale scommesse dei centri commerciali…! Cosa sanno fare di concreto? (…) Guardate che se non facciamo subito qualcosa si troveranno tutti senza lavoro! Tra poco i loro posti li prenderanno gli altri! Finiranno a fare i servi nella case degli stranieri!”. Vorremmo sottolineare a Germano e alla sua degna camerata, che il demagogo è la sfumatura estrema dell’abominio e la sola fortuna che ha, è quella di morire o essere giustiziato senza posterità!

Quando la voce straniante di Germano grida sulla bandiera nazista (che poi prende fuoco): “La ragione sarà la nostra guida! La volontà, nostra invincibile forza e supremo protettore sarà la nostra fede! I giudici di questo stato possono con tranquillità condannarci per il nostro operato, ma la storia, ministra di una verità più alta, un giorno lacererà sorridendo il vostro giudizio, per assolvere tutti noi da ogni colpa e ogni peccato. Arrivederci” (parole direttamente tratte dal Mein Kampf di Hitler)… e la musica di Lili Marlene invade la platea in cerca di acclimatazione… non ci sentiamo per niente coinvolti né affascinati da tanta paccottiglia… “Arrivederci” da Hilter? Arrivederci un cazzo! Tutti gli Hitler vanno condannati all’indifferenza o riservare loro la sorte che meritano, affogati nella merda che li ha partoriti! Sono i semideficienti del teatro, del cinema, della letteratura, dello sport o delle canzonette a professare i fasti di menti malate… specialmente quando non riescono a dire chiaro e netto che tutto ciò che rappresenta la dissoluzione di un popolo va derattizzato!

Caro Germano, cara Lagani… andatelo a dire ai milioni di persone passati per le camere a gas che “la storia, ministra di un verità più alta, un giorno lacererà sorridendo il vostro giudizio, per assolvere tutti noi da ogni colpa e ogni peccato”… nemmeno nelle ritrattazioni di sant’Agostino ci sono così tante imbecillità da rendere un assassino più elegante, più raffinato, più accettabile che sia mai esistito!

Caro Germano, cara Lagani… il teatro della crudeltà lasciatelo a chi lo sa fare… a chi, come Antonin Artaud, ha cercato di spezzare la soggezione del teatro al testo… o a quanti, come il Living Theatre o il “teatro povero” di Jerzy Grotowski… sono riusciti a fondere il gesto e il movimento con la luce e la parola, e sovvertire la rappresentazione (lospettacolo) nel risultato estetico-etico che sborda verso  la verità autentica d’ogni tempo!

No, caro Germano, no! No, cara Lagani, no! Maneggiare le idee richiede più talento che maneggiare le forche! E a queste andresti appesi, senza nemmeno la fanfara della banda dei carabinieri che v’incensa! Non crediamo che esista piacere più grande che calpestare la tomba di un tiranno o di un idolo, anche infranto! Il nazismo ci fa orrore, poiché abbiamo capito (e non ci voleva molto) quello che ha di orribile: la demenza accettata come storia!

La fotografia della fragilità della Miller… s’accosta alla tragedia ebraica con accuratezza… l’amorevolezza della sua ritrattistica incide una lesione nell’anima del lettore, perché non ne racconta l’eccidio ma la risorgenza… e lo fa nel rapporto viscerale con i corpi sopraffatti dal dolore… c’è qualcosa di  leggero, d’identitario, d’inesorabile in quelle immagini… briciole di realtà che rivelano antiche le detestazioni di un popolo… i vestiti a righe, le stelle gialle, i corpi ignudati d’ogni parvenza dell’umano, conservano un portamento, una nobiltà, una giustizia che non si lascia dimenticare… sono fotoscritture che elevano la passionalità del dissidio contro l’indifferenza… nessuna angheria sarà mai abbastanza inclemente da resistere allo sdegno di quanti l’hanno subita o liberata… il delitto presuppone delle convinzioni, l’insurrezione dell’intelligenza le abolisce tutte… la cartografia della Shoah della Miller spazza via lo sporco del nazismo e la degradazione di Dio, anche… c’è in ogni inquadratura l’infinità dell’uomo che ritorna a se stesso e sconfigge la riprovazione del male che gli hanno inflitto! Sono immagini che non appartengono a nessuna patria, ma al mondo intero, e dicono: “L’anima sceglie i suoi compagni / e poi chiude la porta” (Emily Dickinson). Solo colui che capisce sa contro chi condurre il suo disprezzo! La ribellione è il segno più arcaico della libertà.

Piombino, dal vicolo dei gatti in amore,  24 volte febbraio, 2021

[1] Carlo Falconi, Il silenzio di Pio XII, Sugarco, 1965

2 Francesco, Fratelli tutti. Lettera enciclica sulla fraternità e l’amicizia sociale, Edizioni Paoline, 2020

3 Friedrich Nietzsche, Così parlò Zarathustra. Un libro per tutti e per nessuno, Adelphi, 1986

4 Daisaku Ikeda, La vita. Mistero prezioso, Sonzogno, 2000

5 Edgar Allan Poe, Il gatto nero e altri racconti del mistero e dell’immaginazione, RBA, 2021

6 Raul Hilberg, La distruzione degli ebrei d’Europa (2 volumi), 1999

7 Jean-Paul Sartre, L’antisemitismo. Riflessioni sulla questione ebraica, SE,  2015

8 Louis-Ferdinand, Céline, Bagatelle per un massacro, Guanda, 1981

9 Michel Onfray, L’ordine libertario. Vita filosofica di Albert Camus, Ponte alle grazie, 2013

10 Adriana Muncinelli, Even. Pietruzza della memoria. Ebrei 1938-1945, Edizioni Gruppo Abele, 1994

11 Primo Levi, Se questo è un uomo, Einaudi, 2006

12 Raul Hilberg, La distruzione degli ebrei d’Europa (3 volumi), 2017

13 Etty Hillisum, Diario 1941-1942, Adelphi, 2012

14 Valerio Riva, Francesco Bigazzi, Oro da Mosca. I finanziamenti sovietici dalla rivoluzione d’ottobre al crollo dell’URSS, Mondadori, 2002

15 Maimonide, La guida dei perplessi, UTET, 2006; Gershom Scholem, La Kabbalah e il suo simbolismo; Einaudi, 2001; Martin Buber, Il cammino dell’uomo, Edizioni Qiqajon-Comunità di Bose, 2000; Hans Jonas, Gnosi e spirito tardo-antico, Bompiani, 2010

16 Susan Sontag, Sulla fotografia, Einaudi, 2004

17 Susan Sontag, I diari della scrittrice, https://www.repubblica.it/

18 Susan Sontag, Davanti al dolore degli altri, Mondadori, 2003

19 Susan Sontag, Lo sguardo crudele, https://www.repubblica.it/online

20 Adolf Hilter, La mia battaglia, Bompiani, 1938 (era uscito in Germania nel 1933 e vendette un milione di copie). Per dare contezza dell’incontenibile messe di stupidità sciorinate da Hilter nel suo libro e commentate con la lucidità sprezzante che era dovuta, rimandiamo a Il “Mein Kampf” di Adolf Hilter, a cura di Giorgio Galli, Kaos Edizioni,  2002

21 Serena Dandini,  La vasca del Fuhrer, Einaudi,  2020

22 Bernard Shaw, Uomo e superuomo, Club degli editori, 1966

23 Elio Germano, Chiara Lagani, La mia battaglia, Einaudi, 2020

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Massimo Mastrorillo

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